Capitolo VI

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V VII
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VI.

Pietro ritornò a Nuoro dopo circa cinque settimane d’assenza, e precisamente la vigilia di Natale.

Avanti, avanti, per gli aspri sentieri che scendevano in fondo alla vallata e poi risalivano fino a Nuoro, egli pungeva i buoi con crudeltà, spingendoli rapidamente al ritorno. Il vomero era consumato, il carro colmo di radici di lentischio.

Nonostante la sua fretta e la sua ansia, il giovine servo avrebbe voluto arrivare alla casa dei padroni a notte già fatta. Sentiva un vago timore del primo incontro con Maria; aveva paura che ella gli leggesse sul volto i sentimenti che lo agitavano: il braccio gli cadeva inerte, il pungolo cessava la sua opera crudele; allora i buoi rallentavano il passo e Malafede frugava qua e là per le macchie imbrullite, nere e rosse come mucchi di carboni semispenti.

Soffiava la tramontana acuta: il cielo basso e plumbeo prediceva la neve; ma Pietro sentiva un calore interno ardergli il petto: le sue mani [p. 82 modifica]nere scottavano, una vena gli pulsava forte forte sulla tempia sinistra.

Gli pareva di aver la febbre: desiderava cantare, ma le labbra aride, serrate, rifiutavano di aprirsi, un cerchio ardente gli stringeva la fronte, e la pulsazione continua alla tempia sinistra sembrava il picchiare di un martello che fermava quel cerchio invisibile.

Egli camminava, desideroso di incontrare qualcuno con cui parlare, ma la strada selvaggia era più che mai deserta; tutta la valle, con le sue macchie rugginose, le pietre lividognole, gli sfondi grigi, pareva morta sotto quel gran cielo oscuro e pesante.

Arrivato davanti alla chiesetta della Solitudine, nella strada dominante le due vallate, Pietro si scosse dal suo sogno febbrile. Ecco, Nuoro era lì, vicina, circondata dal vento, nella sera tetra. Le sue prime case apparivano già: qualche donna avvolta nella tunica, con l’anfora sul capo, e qualche uomo, coll'immancabile cavallo o coi buoi sonnolenti, passavano spinti dal vento. Pietro volse le spalle ai monti velati di nebbia, alla vallata fumosa, e rientrò in paese. Nonostante il suo desiderio di attaccar discorso con qualcuno, non si fermò, non salutò i pochi passanti, finchè non giunse alla porta dei suoi padroni. Il roteare del suo carro riempì la straducola con un rumore da torrente. Malafede si slanciò in avanti, con la coda dritta, e abbaiò.

Passando davanti alla bettola illuminata, Pietro intravide, dietro il banco, il viso soave e ardente [p. 83 modifica]della bella Francesca, e un impulso di desiderio gli brillò negli occhi; ma subito egli pensò a Maria e per la prima volta in vita sua si vergognò d’aver desiderato una donna di mali costumi.

Oh no: anche se Francesca lo avesse chiamato, egli non sarebbe più andato da lei; gli sarebbe parso di tradire Maria, per la quale egli avrebbe voluto sacrificare ben altro che un desiderio impuro!

Il portone era chiuso: egli picchiò col pungolo, e subito, nel silenzio improvviso, s’udì al di là del muro, la voce fresca di Maria.

— Dev’esser Pietro!

«Dev'esser Pietro!» Come ella lo diceva! Pareva che lo aspettasse! Solo questa supposizione, che pure egli sentiva vana, gli riempì il cuore di gioia.

Malafede fiutava e raspava il portone; e come tardavano ad aprire cominciò a guaire, sollevandosi e cercando dì introdurre una zampa in una fessura. Qualcosa di simile all’impazienza e alla gioia del cane fremeva nel cuore di Pietro.

Finalmente zia Luisa aprì, e Pietro intravide Maria ritta sul primo gradino della scala; ma non osò guardarla subito.

— Buona sera, — disse, spingendo i buoi dentro il cortile.

E solo quando zia Luisa si volse per chiudere il portone, egli guardò la giovine padrona e le chiese:

— Ebbene, che nuove abbiamo? [p. 84 modifica]

— Buone, grazie a Dio. Fa freddo, ma la nostra pelle non è fina come quella dei signori...

— Qual migliore signora di te! — egli disse, sospirando.

— Ma tu, Pietro, sei stato ammalato? Sei magro e giallo, — osservò zia Luisa, quando egli, slogati i buoi e rimesso a posto il carro, entrò in cucina, dove Malafede fiutava ogni angolo.

— Macchè! macchè! Ho avuto un po’ di febbre, queste ultime sere, ma come dice Maria, la mia pelle non è fina tanto da risentirsi di simili cose. E il padrone dov’è?

— Febbre! febbre! Febbre interna, forse! esclamò Maria, un po’ benevola, un po’ beffarda. Star cinque settimane senza veder l’innamorata... ecco la febbre!

Pietro la guardò, ma tosto chinò gli occhi, tanto il sorriso di lei gli faceva male. Ah, quanto, quanto ella era lontana da lui! Lontana come una donna savia da un pazzo, al quale ella rivolge la parola solo per compassione!

Ridiventato triste, egli sedette davanti al fuoco, accanto a zia Luisa, e cominciò a ragguagliarla sull’andamento del suo lavoro.

Maria andava e veniva per la cucina, preparando la cena di magro della vigilia di Natale.

Fuori le campane suonavano l'Ave con rintocchi di gioia.

Zio Nicola non tardò a rientrare; anch’egli era dimagrato, pallido, insolitamente melanconico; ma appena vide Pietro, che si era alzato [p. 85 modifica]rispettoso e sorridente, rise e battè il bastone per terra.

— Ah, bravo, — disse, sedendosi al posto di zia Luisa, e battendo la mano aperta sul ginocchio di Pietro, — ti aspettavo! Stanotte veglieremo o canteremo a disputas. Se le donne vogliono andare alla messa, vadano pure; per me ci rinunzio con piacere. La messa di mezzanotte è per me stata sempre odiosa, perchè tutti ci vanno per divertirsi, per fare degli scandali. Tu non vorrai andarci, spero...

— Io no, — disse Pietro, lusingato. — Vi farò compagnia, giacchè lo volete, sebbene pensi che voi potreste passare questa notte coi vostri amici.

— Alla larga! — gridò il padrone, allargando le braccia. — Gli amici vengono, oggi per bere il vostro vino, e parlar male di voi domani. Il miglior amico è il servo fedele. Ed anche il cane, non dico: qua’ Malavi! Diavolo, sei brutto come un cane!

Malafede gli si era rifugiato fra le gambe e gli leccava le mani.

— Qui, da bere, donne, — disse poi zio Nicola.

Maria s’avvicinò, con la caraffa e il bicchiere.

— Tu non andrai alla messa? — domandò Pietro.

— Io? Io no, davvero! Me ne vado subito a letto, appena avrò cenato. Io non ho da incontrare nessuno, alla messa. E anche voi, babbo, fareste bene d’andare a letto...

Pietro non udì ciò che il padrone rispose. Maria non aveva dunque «chi incontrare alla messa». Ella dunque non aveva un amante, un fidanzato [p. 86 modifica]più o meno segreto. Ah, come ella era buona! Egli la guardò con riconoscenza, e bevette quasi con voluttà il vino offerto da lei.

— Le donne vanno a letto; tanto meglio, — riprese il padrone. — Di notte le donne non devono far altro che andare a letto; questa è la mia opinione. Noi, dunque, Pietro Benu, chiuderemo il portone e non apriremo neanche se viene il diavolo. Accenderemo un gran fuoco, metteremo accanto a noi una bottiglia di vino, e canteremo...

— Ma io non so cantare, — osservò Pietro. — Invitate qualche altro...

— Ma sei sordo? Non ascolti le parole che ti dico? — gridò allora zio Nicola, irritandosi. — Ti dico che gli amici miei sono il servo, il cane, il bastone! Sì, anche il bastone! Ecco però un amico che l’anno scorso non avevo! — concluse, rattristandosi e chinando il capo. Ma tosto lo sollevò, scosse il barbone. — Ebbene, se anche tu non vuoi restare, va’ pure! Canterò da solo!

— Resterò, resterò! — disse Pietro, ridendo.

Le donne infatti, dopo cena, si ritirarono. Pietro avrebbe voluto che Maria restasse; egli non osava guardarla, ma la sola presenza di lei gli dava un dolce piacere. Non era l’ebbrezza ch’egli provava allorchè, pur essendo lontano da lei, credeva di vedersela davanti viva e palpitante; ma ella era così bella, la sua voce così armoniosa, la sua persona emanava tale fluido di giovinezza e di piacere, che egli sentiva la sua presenza come in quella sera fredda sentiva il calore piacevole del fuoco. [p. 87 modifica]

Ecco, il servo mise tre grossi tronchi sul focolare, e spiegò due stuoie di giunco sul pavimento caldo; il padrone preparò due bottiglie di vino, una delle quali, più rossa dell’altra, risplendeva riflettendo la fiamma; e la scena omerica cominciò.

Zio Nicola e il servo sedettero sulle stuoie, e il padrone sollevò una delle bottiglie, guardandola attraverso la fiamma. Poi guardò così anche il bicchiere, entro il quale al riflesso del fuoco il vino scintillava come rubino; e cominciò a cantare.

«Questo è il sangue ardente della botte, e bevendolo noi scaldiamo il nostro cuore. Beviamo, dunque, e riscaldiamoci, poichè fuori cade la neve ed anche su di noi cade la neve degli anni. Non fidarti, tu, giovinotto; anche per te passeranno gli anni, il tuo cuore diventerà freddo e occorrerà molto vino per riscaldarlo. Cosa ne dici, tu?»

Pietro rispose:

«Il mio cuore è già freddo, perchè io sono un povero servo e nessuna donna mi guarda, e nessun piacere può sorridermi. Io bevo, ma neppure il vino può riscaldare il mio cuore».

«Tu sei un bugiardo e un vanitoso, — rimbeccò Zio Nicola, nella sua seconda ottava dai versi più o meno sbagliati, — e mentisci affermando che le [p. 88 modifica]donne non ti guardano o i piaceri non ti sorridono. Ora ti proverò il contrario...».

Fuori soffiava una violenta tramontana; grandi nuvole, chiare e dense, come enormi blocchi di neve, s’avanzavano dai monti d’Orune: qualche falda di neve cominciava a cadere; nessun rumore, tranne il soffio rabbioso del vento, giungeva fino ai due cantori.

Talvolta zio Nicola, infervorato, si alzava a sedere, e con un cenno della mano indicava a Pietro di non interromperlo: e invece di una componeva due e persino tre strofe, una peggiore dell’altra.

Pietro lo ascoltava religiosamente, poi anch’egli cantava la sua ottava, e beveva e beveva.

Verso le undici, mentre le campane suonavano con una letizia esagerata, tanto che parevano scrollate dal vento pazzo, servo e padrone cantavano ancora; le bottiglie erano vuote, e il loro splendore era passato negli occhi dei due cantori.

Qualche volta Pietro riusciva a comporre delle ottave con argomenti così vivaci e stringenti che zio Nicola si dichiarava vinto. Ma invece di offendersi guardava l’avversario con una certa ammirazione, e gli diceva:

— Bravo! Così ti voglio.

Continuarono a bere, ma cessarono di cantare.

Verso mezzanotte gli occhi del padrone, che al riflesso del fuoco parevano di cristallo, s’aprivano e si chiudevano incoscienti; quelli del servo, pieni di languore, si smarrivano dietro sogni e visioni inverosimili. [p. 89 modifica]

— Pietro, figlio mio, tu canti bene ed io ti voglio bene. A che pensi? Dimmelo, su, tanto lo immagino...

Diceva proprio così? E Pietro, doveva parlare, dire veramente ciò che pensava?

— Ah, padrone mio, se sapeste! Se sapeste che serpente ho nel cuore! Voi dite di volermi bene; ma se sapeste che io penso a vostra figlia vi gettereste sopra di me come un cane arrabbiato.

— Eh, anch’io... — disse a un tratto zio Nicola, sollevando la testa.

E ricominciò a raccontare in prosa le avventure che aveva già ricordato nelle sue ottave. Oramai Pietro le sapeva a memoria; quindi cominciò a distrarsi, e in breve le parole del padrone gli arrivarono confuse alle orecchie, come un ronzio di api.

Tuttavia gli pareva di non essere ubbriaco, e che non lo fosse neppure il padrone; e la confidenza che zio Nicola gli dava lo rendeva felice e ardito. E perchè no? Ecco, ora apriva la bocca e parlava. Tutto era facile, tutto possibile. Sì, sì, bisognava parlare: ma prima occorreva cercar le parole adatte.

Nascose il viso fra le mani, pensò a lungo: ad un tratto staccò le mani dal volto ardente e fissò come un pazzo, attraverso lo dita aperte, lo splendore rosso del fuoco... Le parole venivano:

— Zio Nicola, io non sono ricco, ma se voi mi aiuterete lo diventerò. Mia zia sta per morire e so che ha fatto testamento in mio favore... È poca cosa, lo so: una casetta in rovina e un pezzetto [p. 90 modifica]di terra, ma io venderò subito ogni cosa e col piccolo capitale metterò su un negozio di buoi. Me ne intendo io, di buoi, sapete. Chi lo sa? potrò fare fortuna. Anche voi, padrone mio, avete cominciato con niente. Datemi Maria, zio Nicola, datemela in moglie. Vedrete, diventerò ricco... Padrone, zio Nicola?... — chiamò dolcemente, abbassando le mani.

Ma zio Nicola, col capo reclinato sulla mano, non risposo. Pietro lo guardò e si accorse che il padrone dormiva.

Allora avvenne in lui una brusca reazione; come spesso gli accadeva, arrossì fino alle orecchie e sentì una profonda umiliazione.

— Sì, sono davvero ubriaco, — pensò, scrollando il capo col suo gesto sprezzante. — Dormiamo, dormiamo...

Si sdraiò sulla stuoia, poi si sollevò o guardò ancora il padrone.

— Non sarebbe meglio svegliarlo e dirgli che vada a letto?... Má no, che s’aggiusti da sè...

Ancora una scrollatina di capo, poi si sdraiò nuovamente: le orecchie gli ardevano, le palpebre, sebliene pesanti, non volevano chiudersi del tutto: striscie rosse solcavano le pareti, il tetto, il pavimento, e su queste straducole luminose passavano molte chiocciole verdastre, e qualcuna metteva fuori dal guscio lo piccolo corna rosee tremolanti: poi tutto scoppiava e si sperdeva in mille e mille scintille d’oro.

Era il fuoco che scoppiettava. [p. 91 modifica]

— Che bel cantare avete fatto stanotte, Pietro, disse Maria l’indomani, con una smorfia di discusto.

— Bellissimo. Che hai da dire? — rispose Pietro, fissandola.

— Ah, sì, vi siete ubbriucati come due animali! Io non posso soffrire gli uomini viziosi. Pazienza mio padre, poveretto: egli ha molti dispiaceri e naturalmente cerca di svagarsi... Ma tu, Pietro! Vergogna! Sembravi un cane, quando sono entrata qui, stamattina: un cane davvero, buttato di traverso sulla stuoia, coi piedi sulla cenere.

Pietro s’accorse ch’ella esagerava, ma si pentì d’aver bevuto e nello stesso tempo sentì piacere per l’interesse ch’ella gli dimostrava.

— Che t’importa se io bevo o no? — le disse, sollevando la testa col suo gesto sprezzante. — Bada a te, piuttosto; bada, con tutta la tua superbia, di non prender per marito un ubbriacone, più ubbriacone di me...

— Gesù! — ella esclamò, digrignando i denti. — me lo mangio! Meglio un bandito che un ubbriacone!

— Ebbene. — disse a un tratto il servo, guardandola, — io non mi ubbriacherò mai più, te lo prometto!

Questa promessa non commosse Maria, ma Pietro la mantenne. Quel giorno, infatti, egli andò [p. 92 modifica]alla bettola, ma non bevette e non guardò la moglie del bettoliere: stette lì a chiacchierare e a difendere i suoi padroni, dei quali il toscano parlava male.

Nei giorni seguenti egli lavorò in un orto che i Noina possedevano vicino al paese: all’imbrunire rientrava a casa e cenava coi padroni. Nei momenti ch’egli stava a casa, zia Luisa si serviva di lui per certe piccole faccende domestiche, e una sera lo mandò persino alla fonte con l’anfora sull’omero.

Egli, che in altri tempi si sarebbe ribellato, poichè un servo contadino lavora soltanto la terra, obbediva e si umiliava con gioia, pur di far piacere a Maria.

Non sapeva perchè, da qualche tempo si sentiva buono; talvolta triste, d’una tristezza dolce, ma più spesso allegro come un fanciullo. Certo volte si abbandonava tutto al suo sogno, come nella sera di Natale. Ecco, una sera egli rientrava a casa tardi e trovava Maria sola, seduta accanto al fuoco: anch’egli si sedeva davanti al focolare e guardava con insistenza la giovane padrona.

«Perchè mi guardi così, Pietro?» «Perchè mi piaci, Maria». Ella rideva, egli balzava in piedi, le si curvava sopra, le arrovesciava la testa e la baciava.

Questo sogno bastava per renderlo felice, di una felicità ardente, e di giorno in giorno si mutava in progetto, in idea fissa.

Egli s’era poi procurato un pettine e uno specchio tascabile, e appena si trovava solo non rifiniva di lisciarsi i capelli e la barbetta, guardandosi a lungo gli occhi, le labbra e la fronte.

Si trovava bello, e se ne rallegrava.