Le Laude (1915)/LXXXIX. Arbore dell'amore divino
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LXXXIX
Arbore dell’amore divino
Un arbore è da Dio piantato — lo qual amor è nominato.
— O tu, omo, che c’èi salito, — dimme en que forma èi tu gito,
perché ’l viagio me sia aprito, — ché sto en terra otenebrato.
— Se ’l te dico, poco vento — mo m’encasca, sí sto lento!
ancora non agio vento, — ’nante so molto tempestato.
— Giá non è tua questa storia — ’nante è a Dio tutta gloria;
non me trovo en mia memoria — che tu per arte l’aggi acquistato.
Se ’l me dice, mo pò avenire — che mo me fai de loto uscire,
se per te vengo a Dio servire — a Dio m’averai guadagnato.
— A laude de Dio lo te dico — e per avermete ad amico:
empaurato dal Nemico, — fui a questo arbore menato.
Con la mente ci aguardai, — e de salir m’enfiammai,
fui da pede ed io ’l mirai — ch’era tanto smesurato.
Li rami erano en tanta altura, — non ne posso dir mesura;
lo pedale en dirittura — era tutto desnodato.
Da nulla parte non vedea — co salire ce potea,
se non da un ramo che pendea — ch’era a terra repiegato.
Questo era un rametello — ch’era molto poverello,
umilitate era segello — de questo ramo desprezato.
Adviáme per salire, — fóme ditto: — Non venire,
se non te brighi de partire — da onne mortal peccato. —
Venneme contrizione, — lavaime con confessione,
e feci satisfazione, — co da Dio me fo donato.
Al salire retornando, — e nel mio cor gía pensando
e giá molto dubitando — del salir afatigato.
Pregai Dio devotamente — ch’al salir me fos iuvente,
ca, senza lui, non è niente — de tutto quel ch’avea pensato.
Da ciel me venne una vuce — e disse: — Ségnate con cruce,
e piglia el ramo de la luce — lo qual a Dio è molto a grato. —
Con la croce me signai, — e lo ramo sí pigliai,
tutto lo core ci afittai — sí ch’en alto fui levato.
Poi, levato en tanta altura, — trovai amor de dirittura,
lo qual me tolse onne paura — onde el mio cor era tentato.
Encontenente ch’io fui gionto, — non me lassò figer ponto
de far sopra me un gionto — en un ramo sopra me plantato.
Poi ch’en quel ramo fui salito, — che da man ritta era insito,
de suspiri fui ferito, — luce de lo sponso dato.
Da l’altra parte volse ’l viso — e ne l’altro ramo fui affiso,
e l’amor me fece riso — però che m’avea sí mutato.
Ed io, sopra me guardanno, — doi rami ce vidde entanno,
l’uno ha nome perseveranno, — l’altro amor continuato.
Salendo su cresi posare, — l’amor non me lassò finare,
de sopra me féme guardare — en un ramo sopra me fermato.
Salendo su sí resedea, — le poma scritte ce pendea,
le lacrime ch’amor facea, — ché lo sponso gli era sí celato.
Da l’altra parte volse ’l core — vidde el ramo de l’ardore,
passando l’ha sentito amore — che m’avea sí rescaldato.
Stando loco non finava, — l’amor molto m’encalzava,
de menarme lá ’ve stava — en un ramo sopra me esaltato.
Poi ch’en quel ramo me alzasse, — scritto era ch’io me odiasse,
perché tutto amor portasse — a quel Signor che m’ha creato.
Al ramo da l’altra parte — trasseme amor per arte
a lo contemplar che sparte — lo cor d’onne amaricato.
A lo ramo de piú alteza — sí fui tratto con lebeza,
o’ languisce en alegreza — sentendo d’amor con odorato.
Da l’altra parte pusi mente, — vidi ramo ante me piacente,
passando l’ardor pongnente — ferendo al cor l’ha stemperato.
Stemperato de tal foco, — lo mio cor non avea loco,
fui furato a poco a poco — en el ramo sopra me fidato.
Tanto d’amor fui ferito, — ch’en quel ramo fui rapito
o’ lo mio sponso fo apparito — e con lui fui abracciato.
En me medesmo venni mino, — menato en quel ramo divino,
tanto viddi cosa en pino, — che lo cor ce fo anegato.
A le laude del Signore — ditto t’aggio el suo tenore;
se vol salire, or pone ’l core — a tutto quel ch’agio parlato.
En el arbor de contemplare — chi voi salir, non dé’ posare,
pensier, parole e fatti fare — ed ita sempre esercitare1.
Note
- ↑ Agionto en alcuni libri:
Non è dato a creatura — salir ultra sta misura,
la Trinitá sola è for misura, — lo sommo inaccessibil chiamato.
Tredece ramora con li frutti, — de sette gradora produtti,
se gli potrai salir tutti, — serai en perfetto stato.
Nota del Bonaccorsi].