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LXXXIX
Arbore dell’amore divino
Un arbore è da Dio piantato — lo qual amor è nominato.
— O tu, omo, che c’èi salito, — dimme en que forma èi tu gito,
perché ’l viagio me sia aprito, — ché sto en terra otenebrato.
— Se ’l te dico, poco vento — mo m’encasca, sí sto lento!
ancora non agio vento, — ’nante so molto tempestato.
— Giá non è tua questa storia — ’nante è a Dio tutta gloria;
non me trovo en mia memoria — che tu per arte l’aggi acquistato.
Se ’l me dice, mo pò avenire — che mo me fai de loto uscire,
se per te vengo a Dio servire — a Dio m’averai guadagnato.
— A laude de Dio lo te dico — e per avermete ad amico:
empaurato dal Nemico, — fui a questo arbore menato.
Con la mente ci aguardai, — e de salir m’enfiammai,
fui da pede ed io ’l mirai — ch’era tanto smesurato.
Li rami erano en tanta altura, — non ne posso dir mesura;
lo pedale en dirittura — era tutto desnodato.
Da nulla parte non vedea — co salire ce potea,
se non da un ramo che pendea — ch’era a terra repiegato.
Questo era un rametello — ch’era molto poverello,
umilitate era segello — de questo ramo desprezato.
Adviáme per salire, — fóme ditto: — Non venire,
se non te brighi de partire — da onne mortal peccato. —
Venneme contrizione, — lavaime con confessione,
e feci satisfazione, — co da Dio me fo donato.
Al salire retornando, — e nel mio cor gía pensando
e giá molto dubitando — del salir afatigato.