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iero figlio di Cosimo, succedette al padre nella fortuna e nella grandezza ed i partigiani di casa Medici conservarono a lui quell’autorità che avevano riconosciuto nel padre.

Ma Piero, se ebbe comune col padre la coltura, l’intelligenza, la magnificenza, fu differente assai da lui per l’indole.

Egli era un uomo di pace; non aveva come Cosimo il desiderio della lotta e si sentiva piuttosto portato per la vita di famiglia, per li studj, per le conversazioni dei dotti, alle quali fin da giovane s’era abituato.

Giovanetto ancora, aveva conosciuto nelle sue villeggiature di Careggi, Lucrezia Tornabuoni, fanciulla di molto ingegno e di grande virtù che abitava co’ suoi in una delle ville che i Tornabuoni possedevano qui presso e che è oggi della fa[p. 30 modifica]miglia Lemmi, e più tardi Cosimo non aveva avuto difficoltà a concedere che il matrimonio desiderato dai due giovani si effettuasse, persuaso che Lucrezia era degna di suo figlio e che avrebbe fatto onore alla famiglia.

E difatti il ricordo di Lucrezia Tornabuoni rimarrà sempre fra i più splendidi e più puri della storia Medicea. Poche donne ebbero il sapere, la bellezza, la virtù di questa gentildonna che fu oggetto d’orgoglio pei suoi, d’ammirazione per li altri. Poetessa gentile, coltissima nelle lettere e nelle scienze, essa non dimenticò mai i suoi doveri di madre affettuosa ed accudì con ogni cura all’educazione dei figli e de’ nipoti, non mancò mai di mostrarsi degna dei cognomi insigni che portava e nei palagi, nelle ville di casa Medici, esercitò l’ospitalità in modo da suscitare l’entusiasmo degli stranieri illustri che vi accoglieva.

Essa fu esempio rarissimo di animo grande nelle fortunose vicende dei tempi in cui visse e lasciò scritto nella storia di quel periodo di tempo le pagine più soavemente gentili e più serenamente belle.

Piero de’ Medici se ebbe amici buoni e affettuosi, ebbe ancora altri che furono per lui falsi e pericolosi consiglieri e fu gran fortuna se, avendone seguiti ingenuamente i suggerimenti, non si vide privato di quell’autorità che egli esercitava sulla città.

Si cercò ogni mezzo perchè l’aura di popolarità gli venisse meno e vi fu chi gli suscitò contro ire grandissime inducendolo a ritirare i crediti che in quantità ed in proporzioni infinite Cosimo il Vecchio aveva fatti a gran numero di famiglie e di mercanti.

Poi, fallito questo tentativo, si tornò alle solite accuse di smania di potere che erano fatte contro il padre e che si rinno[p. 31 modifica]varono contro il figlio, prendendo occasione dal fatto che egli trattava il matrimonio di suo figlio Lorenzo con Clarice di Iacopo Orsini che era di famiglia principesca. E questa volta si andò più oltre; perchè dalle accuse si passò alle minacce, si ordì una numerosa congiura e si deliberò di uccidere chi si affermava attentasse alla libertà della patria. Nel 1466 un numeroso gruppo di congiurati si dispose a porre in atto il deliberato proposito e in una mattina in cui si sapeva che Piero annualato si sarebbe fatto trasportare in lettiga da Careggi a Firenze, i congiurati si appostarono armati in un punto della via, sperando di compiere facilmente l’opera loro.

Ma a Careggi non rimase ignorato l’audace tentativo e Piero informato della cosa, volle ad ogni costo sfidare il pericolo e fattosi porre nella lettiga s’avviò verso Firenze, scortato da amici e famigliari armati. I congiurati si fecero innanzi; ma vistisi scoperti e inferiori di forze, dovettero fuggirsene e questo fatto, come era da supporsi, dimostrando il coraggio e l’energia di Piero, non fece che suscitargli nuove simpatie, nuove aderenze.

Egli pertanto non profittò mai dei vantaggi ottenuti, non cercò mai di dar ragione alle accuse che gli erano state mosse e volle chiudere in mezzo alla calma la sua breve esistenza nella quale troppo era stato tormentato da una malattia penosissima.

Morì a dì 3 di dicembre nel 1469 nella villa di Careggi ed al figlio Lorenzo che con amore infinito lo vegliava, raccomandò l’esercizio di quelle virtù che erano state la prima ragione di grandezza per la sua famiglia.