La testa della vipera/XII
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XII.
Era venuta l’estate, e la famiglia Nori stava per andarsene in campagna: con lei naturalmente partivano i due Danzàno padre e figlio. Lograve fece venire Battista a casa sua.
— Voi m’avete detto, cominciò tosto Emilio, che siete figliuolo d’un mezzadro d’Alberto.
— Sì, signore.
— Siete dunque pratico di quel paese?
— Pensi un po’!... Ci sono nato, e non ne son venuto via che ai diciott’anni... tutte le stati vi vado coi padroni a passarvi tre mesi...
— Ed è proprio in quella fattorìa dov’è vostro padre che i Nori vanno a scampagnare?
— No, signore... La fattorìa non ha che gli edifici rustici. I padroni abitano una villetta posta più in su, a venti minuti di lontananza, una bella villetta, bene esposta con una magnifica veduta, ma con un palmo di giardino e niente più.
— Se alcuno volesse andare a passare in quel paese una quindicina di giorni, ci troverebbe una locanda?
— Oh, sì, signore; ma una povera locanda dove starebbe male... È già migliore l’osterìa di X... villaggio lontano di là un dieci o dodici chilometri... bel villaggio, proprio alla frontiera verso la Svizzera.
— Di quello non m’importa... Vi parlo del vostro paese.
— Nel mio paese si potrebbe prendere in affitto una casina.
— Se ne trovano?
— Altro che!... Proprio attiguo alla villa Nori, c’è un palazzotto, le cui finestre guardano nel nostro giardino, tanto che il signor Alberto lo voleva comperare per levarsene l’incomodo: ma il proprietario, vedendo appunto che se ne aveva tanto desiderio, avanzò pretese sì esagerate, da farlo mandare ai cento mila diavoli. Da parecchî anni quel palazzotto non fu più abitato, e non s’ebbe a soffrire l’incomodo.
— Vuol dire che, se quest’anno fosse ancora libero, si potrebbe ottenere a pigione?
— Senza dubbio.
— Or dunque voi mi dovete fare un piacere.
— Mi comandi.
— Se quel palazzotto non è affittato, prenderlo subito per me.
Battista lo guardò stupito.
— Ah!
— E a qualunque prezzo.
— Ah! ripetè il domestico.
— Voglio farne l’improvvisata ai cugini, ai quali non direte nulla di nulla.
— Stia sicuro, non parlerò... E se mai, per caso, quel palazzotto non si potesse avere?
— Mi cercherete qualche altra casetta, la più vicina che sia possibile... che ci sia da alloggiarvi me e il mio servitore... e mi basta.
— Farò di contentarla.
— Prendete. E diede al domestico un buon pizzico di biglietti di banca. Se aveste a far spese, anticipazioni... caparre... mancie... che so io... non voglio che restiate impacciato.
Battista intascò gravemente il denaro.
— Lasci fare a me: non rimarrò impacciato in niente e per niente.
A villeggiare in quel poggio ridente, Matilde ci andava sempre di gran voglia per tante ragioni; perchè gli era un amenissimo luogo davvero, perchè colà essa aveva passato i primi mesi del suo matrimonio in una ebbrezza continua di felice trasporto, perchè in quelle aure sanissime i suoi bambini prosperavano a meraviglia, perchè cessavano per lei tutte le noje della vita mondana, essendo quel paese affatto deserto di gente alla moda e di seccature eleganti.
Non c’era che una famiglia con cui scambiassero qualche visita, e vicendevolmente inviti ospitali; ma questa famiglia villeggiava in quel vicino villaggio X... nominato da Battista, e le relazioni con essa non potevano turbare la libertà e la pace delta vita famigliare nella villetta.
A Matilde in quest’anno un’altra cosa piaceva della villeggiatura, ed era di essersi per tre mesi liberata dalla frequenza in casa di Emilio, del quale, se essa non nutriva più sospetti, pure trovava uggiosa la compagnìa.
Gli uomini invece rimpiangevano la mancanza del giovane: il padre Danzàno, sempre ancora deboluccio, desiderava i consigli e le cure medicali del figlioccio, Cesare credeva che Emilio avrebbe trovato modo di far passare più gradevolmente certe ore che tornavano lunghe, e Alberto medesimo, il quale aveva finito per abbandonarsi completamente alla ostentata bonarietà del Lograve, pensava che questi non sarebbe stato di troppo in quella solitudine. Ma per Matilde il tempo non era nè lungo, nè pesante: accompagnare a braccetto il padre in passeggiatine, che a poco a poco ridonavano le forze al convalescente; fare più lunghe gite in quelle amenissime valli col marito e bambini; giocare con questi, che riempivano la casa delle loro risa; badare al domestico governo, così che tutto camminasse a perfezione con grande soddisfacimento di tutti i suoi, erano le sue occupazioni ed essa non trovava mai che le sopravanzasse un’ora da lasciar prender dalla noja.
Ed ecco una mattina, dopo forse due settimane che erano colassù, gli abitanti della villa Nori videro aprirsi le finestre del palazzotto e uomini spazzare, ripulire, spolverare, lavar vetri, appiccar tende, scuotere tappeti.
— Che novità è questa? disse Alberto di mala voglia. Sta a vedere che ci viene a disturbare qualche seccante di vicino.
Battista fu mandato ad informarsi, e tornò colla notizia che il palazzotto era stato affittato per tutta la stagione, e che a giorni stava per arrivare il nuovo pigionale.
Alberto lo mandò di tutto cuore al diavolo. Che bestialità aveva fatta, esclamò, a non comprare ad ogni modo quella bicocca! Ora avrebbero dovuto rassegnarsi alla seccatura di aver lì a ridosso chi sa chi, forse indiscreto, pettegolo, maligno, che poteva ficcare, ed avrebbe ficcato il naso nei fatti loro. Almeno si sapesse chi fosse!
Battista, che aveva ascoltato colla sua aria da nesci, senza batter ciglio, fu rimandato a interrogare, tornò a riferire con aria, più da nesci di prima, che non si conosceva il nome del forestiero, ma che si sapeva che era un uomo solo col suo servitore.
— Meno male! disse Alberto. Possiamo sperare di salvarci dai pettegolezzi.
Non era passato il terzo giorno, quando una carrozza da posta fermavasi al cancello della villa Nori, e gli abitanti di questa, chiamati fuori dalla curiosità, videro scendere e penetrare con passo affrettato in giardino Emilio Lograve. Esclamazioni di stupore, saluti ed abbracci degli uomini. Matilde avrebbe fatto volentieri una smorfia; fece in cambio un sorriso ospitale.
— Sei stato proprio buono a venirci fare una visita in questo deserto! disse Alberto.
— Una visita! rispose Emilio con allegra baldanza. Ah, credete di liberarvi di me come di una visita? Sapete una cosa? Partiti voi, mi sono accorto che era un’uggia insoffribile il rimanere in città. Ho fatto su le mie valigie, ed eccomi qui per non andarmene via più che quando ve ne andrete voi altri.
Matilde questa volta non potè dissimulare la smorfia: la fece appena visibile, ma la fece.
— Mi rincresce, rispose Alberto, che la casa è piccola e non possiamo offrirti che una cameretta...
— Ma io non ho bisogno di camera nessuna, Ci ho il mio quartiere...
— Dove?
— Là, in quella casetta, se non isbaglio, che mi attende a finestre e porte spalancate.
— Come! sei tu il pigionale del palazzotto?
— Sono io.
— Tanto meglio! Bravissimo! Ecco una bella idea!
Emilio fu subito un prezioso compagno; lui a regolare dieta e passeggiate del convalescente e somministrargli farmaci opportuni; lui a guidare per quelle amene colline escursioni che riuscivano salutifere e dilettevolissime ai grandi e ai piccini; lui a sollazzare questi ultimi con giuochi, racconti ed esercizî ginnastici; lui a dare al padrino la soddisfazione di vincerlo agli scacchi, a far la partita al bigliardo con Alberto e con Cesare; lui a fare a questi due da maestro di caccia, mandandoli sempre più meravigliati della sua abilità di tiratore di cui poi e l’uno e l’altro narravano a gara in famiglia le stupende gesta. Matilde, senza dirsene chiaro il perchè, udiva sempre quei racconti con una mala voglia che era quasi un presentimento di male.
Quella di Emilio fu una perfezione di dissimulazione che avrebbe ingannato qualunque. Eppure uno vi fu che riuscì a travedere sotto quella maschera; e fu Battista. Egli sorprese due o tre volte lo sguardo ardente, cupido che il giovane, quando non visto, lanciava su Matilde; e capì allora in gran parte quello che non si era saputo spiegare. Il sedicente suo protettore sperava giovarsi di lui per le sue mire segrete sulla padrona. Ma in che modo? Chi sa? Egli avrebbe fatto mostra di nulla, avrebbe aspettato, e poi, secondo le proposte e le condizioni e i casi, sarebbesi deciso.
Non gli venne l’idea che sarebbe stata opera buona l’avvertire il padrone: ma questi avrebbe egli creduto? Era facile ancora che se la pigliasse con lui, improvvido denunciatore, che non aveva nessuna prova da fornire della sua accusa. E Battista continuò nella sua profonda aria da nesci.
Se Battista aveva penetrato in parte il segreto del signor Lograve, questi, acuto e minutissimo osservatore, aveva scoperto un pari segreto di Battista; del qual segreto egli aveva già avuto sentore, fin da quando erano ancora in città. Un giorno, avutolo in disparte, egli disse al servo a bruciapelo:
— Briccone!... Tu te la intendi affatto con Lisa.
Battista arrossì fino agli occhî.
— Non è vero, gridò: neppur per sogno.
— Sfacciato bugiardo! Chi è che la notte pian piano sguscia nel giardino e se ne va alla finestra dell’anticamera, dove apparisce una forma femminile con cui, traverso l’inferriata, scambia strette di mano, e anche baci... e discorsi che non finiscono più?
— Lei ci ha visti?
— Come ti vedo in questo momento, dalle mie finestre, caro mio: la notte io dormo poco.
— Ah! signore, per carità non ci rovini.
— Che paura ci hai?
— Ci manderebbero via tutt’e due, e saremmo in mezzo alla strada... Quando Lisa è venuta in casa, siccome è belloccia, la padrona mi fece due righe di sermone per proibirmi di farle il galante, e il signor Alberto, senza tante frasi, soggiunse che appena s’accorgesse di qualche famigliarità fra di noi, ci avrebbe messi alla porta ambedue. Che vuole? Forse appunto perchè la era il frutto proibito, me ne sono innamorato; essa mi corrispose, e poichè di giorno ci è impossibile stare a parlare insieme, e di notte essa dorme a un capo della casa e io dall’altro senza possibile comunicazione, abbiamo imaginato di trovarci insieme a quel modo.
— E che intenzioni sono le tue?
— Le più oneste del mondo; sposarla... quando ne avessi i mezzi. Ma in questa casa ci è impossibile; e trovarci un’altra casa conveniente per tutt’e due non è sì facile. Per ciò avevo accettato con premura certe sue offerte, o meglio promesse...
— Non ho dimenticato quello che ti ho detto; e non andrà forse molto tempo che ti leverò di impiccio.