Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte prima/Sole d'inverno
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SOLE D’INVERNO
A C. REINA.
Cari mi siete, o colli,
Quando nel verno vi saluta il sole,
Quando con l’alba tremano
L’argentee brine su l’erbette molli,
E all’ombre imbrunano
Il ridestato calice
Le tenere viole.
Sul tortuoso calle,
Dove il cardo le foglie ispide muta,
Va saltellando il passere,
E fra il timo s’inseguon le farfalle;
Di tra le macchie roride
Il carbonajo affacciasi,
E il sol chiaro saluta.
Alla cadente porta,
Col grembiale più bianco delle nevi,
Siede col mento tremulo
La vecchiarella derelitta e smorta,
E, dalla ròcca tenue
Traendo il sottil canape,
Fila i suoi giorni brevi.
O tu che solo allegri
Il silenzio di mia casa infrequente,
E d’amicizia il balsamo
Spargi su’ giorni miei dolenti ed egri,
Godiam tra il verno gelido
La dolce ora fuggevole
Di questo ciel ridente.
Forse, o chi sa? nell’ombra
Che lungamente mi ravvolge il core,
Forse tra l’ansia e il dubbio,
Che i propositi tuoi tarda ed ingombra,
Come a quest’erbe tremule,
Un raggio di letizia
Ne manderà il Signore.
E allor che piana è l’onda,
E più belli i suoi fiori april dipinge,
Noi lascerem quest’eremo
E il biondo golfo e la petrosa sponda;
E andrem sicuri e unanimi,
Ove dell’arte il fervido
Sogno e l’amor ne spinge.
Noi bacierem la riva
Dove più specchia il ciel l’onda tirrena,
Dove armonia son l’aure,
E di voci d’amor l’aura è più viva,
Dove vestita d’iridi
S’asside l’incantevole
Partenopèa Sirena.
All’inconteso corso
Di nostra prora ardente
Fuori dell’azzurro emergono
Gli amorosi delfin l’argenteo dorso;
Fuggono l’onde, suonano
L’aure, le piagge olezzano
Dell’Appennin ridente.
A te daran colori
Il ciel vivace e la flegrèa marina,
Le nubi del Vesuvio,
Di Capri i lidi e di Sorrento i fiori;
A me la fredda cetera
Avviveran le tiepide
Aure di Mergellina;
E canterò. Ma dove
Spingi il tuo volo, o instabile speranza?
Il pianto mio dimentichi
E i lunghi affanni e le durate prove?
Ahi, ne la solitudine
Di questo ignoto esilio
Solo il dolore ha stanza!
Signor, che a queste brume
Doni del sole il provvido sorriso,
Toglimi al dubbio gelido,
Che all’ingenua mia fede ammorza il lume!
Deh, ch’io non più nell’orrida
Nebbia, che il cor m’intenebra,
Gema da te diviso!
Come il soave l’incenso
Di queste fragolette mattutine,
Io vanirò col zeffiro
Che il mar cheto discorre e l’aere immenso,
Io vanirò nell’aureo
Sole, come la vitrea
Falda di queste brine.
E come fior che a sera
Con le fragranze al ciel s’apre la via,
Eterno, istabil atomo
Cercherò la mia sede e la mia sfera:
Chè in mezzo a questa tenebra,
Il veggio, il sento, o spirito,
Non è la sede mia!