La trovatella di Milano/Conclusione
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◄ | XII |
CONCLUSIONE.
na scena dolorosa e sinistra si svolgeva nel palazzo del conte Ercole Patta. Adriana moriva. La scossa subita all’orribile, inaspettata rivelazione del marito, le aveva spezzata la vita.
Crisi nervose violentissime si erano succedute senz’intervallo l’una all’altra, logorando il suo corpo, mettendo nel suo cervello delle allucinazioni tremende, che la facevano prorompere in grida strazianti, contorcersi fra terribili convulsioni.
Erano stati chiamati a consulto le prime celebrità della scienza; si tentarono i rimedii più arrischiati, pericolosi, fu fatta viaggiare, la condussero in Isvizzera, in Germania, alle terme più rinomate; ma da tutti questi sforzi, queste prove, era uscita vieppiù affranta, coll’organismo intieramente distrutto. Ed allora i medici dichiararono che non vi era più nulla a fare.
Adriana espresse il desiderio di ritornare a Milano e fu esaudita. Vi giunse morente.
Il primo giorno che ella riacquistò la facoltà di sentire, riflettere, pensare, fu sorpresa, trovando Gabriele al suo fianco.
— Come siete qui? — sussurrò.
— Ebbi il permesso da vostro padre.
— E mio marito?
Gabriele non rispose...
— Ma dove siamo? Che è successo?
Tremava orribilmente e stringendosi colle mani la fronte...
— Ah! ricordo... ricordo tutto... ciò... che mi ha detto... Diego; andate... andate... Gabriele, se conosceste di chi sono figlia, se scopriste il tremendo segreto di mio padre.
— Quel segreto... è una menzogna.
— Che?... Che dite?...
— Che nulla vi ha nella vostra vita, nè in quella di vostro padre, di cui possiate arrossire.
Il giovane parlava coll’accento della verità, ma Adriana non era convinta.
— Voglio vedere mio padre, parlar solo con lui — esclamò — andate a chiamarlo.
Il conte non tardò a comparire. Benchè cercasse sorridere, il suo volto aveva un lividore di morte.
— Che desideri, mia cara? — disse accostandosi al letto.
— Voglio che tu mi prometta di ricercare la fanciulla che un giorno abbandonasti, — disse la giovane donna, con estrema emozione, fissandolo intensamente negli occhi.
Il conte cadde nel laccio. Con voce debolissima, curvando addolorato il capo.
— Lo farò, te lo giuro, — rispose.
Era una confessione, Adriana mandò un grido straziante.
— Ah! non mentiva adunque, Diego: oh! che infamia, figlia... di una spia... moglie di un miserabile... Dio... Dio... che ho fatto per punirmi così!...
Da quel momento non si ebbe più speranza di salvarla: ella non volle più vedere alcuno, nemmeno Gabriele; si diceva indegna di lui, di tutti.
Il conte fu costretto a non più varcare la soglia della stanza di sua figlia, perchè la presenza di lui, la faceva cadere in terribili convulsioni.
La sera in cui il medico annunziò che Adriana non avrebbe trascorsa la notte, il conte, come pazzo dal dolore, si trascinò sulle ginocchia al letto di sua figlia, balbettando fra i singhiozzi:
— Perdono, perdono...
Adriana lo sentì. Da qualche momento una gran calma si era succeduta nella sua anima... alla tempesta di prima.
Aveva ricevuti i Sacramenti e le parole che il Sacerdote, le aveva rivolte, allorchè essa gli confessò di non aver la forza di perdonare a coloro che le fecero tanto male, le rimasero impresse nella mente.
— Non dite così figlia mia, non siate meno clemente di Dio. Per ogni peccato misericordia, e ricordate che basta talvolta una lacrima sincera di pentimento a scontare una vita d’iniquità...
E suo padre piangeva ai suoi piedi, supplicava di perdonarlo?
Adriana non resistette, le sue labbra serrate si apersero a mezzo ed un nome ne sfuggi.
— Papà.
Era proprio lei che l’aveva chiamato?...
Il conte la fissò un istante cogli occhi velati, foschi, umidi, poi chiese tremando:
— Mi perdoni?
— Sì...
Oh! il grido delirante di gioia! Quanti baci lunghi, ardenti sulla fronte di lei!
Ma sentendo che diveniva di ghiaccio, impallidì spaventosamente...
— Adriana... non morire... non morire...
— È Dio... che lo vuole... E poi che farei ancora al mondo... legata... a quell’uomo...
— Tu sei libera, libera, puoi sposare Gabriele, che ti ama sempre... morrà senza di te...
Il conte non si aspettava l’effetto terribile, fulminante prodotto dalle sue parole...
Lo sciagurato credeva che facendo balenare una speranza di felicità avvenire nell’anima della figlia, l’avrebbe ritornata da morte a vita...
Ma l’esistenza di Adriana non era più attaccata che ad un lievissimo filo: la minima emozione avrebbe bastato a romperlo.
La notizia che si trovava libera, valeva come l’annunzio di morte del marchese Diego... E come era avvenuta? Era forse Maria che si era vendicata? E dove si trovava la giovane? Morta forse anche lei, dacchè nessuno gliene aveva parlato?
Adriana aprì la bocca per domandare, ma dal suo petto non sfuggì che un grido rauco, inarticolato, che si spense in un debole singhiozzo. E le labbra restarono aperte, l’occhio si estinse, il corpo divenne immobile...
Era spirata...
Il conte rimase per alcuni secondi a guardarla con occhio stralunato: i suoi denti si urtavano.
Poi quando cominciò a capire che tutto per Adriana era finito, ebbe un grido di belva ferita a morte e fuggì stringendosi le tempia fra le mani, gemendo, urlando:
— Sono io... io che l’ho uccisa!
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Il giorno che Adriana venne seppellita nel Cimitero Monumentale, un giovane che aveva assistito di nascosto, dietro un alto mausoleo, ai minimi particolari della funebre cerimonia, attese che tutti se ne fossero andati, poi lasciò il suo nascondiglio per avvicinarsi a sua volta a quella tomba scavata di fresco e inginocchiatosi si mise a piangere, a singhiozzare come un fanciullo...
Poi quello straziante dolore parve calmarsi... ed il giovane data una rapida occhiata attorno, trasse di tasca una rivoltella.
Ma allora una voce sorse dietro di lui...
— Fermatevi, signor Gabriele — disse — voi non avete il diritto di uccidervi su questa tomba.
Egli si rivolse con impeto e vide dietro a sè Maria, vestita a bruno, ancor pallida e sofferente, ma i cui occhi gettavano lampi, il cui fiero atteggiamento imponeva.
— Voi! — esclamò il giovane balzando turbato in piedi. — E perchè m’impedite di morir qui?
— Perchè invece di dare in tal modo un supremo segno d’amore all’infelice Adriana, disonorereste la sua memoria.
Gabriele ebbe un brusco sussulto.
— Che dite?
— La verità: il sangue che scorre sopra una tomba, lascia sempre una macchia, che nulla vale a detergere, è una profanazione, un sacrilegio. Non ha sofferto abbastanza la povera martire in vita, volete turbarla anche da morta? Se l’esistenza vi pesa, fate come me: dedicatela tutta a qualcuno che vi ami, pur avendo sacro il ricordo della donna amata. Non avete un padre... voi, una madre?
Gabriele divenne livido...
— Li avevo dimenticati — mormorò — grazie di ricordarmelo.
Un sospiro d’immenso refrigerio sollevò il petto di Maria: ella stese la mano al giovane.
— Voi siete buono — disse — siete onesto, nella vostra anima non vi sono rimorsi: potete essere ancora felice.
Egli scosse il capo...
— Ebbene vivete per il dolore — aggiunse dolcemente Maria — sarà questa la più splendida prova d’amore che darete ad Adriana, la quale vi sorriderà dal cielo.
Le lacrime velavano gli occhi di Gabriele.
— Piangete? Siete salvo — disse ancora Maria — ah! se potessi anch’io trovar delle lacrime.
Ebbe un fremito, ma si rimise tosto... e con accento velato, triste.
— Volete che preghiamo insieme sulla tomba di quella martire? — mormorò...
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Il conte Patta, dopo la morte di Adriana, tentò altri passi verso Maria, sperando d’indurla a più miti consigli.
Ma la giovine si mostrò meno clemente della sorella: non seppe nè perdonare, nè dimenticare.
Ella evitò sempre di parlare di suo padre e sarebbe morta prima di rivelare il suo segreto, che Annetta solo conosceva.
Ma ogni settimana, Maria non mancava mai di recarsi a pregare sulla tomba di Adriana, dove veniva sempre raggiunta da Gabriele...
L’una serbava sacro il culto dei ricordi, l’altro quello dell’amore!
fine.