La vendemmia/Nota storica

Nota storica

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Parte II

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NOTA STORICA

Questa Vendemmia sembrerebbe nata a un solo parto col Matrimonio discorde, nel 1755: certo il Goldoni la ricavò dalla stessa fonte, cioè dalla commedia della Villeggiatura scritta in quell’anno (vedi vol. XIII) e recitata nel carnevale del ’56 a S. Luca. E invero l’Ippolito che si diverte in campagna con le due contadinelle, e fa loro dei regali, e pensa di sposare la più vivace, somiglia molto a don Gasparo; la Cecchina e la Rosina, benchè tutte due da marito, corrispondono precisamente alla Libera e alla Menichina; Fabrizio poi, il mangione, lo scroccone, è senz’altro don Ciccio. Ricordate, per esempio, la scena XI dell’atto II? “Menichina. Che cosa ha mangiato di buono? Ciccio. Ho mangiato due piatti di minestra, un pezzo di manzo ecc., un pollastro allesso, un taglio di vitello, un piccione in ragù, un tondo ben pieno di frittura di fegato ed animelle ecc. ecc., del formaggio, della ricotta, dei frutti e due finocchi per accomodarmi la bocca”. L’episodio principale della parte seconda, cioè Fabrizio legato alla sedia, mentre dorme, da Cecchina e Rosina, e spaventato da Ippolito cbe tira dei colpi di spada col servo, è quello stesso che si svolge nelle ultime scene del II atto della Villeggiatura.

Quanto all’arte comica, ne incontriamo pochina nella Vendemmia. Dei quattro personaggi, Ippolito manca di rilievo; le due ragazze non sono affatto delle vere contadine, come neppur la Sandra nel Matrimonio discorde, bensì due civettuole, invidiose l’una dell’altra, comuni nel teatro goldoniano; ma con ben altra finezza e potenza il nostro sior Carlo sa rivelarci, quando vuole, i segreti dell’animo femminile. Rimane don Fabrizio. Di questi mangioni, sempre affamati, ne troviamo più d’uno nelle commedie del Goldoni, oltre don Ciccio: si ricordi don Isidoro nella Vedova spiritosa, Ottavio nella Castalda, Policastro nell’Apatista, il conte Onofrio nelle Femmine puntigliose e perfino donna Petronilla nella Sposa sagace. Più o meno ringiovanito, è ancora il ben noto parassita della commedia classica, antico più di Plauto e di Terenzio: un Intermezzo per musica, che ha per titolo il Parassito, scrisse a Firenze il Salvi, nel 1712. Forse qui, resa più sobria, la macchietta di Fabrizio apparisce meno volgare di don Ciccio, e più gustosa nello scherzo cbe fa ai contadini per impadronirsi della loro colazione.

Povera cosa quest’Intermezzo, ma a un compositore di musica buffa, e questo importava, poteva offrire più di uno spunto felice. Probabilmente non sapremo mai se il Goldoni lo componesse fin dal *55 a Venezia, oppure a Roma, nel ’59, prima di lasciare nel luglio la città eterna: certo fu quivi rappresentata la Vendemmia nel teatro Capranica, durante il carnevale del 1760 (febbraio), e uscì a stampa poco prima della recita. [p. 536 modifica]

Il libretto fu musicato dal giovane maestro Antonio Sacchini, nato a Firenze il 14 giugno 1730 (v. Ulisse Prota Giurleo, La Vera patria di A. Sacchini, in Giornale d’Italia, 8 settembre 1928), non già a Napoli nel 1735, come in tempo si credeva, nè a Pozzuoli nel ’34, come volle correggere il Fétis e poi tutti ripeterono. A Napoli, dove sonava il violino, apprese il contrappunto dal Durante e fu poi maestro di cappella. Nel ’62, come pare, passò a Roma e, dopo sette anni di soggiorno in quella capitale accettò la direzione del coro dell’Ospedaletto a Venezia, dove nel 1770 lo conobbe il Burney e gli parve il miglior compositore d’Italia “nel genere serio”, come Piccinni”nello stile comico" (Viaggio musicale, in Collezione Sandron, specialmente pp. 63, 93 e 202). Sulla fine del ’71 viaggiò in Germania; e visse poi a Londra dieci anni, dal 1772 al 1782, in fine a Parigi, dov’ebbe una pensione dalla Corte e dove morì il 7 ottobre del 1786. Un’ode famosa per la sua morte scrisse il Parini (v. commenti di De Castro, Valmaggi, Mazzoni, Natali e altri). Per le notizie biografiche v. Meister, in Correspondance di Grimm ecc., Paris, t. XIII, 1880, pp. 475-478; Nuovo Dizionario Istorico di Bassano, t. 18, 1796, pp. 15-16 e gli autori ivi citati; specialmente Fétis, (Biographie Universelle des Musiciens, Paris, t. VII, 1864, pp. 360-363, da cui attingono l’Eitner e i più recenti biografi; Desnoiresterres, N. Piccinni, trad. it., Bari, 1878, pp. 52, 192, 199-201, per il soggiorno parigino; e Salveraglio, Le Odi di G. Parini, Bologna, 1882, pp. 248-251. Quantunque la Sandrina, ossia la Contadina in Corte (1765), fosse applauditissima dai Romani, come ci attesta Napoli-Signorelli (Vicende ecc., Napoli, 1811, t. VIII, p. 72), per giudizio concorde dei contemporanei, come si legge nel citato Dizionario di Bassano, “la sua anima, disposta naturalmente alla tenerezza e alla melanconia, perdeva la sua originalità nelle scene comiche”. Ma nell’opera seria contò una lunga schiera di illustri ammiratori, dal Rousseau allo stesso Piccinni.

È superfluo notare che nulla deve la Vendemmia goldoniana alla Vennegna (1747) napoletana di Pietro Trincherà (Scherillo, L’Opera buffa napoletana, nella Collezione Settecentesca Sandron, 1916, pp. 254-255). Ma nessun dubbio che dal Goldoni prese le mosse il Bertati nel 1778 per la sua Vendemmia, infarcita di romanzo. Anche questo è chiamato”Intermezzo in musica" nell’edizione veneziana (presso Modesto Fenzo, 1778), quantunque i personaggi che parlano siano sei, e nei due atti, di ben 17 scene ciascuno, si cambi spesso di luogo. Dei personaggi goldoniani è rimasto lo scroccone, il conte Zeffiro, ma non serba sino alla fine il suo vero carattere. Anche qui un Marchese (don Achille) s’invaghisce d’una pastorella, ma l’Agatina vien poi riconosciuta quale dama, mentre donna Artemisia si scopre figlia d’un pastore; e così s’accomoda tutto. Agatina vorrebbe esser l’ingenua tradizionale del teatro, ma è d’una buaggine ridicola; e l’opera intera del Bertati riuscì un miserevole intruglio di elementi giocosi, sentimentali e romanzeschi. Tuttavia la musica del maestro Giuseppe Gazzaniga fece miracoli e la Vendemmia si recitò nel maggio 1778 a Firenze (Pavan, Teatro degli Immobili in via della Pergola), nell’autunno a Venezia (S. Giovanni Crisostomo: v. Wiel) e a Bologna (v. Ricci), nel ’79 a Modena (Gandini, Cronistoria dei teatri di Modena, parte II, p. 51) e a Monza (Rolandi, Il librettista del [p. 537 modifica]Matrimonio segreto”, Tricase, 1926, p. 102), nell’80 a Praga (v. libretto presso la Biblioteca Universitaria di Bologna), nell’83 a Dresda (Rolandi e Sonneck), nel ’90 a Cassel (Rolandi), nel ’91 ad Hannover (Rolandi), nel ’94 a Lisbona (Rolandi e Sonneck) e ancora nel 1804 a Milano.

Solo per i curiosi ricordiamo la Vendemmiatrice (Roma, 1765) del giovane maestro francese Grétry (v. libretto presso la biblioteca del Liceo Musicale di Bologna), i Vendemmiatori (Firenze, 1789) del maestro Rutini (farsa in un atto: v. Sonneck) e l’Amor tra le vendemmie (Napoli, 1792), commedia in due atti di Giuseppe Palomba, musicata dal Guglielmi (Scherillo, 451 e Piovano, Rivista Musicale Italiana, XII, 1905, p. 438). Un’opera-comica di Fuzelier, les Vendanges de Champagne, fu cantata a Parigi nel 1724; ma anche les Vendanges di Dancourt, nel 1694, erano in parte accompagnate dalla musica. Altre vendemmie, musicate sulla fine del Settecento in Germania, cita Rolandi: per altre, musicate in Francia, v. Clément et Larousse, Dictionnaire lyrique ecc., Paris, 1897. Passiamo poi sotto silenzio i balletti.

Anche la Vendemmia del Goldoni sfuggì agli studiosi: forse la prima menzione si trova nel manoscritto inedito dell’Ademollo sui teatri di Roma, ora presso la Nazionale di Firenze. Alberto Cametti ne diede notizia al Maddalena nel 1901, e la ricordò l’anno dopo nello scritto intitolato Critiche e satire teatrali romane del Settecento (estratto dalla Rivisla Musicale Italiana, 1902, nota a p. 6). Nel 1902 ne fe’ pure cenno il Musatti ne’ suoi appunti bibliografici su I drammi musicali di C. Goldoni (estratto dall’Ateneo Veneto, p. 33), ma sbagliò dicendolo “dramma giocoso in tre atti”. Vedi inoltre G. Pavan, Il Teatro Capranica ecc.. nella Rivista Musicale Italiana, XXIX, 1922, p. 435. Anche di questo Intermezzo si dimenticò del tutto il Goldoni, sì che fu trascurato dagli editori delle sue opere giocose, dal Savioli, da Guibert e Orgeas, dallo Zatta stesso, e ne ignorò l’esistenza lo Spinelli. Il libretto consultato dal maestro Cametti apparteneva al dottor Bonamici; e oggi sta nella raccolta del bibliografo livornese presso la biblioteca Marucelliana di Firenze: dalla Direzione della Marucelliana, a cui porgo vivissime grazie, ne ottenni il prestito per la ristampa nel presente volume.

Fu questo l’ultimo degli Intermezzi di Carlo Goldoni. Ormai la moda delle farsette era cessata, mentre sui teatri musicali trionfavano le opere giocose o commedie in musica, e per gli intermezzi servivano e furoreggiavano i balli. È vero che al Goldoni si attribuirono pure le Donne redicole e lo Sposo burlato, ma nè l’una nè l’altra di queste due operette porta nella stampa il nome del commediografo veneziano. Vediamo

LE DONNE REDICOLE | Intermezzi per Musica | a quattro voci | da rappresentarsi nel Teatro | capranica | nel Carnevale dell’Anno 1759. | dedicati | All’Illma ed Eccma Sig. la Sig. Principessa | d. felice | barberini corsini. || in roma mdcclix. | Per Giuseppe e Nicola Grossi.

I personaggi sono Moschina, Macrobio, Vespetta e Tiberio. La farsetta è divisa in due parti o Intermezzi: il primo di 8. e il secondo di 9 scene. ”La Musica è del Sig. Rinaldo di Capua”. Nella lettera di dedica I’impresario Giuseppe Balestra dichiara di essersi posto per la prima volta in sì [p. 538 modifica]fatto impegno "qual Nocchiero inesperto dell’arte, e privo d’ogni necessario discernimento nel contrasto di tanto, e così fluttuante tumulto de’ Teatri". Sciocca e puerile l’azione: sciocchissimi i personaggi. Per quanto il Goldoni usasse scrivere all’improvviso simili componimenti, non sarebbe mai sceso a tanta scempiaggine, nè avrebbe mai nascosto i suoi personaggi (don Macrobio e don Tiberio) dentro due vasi, nel giardino. Il linguaggio stesso non è punto goldoniano: "Macrobio. Or ben proviamo (sale e si pone sul vaso). - Piano piano... mo vengo... ahi ahi..." E Tiberio, altrove: "Dal suo bello in mezzo al core - Mi tintilla un friccicore".

Noi possiamo attribuire senza esitazione questo Intermezzo a qualche poeta del mezzogiorno, benchè il Diario romano del 13 gennaio 1759 annunci la recita nel teatro Capranica d’una "burletta intitolata Il cavaliere Giocondo con farsetta in musica a 4 voci, che ha per titolo Le donne ridicole, del rinomato Sig. Avv. Goldoni" (vedi G. Martucci, C. Goldoni e il suo soggiorno a Roma, in Rassegna Nazionale, 1 giugno 1886, p. 549). Il diarista confuse in una sola persona l’autore della commedia (vol. XII della presente edizione) e quello della farsa per musica. Nulla del resto impedisce di credere che il buon dottor veneziano, il quale era in quel tempo a Roma, ritoccasse qua e là l’insulso libretto. Di aver potuto esaminare le Donne redicole a mio agio, rendo qui pubblico ringraziamento al maestro Francesco Mantica, direttore della Biblioteca Musicale di S. Cecilia a Roma. Passiamo ora a

LO SPOSO BURLATO | INTERMEZZI IN MUSICA | a quattro voci | da rappresentarsi | nel teatro alla valle | nel Carnevale dell’anno 1769 | dedicati | All’inclito merito e Generosità | delle dame. || in roma | Per Ottaviano Puccinelli ecc.

I personaggi sono D. Pomponio, Lindora, Fiorindo e Li vetta. La musica è "del Signor Nicolò Piccini [sic] Maestro Napolitano". Nessuno dei più valenti musicologi che ci diedero l’elenco delle opere teatrali del grande maestro di Bari, nè il Florimo, nè il Cametti, nè l’Eitner, nè il Sonneck, nè, più di recente, il Della Corte attribuirono questo Intermezzo al Goldoni. Solamente lo Spinelli, il benemerito autore della Bibliografia goldoniana, potè ottenere da mano amica la rarissima ristampa dello Sposo burlato eseguita a Carpi nel Modenese, in occasione di una recita dell’Intermezzo del Piccinni in quel teatro, nella primavera del 1778, e potè leggervi la seguente dichiarazione: "La poesia è del rinomato sig. avv. Goldoni" (Quattro note goldoniane, Modena, 1903; v. anche il volume Modena a C. Goldoni, 1907, pp. 301-302). Ma tale paternità affermata nella tarda ristampa d’un paese nel Settecento alquanto remoto, dopo che il commediografo veneziano aveva abbandonato l’Italia da tanti anni, nè ci desta meraviglia, nè ci persuade affatto. Pietro Toldo raccontò già brevemente la burla tesa dalla serva Livietta all’ipocondriaco don Pomponio per far sì che Lindora possa sposare il suo Fiorindo; e concluse; "Un pot-pourri moliéresque, d’un goût fort douteux" (L’oeuvre de Molière ecc., Turin, 1910, pp. 441-442). Nè s’attentò di confermare l’attribuzione dello Spinelli.

Che al Goldoni nel ’68 a Parigi, anzi a Versailles, venisse proprio il talento di scrivere un misero Intermezzo per musica, quando forse gli balenava [p. 539 modifica]già il desiderio d’una commedia regolare e, diremo, classica, in lingua francese, non parrebbe impossibile, ma senza dubbio assai strano. Perchè o da chi poteva venire sì forte invito da Roma al poeta che aveva dato ormai un addio alle scene? Ma basta leggere il libretto dello Sposo burlato, così lento, prolisso e incerto, per convincersi che non poteva uscire dalle mani anche troppo esperte del Goldoni. Nessuna frase, nessuna arguzia, nessun frammento che ricordi il fare e l’ingegno del commediografo veneziano. Anzi basterebbe il romanzetto di Fiorindo, rapito già dai corsari e sfuggito allora dai Turchi, per dileguare da noi ogni dubbio sulla falsa paternità di questo libretto. Tuttavia le note del Piccinni salvarono per qualche tempo lo Sposo burlato che si replicò a Vienna nel 1770, e allettarono il Ditters a tradurlo e a musicarlo nuovamente in Germania (v. Spinelli e Toldo, I. c.; e Sonneck, Catalogue), e persuasero l’abate Casti a scrivere un altro Sposo burlato (1772?), in Russia, che fu musicato forse dal Paisiello (L. Pistorelli, I melodrammi giocosi inediti di G. B. Casti, in Rivista Musicale It., 1897, pp. 632-635). - Ma è molto probabile che di tutti questi Sposi e di queste burle il buon Goldoni non sapesse mai sillaba.

G. O.