Le Mille ed una Notti/I tre pomi

I tre pomi

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Settimo ed ultimo viaggio di Sindbad il navigatore Storia della dama trucidata, e del giovane suo marito

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I TRE POMI


— Sire,» diss’ella, «ebbi già l’onore d’intrattenere vostra maestà d’una sortita, che il califfo Aaron-al-Raschid fece una notte dal suo palazzo; ora voglio narrarvene un’altra.

«Un giorno quel principe avvertì il gran visir Giafar di trovarsi al palazzo la prossima notte. — Visir,» gli disse, «voglio fare il giro della città, ed informarmi di ciò che vi si dice, e specialmente se sono contenti de’ miei ufficiali di giustizia. Se ve ne hanno de’ qual si abbia ragione di lagnarsi, noi li deporremo per metterne altri in loro vece, i quali adempiranno meglio a’ propri doveri. Se, invece, ve ne siano, de’ quali si dicano elogi, avremo per loro i riguardi che meritano.» Essendosi il gran visir recato ai palazzo all’ora stabilita, il califfo, egli e Mesrur, capo degli eunuchi, si travestirono per non essere conosciuti, ed uscirono tutti e tre insieme.

«Passati per piazze e mercati, ed entrati in un viottolo, videro al chiaror della luna un dabben uomo, con barba bianca, alto di statura, che portava alcune reti sulla testa. Aveva sul braccio un cesto di foglie di palme, ed un bastone in mano. — A vedere quel vecchio,» disse il califfo, «non parmi ricco; andiamgli appresso, o chiediamogli lo stato di sua fortuna. — Buon uomo,» gli disse il visir, «chi sei? — Signore,» rispose il vecchio, «sono un pescatore, ma il più povero e miserabile della mia professione. Sono uscito di casa poco dopo il mezzogiorno per andar a pesca, e da quel tempo sino al presente non ho preso alcun pesce. Pure ho moglie e figli, e non so come nutrirli. —

«Mosso il califfo a compassione, disse al [p. 310 modifica]pescatore: — Arresti il coraggio di tornar indietro, e gettare un’altra volta le tue reti? Noi ti daremo cento zecchini di quello che piglierai.» Il pescatore, a tale proposta, dimenticando le fatiche del giorno, preso il califfo in parola, e tornò verso il Tigri con lui, Giafar e Mesrur, dicendo fra sè: — Questi signori sembrano troppo onesti e ragionevoli per non ricompensarmi della mia fatica; e quando pure non mi dessero che la centesima parte di ciò che mi promettono, sarebbe ancor molto per me. —

«Giunti alla sponda del Tigri, il pescatore vi gettò le reti, e ritirandole, trovò in esse un bauletto ben chiuso e pesante. Il califfo gli fece subito contare dal gran visir i cento zecchini e lo licenziò. Mesrur si pose il cofanetto in ispalla, per ordine del padrone, il quale, premuroso di sapere ciò che contenesse, tornò in fretta al palazzo; e fattolo aprire, vi trovarono un gran paniere di foglie di palme, cucito all’apertura con un filo di lana rossa. Per soddisfare all’impazienza del califfo, si tagliò il filo con un coltello, e si cavò dalla sporta un pacchetto avvolto in un cattivo tappeto, e legato colla corda. Slegatala, e sciolto il pacchetto, si vide con orrore il corpo d’una giovane più bianca della neve, tagliato a pezzi....»

Scheherazade, a questo passo, osservando ch’era giorno, cessò di parlare. La notte successiva ripigliò di tal guisa il racconto:


NOTTE XCI


— Sire, vostra maestà immaginerà da sè, meglio ch’io nol possa far comprendere colle mie parole, qual fu la sorpresa del califfo a quell’orribile [p. 311 modifica]spettacolo. Ma dallo stupore passò tosto alla collera, e vibrando sul visir un furibondo sguardo: — Ah, sciagurato!» gli disse; «è dunque così che tu vegli sulle azioni de’ miei popoli? Si commettono impunemente sotto il tuo ministero assassinii nella mia capitale, e si gettano nel Tigri i miei sudditi, acciò gridino vendetta contro di me il giorno del giudizio? Se tu non vendichi prontamente l’omicidio di questa donna colla morte del suo uccisore, giuro, pel santo nome di Dio, che ti farò impiccare, tu e quaranta de’ tuoi parenti. — Commendatore de’ credenti,» gli disse il gran visir, «supplico vostra maestà d’accordarmi il tempo di far perquisizioni. — Ti concedo tre soli giorni,» ripigliò il califfo; «a te tocca a pensarvi.» Il visir Giafar si ritirò in estrema confusione d’animo. — Aimè!» diceva egli; «come mai, in una città sì vasta e popolosa qual è Bagdad, potrò io trovare l’omicida, il quale avrà certo commesso questo delitto senza testimoni, e che forse è già uscito dalla città? Un altro al mio posto trarrebbe di prigione un disgraziato, e lo farebbe morire per contentare il califfo; ma io non voglio caricarmi la coscienza di questo delitto, e preferisco morire che salvarmi a tal costo. —

«Ordinò allora agli ufficiali di polizia e di giustizia, che gli obbedivano, di fare diligente ricerca del colpevole; mandarono costoro tosto alla scoperta i loro agenti, e si posero in moto anch’essi personalmente, non credendosi meno del visir interessati in questo affare. Ma tutte le loro indagini tornarono vane: per quanta attenzione adoperassero, non poterono discoprire l’autore del delitto, ed il visir pensò che senza un prodigio del cielo, la era finita per lui.

«Infatti, venuto il terzo giorno, giunse presso l’infelice un usciere, che lo invitò a seguirlo dal califfo. Obbedì il visir, ed avendogli Aaron domandato ove [p. 312 modifica]fosse l’omicida: — Commendatore de’ credenti» rispos’egli colle lagrime agli occhi, «non ho trovato nessuno che sapesse darmene notizia.» Il califfo gli volse mille rimproveri, e pieno di furore, comandò fosse impiccato davanti alla porta del palazzo, con quaranta de’ Barmecidi (1).

«Mentre si lavorava ad innalzare le forche, e ad impadronirsi dei quaranta Barmecidi nelle loro case, un pubblico gridatore andò, per ordine del califfo, a fare quest’annuncio in tutti i quartieri della città:

«Chi vuol aver la soddisfazione di veder impiccare il gran visir Giafar e quaranta Barmecidi suoi parenti, venga sulla piazza posta davanti al palazzo.»

«Quando tutto fu in pronto, il giudice criminale e molti uscieri del palazzo condussero fuori il gran visir coi quaranta Barmecidi, li fecero disporre ciascuno appiè della forca ch’eragli destinata, e si passò loro al collo la corda, colla quale dovevano essere appesi. Il popolo, di cui era tutta piena la piazza, non potè vedere quel tristo spettacolo senza dolore e senza lagrime; che il gran visir Giafar ed i Barmecidi erano cari ed onorati per la loro probità, liberalità e disinteresse, non solo a Bagdad, ma per tutto l’impero del califfo. [p. 313 modifica]

«Era imminente l’esecuzione dell’ordine irrevocabile di quel principe troppo severo, e si stava per togliere la vita alle più oneste persone della città, quando un bello e ben vestito giovane, rotta la calca, giunse presso al gran visir, e baciatagli la mano: — Sovrano visir,» gli disse, «capo degli emiri di questa corte, rifugio de’ poveri, voi non siete reo del delitto pel quale qui vi trovate. Ritiratevi adunque, e lasciatemi espiar la morte della donna gettata nel Tigri. Io fui il suo uccisore, e solo merito di essere punito. —

«Benchè quelle parole cagionassero molta gioia al visir, non lasciò egli di sentir pietà del giovane, la cui fisonomia, invece di essere sinistra, aveva qualche cosa d’interessante; e stava per rispondergli, quando un uomo d’età avanzata, fattasi anch’egli strada tra la folla, giunse al visir, e gli disse: — Signore, vi supplico di non creder nulla di quanto vi dice questo giovane: io solo ho ucciso la dama trovata nel cofano, e su me soltanto deve cadere il castigo. In nome di Dio, vi scongiuro di non punire l’innocente pel reo. — Signore,» ripigliò il giovane, volgendosi al visir, «vi giuro che fui io a commettere sì grave delitto, e niun altro ne fu complice. — Figliuolo,» interruppe il vecchio, «è la disperazione che v’ha qui condotto, e voi volete prevenire il vostro destino; per me è già assai tempo che sono al mondo, e me ne sento stanco. Lasciatemi dunque sagrificare la vita per la vostra. Signore,» soggiunse poi, volto al gran visir, «vi ripeto di nuovo, che son io l’assassino; fatemi morire, e non differite più oltre, —

«La contesa del vecchio e del giovane obbligò il visir Giafar a condurli amendue davanti al califfo, col permesso dell’ufficiale incaricato di presiedere alla terribile esecuzione, il quale fecesi il piacere di favorirlo; e quando fu alla presenza del [p. 314 modifica]principe, baciò sette volte la terra, e parlò in questi sensi: — Commendatore de’ credenti, conduco a vostra maestà questo vecchio e questo giovine, che diconsi ambedue separatamente uccisori della dama.» Allora il califfo domandò agli accusati, chi de’ due avesse sì crudelmente trucidata e gettata nel Tigri la donna. Assicurò il giovine di essere egli; ma il vecchio, sostenendo da parte propria il contrario: — Andate,» disse il califfo al gran visir, «fateli appiccare amendue. — Ma, sire,» disse il visir, «se un solo è il reo, sarebbe ingiustizia far morire l’altro. —

«A tali parole, il giovine ripigliò: — Giuro, pel grande Iddio, che innalzò i cieli all’altezza ove si trovano, d’essere stato io ad uccidere la dama; che l’ho tagliata a pezzi e gettata nel Tigri, quattro giorni sono. Rinunzio ad aver parte cogli altri nel giorno del giudizio, se quanto dico non è vero; or dunque io solo debbo essere punito.» Fu sorpreso il califfo di quel giuramento, e vi prestò fede, tanto più che il vecchio nulla diceva; allora, volgendosi al giovane: — Sciagurato,» gli disse, «per qual motivo hai tu commesso sì orrendo delitto, e qual ragione puoi avere di esserti venuto ad offrire da te stesso alla morte? — Commendatore dei credenti,» rispose colui, «se si mettessero in iscritto le cose corse tra quella donna e me, sarebbe questa una storia da riuscire utilissima agli uomini. — Raccontacela dunque,» riprese il califfo, «te lo comando.» Il giovine obbedì, e cominciò così la sua narrazione.»

Scheherazade voleva continuare; ma l’aurora sopravvennta la costrinse a differire alla notte seguente. [p. 315 modifica]

NOTTE XCII


Schahriar prevenne la sultana, e le chiese che cose avesse il giovine raccontato al califfo Aaron-al-Raschid. — Sire,» rispose Scheherazade, «egli prese la parola in questi termini:

Note

  1. Nome d’una delle famiglie più illustri, dopo le case sovrane dell’Asia. Qualche scrittore la fa discendere degli antichi re di Persia. Il primo che rese famosa questa famiglia, chiamavasi Abu-Alì— Iahia-Ben-Kaled Ben-Barmak. Dotato di tutte le virtù civili e militari, fu scelto dal califfo Mahadi per aio di Aaron-al-Raschid suo figliuolo. Fadhel, Giafar (quello di cui qui si parla), Mohammed e Mussa, figli tutti di Barmek, sostennero degnamente il retaggio di gloria e riparazione che il padre aveva lor lasciato. I Barmecidi hanno questa particolarità, che avendoli fortuna abbandonati e fatti cadere in disgrazia di Aaron-al-Raschid, la loro memoria sopravvisse nei popoli alla sciagura loro, di guisa che trovarono quasi altrettanti storici i quali ne scrissero le vite, quanto i più grandi principi dell’Oriente.