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110 | LA TESTA DELLA VIPERA |
prare ad ogni modo quella bicocca! Ora avrebbero dovuto rassegnarsi alla seccatura di aver lì a ridosso chi sa chi, forse indiscreto, pettegolo, maligno, che poteva ficcare, ed avrebbe ficcato il naso nei fatti loro. Almeno si sapesse chi fosse!
Battista, che aveva ascoltato colla sua aria da nesci, senza batter ciglio, fu rimandato a interrogare, tornò a riferire con aria, più da nesci di prima, che non si conosceva il nome del forestiero, ma che si sapeva che era un uomo solo col suo servitore.
— Meno male! disse Alberto. Possiamo sperare di salvarci dai pettegolezzi.
Non era passato il terzo giorno, quando una carrozza da posta fermavasi al cancello della villa Nori, e gli abitanti di questa, chiamati fuori dalla curiosità, videro scendere e penetrare con passo affrettato in giardino Emilio Lograve. Esclamazioni di stupore, saluti ed abbracci degli uomini. Matilde avrebbe fatto volentieri una smorfia; fece in cambio un sorriso ospitale.
— Sei stato proprio buono a venirci fare una visita in questo deserto! disse Alberto.
— Una visita! rispose Emilio con allegra baldanza. Ah, credete di liberarvi di me come di una visita? Sapete una cosa? Partiti voi, mi sono accorto che era un’uggia insoffribile il rimanere in città. Ho fatto su le mie valigie, ed eccomi qui per non andarmene via più che quando ve ne andrete voi altri.