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208 | lauda lxxxix |
Pregai Dio devotamente — ch’al salir me fos iuvente,
ca, senza lui, non è niente — de tutto quel ch’avea pensato.
Da ciel me venne una vuce — e disse: — Ségnate con cruce,
e piglia el ramo de la luce — lo qual a Dio è molto a grato. —
Con la croce me signai, — e lo ramo sí pigliai,
tutto lo core ci afittai — sí ch’en alto fui levato.
Poi, levato en tanta altura, — trovai amor de dirittura,
lo qual me tolse onne paura — onde el mio cor era tentato.
Encontenente ch’io fui gionto, — non me lassò figer ponto
de far sopra me un gionto — en un ramo sopra me plantato.
Poi ch’en quel ramo fui salito, — che da man ritta era insito,
de suspiri fui ferito, — luce de lo sponso dato.
Da l’altra parte volse ’l viso — e ne l’altro ramo fui affiso,
e l’amor me fece riso — però che m’avea sí mutato.
Ed io, sopra me guardanno, — doi rami ce vidde entanno,
l’uno ha nome perseveranno, — l’altro amor continuato.
Salendo su cresi posare, — l’amor non me lassò finare,
de sopra me féme guardare — en un ramo sopra me fermato.
Salendo su sí resedea, — le poma scritte ce pendea,
le lacrime ch’amor facea, — ché lo sponso gli era sí celato.
Da l’altra parte volse ’l core — vidde el ramo de l’ardore,
passando l’ha sentito amore — che m’avea sí rescaldato.
Stando loco non finava, — l’amor molto m’encalzava,
de menarme lá ’ve stava — en un ramo sopra me esaltato.
Poi ch’en quel ramo me alzasse, — scritto era ch’io me odiasse,
perché tutto amor portasse — a quel Signor che m’ha creato.
Al ramo da l’altra parte — trasseme amor per arte
a lo contemplar che sparte — lo cor d’onne amaricato.
A lo ramo de piú alteza — sí fui tratto con lebeza,
o’ languisce en alegreza — sentendo d’amor con odorato.
Da l’altra parte pusi mente, — vidi ramo ante me piacente,
passando l’ardor pongnente — ferendo al cor l’ha stemperato.
Stemperato de tal foco, — lo mio cor non avea loco,
fui furato a poco a poco — en el ramo sopra me fidato.
Tanto d’amor fui ferito, — ch’en quel ramo fui rapito
o’ lo mio sponso fo apparito — e con lui fui abracciato.