Laude (1910)/Laude/Lauda III
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Contentione infra l’anima et corpo. .iij.
AVdite una ntenzone ch’è nfra l’anima e l corpo;
battaglia dura troppo fin a lo consumare.
L’anima dice al corpo: facciamo penitenza,
ché possiamo fugire quella graue sentenza4
& guadagnar la gloria ch’è de tanta piacenza;
portimo onne grauenza con delectoso amare.
Lo corpo dice: turbome d’esto che t’odo dire;
nutrito so ’n delicii, nollo porrìa patire;8
lo celebr’aio debele, porrìa tost’empazire:
fugi cotal pensìere, mai non me ne parlare.
Sozo, maluascio corpo, luxurioso, engordo;
ad omne mia salute sempre te trouo sordo;12
sostieni lo flagello d’esto nodoso cordo,
emprende sto discordo ché t’è ci opo danzare!
Succurrite, uicini, ché l’anima m’à morto!
alliso, ensanguenato, disciplinato a torto!16
o impia, crudele, & ad que m’ài redocto?
starò sempr’en corrocto, non me porrò allegrare.
Questa morte sì breue non mi sirìa ’n talento.
Somme deliberata de farte far spermento;20
dagl cinque sensi tollere omne delectamento
et nullo piacemento t’agio uoglia de dare.
Si da li sensi tollime li mei delectamenti,
siragio enfiato & tristo, pieno d’encrescementi;24
torrotte la letitia nelli tuoi pensamenti;
megli’è che mo te penti che de farlo prouare.
La camiscia spogliate et uesti sto cilizo;
la penetenza uetate che non abbi delizo;28
per guidardone donote questo nobel pannizo,
ché de coio scrofizo te pensai d’amantare.
Da lo nferno recastela questa uesta penosa;
tesseala l diauolo de pili de spinosa;32
omne pelo pareme una uespa orgogliosa;
nulla ce trouo posa, tanto dura me pare.
Ecco lo lecto; posate, iace en esto gratizo!
lo capezal aguardace ch’è un poco de paglizo;36
lo mantellino cuoprite, adusate col miccio;
questo te sia deliccio a quel che te uoglo fare!
Guardate a lecto morbedo d’esta penna splumato!
pietre rotonde uegioce che uenner dal fossato;40
da qual parte uolgome, rompome el costato;
tutto son conquassato, non ce posso posare.
Corpo, surge, leuate! ché suona matutino;
leua su, sonocchiate en officio diuino;44
legge nuoue emponote perfine a lo maitino;
emprende esto camino che sempre t’è opo fare.
Como surgo, leuomi, che non aggio dormito?
degestione guastase, non aggio ancor padito;48
scorsa m’è la regoma per lo freddo ch’ò sentito;
el tempo non è fugito, lassame ancor posare!
Et ó staisti a mprendere tu questa medicina?
per la tua negligenza dotte una disciplina;52
si più fauelli, tollote a pranzo la cocina;
ché questa tua malina penso de medecare.
Or ecco pranzo ornato de delectoso pane,
nero, azemo & duro che nol rosecara l cane!56
non lo posso enghiuttire, sì reo sapor me sane!
altro cibo me dane, se me uoli sostentare.
Per lo parlar ch’ài facto, tu lassarai el uino;
né a pranzo né a cena non mangerai cocino;60
se più fauelli, aspectate un graue disciplino;
questo prometto almino non te porrà mucciare.
Recordo d’una femena ch’era bianca, uermiglia,
uestita, ornata, morbeda, ch’era una marauiglia;64
le sue belle fateze lo pensier m’asutiglia;
molto sì me simiglia de potergli parlare.
Or attende l premio de questo ch’ài pensato;
lo mantello artollote per tutto sto uernato;68
le calzamenta lassale per lo folle cuitato;
et un disciplinato fin a lo scorticare.
L’acqua che beuo noceme, caggio netropesìa;
lo uino, prego, rendeme per la tua cortesìa!72
se tu sano conserueme, girò ritto per uia;
se caggio nenfermarìa, opo me t’è guardare.
Poi che l’acqua nocete a la tua enfermetade
et lo uino noceme a la mia castitade,76
lassa lo uino1 & l’acqua per la nostra sanetade;
sostien necessitate per nostra uita seruare.
Prego che non m’occide! nulla cosa demanno;
en uerità promettote de non gir mormoranno;80
lo entenzare ueiome che me retorna en danno;
che non caggia nel banno uogliomene guardare.
Se te uorrai guardare da omne offendemento,
sirocte tracta a dare lo tuo sostentamento;84
& uorrome guardare dal tuo encrescemento;
sirà delectamento nostra uita saluare.
Or uedete l prelio ch’à l’omo nel suo stato!
tante son l’altre prelia, nulla cosa ho toccato;88
che non faccian fastidio, aggiol’abbreuiato;
finisco sto tractato en questo loco lassare.