§ 1 — Val di Bisenzio

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Due parole al Lettore II

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§ 1. — Val di Bisenzio.

Presenta belle e svariatissime forme la valle del Bisenzio e, dal piede dei monti che la cingono sino alle loro vette, vi si riscontrano quasi tutte le zone della vegetazione italiana.

A seconda dell’altitudine, della esposizione e della positura, vi abbiamo grani, frumenti, legumi, oliveti, vigne, foreste di pini e di acacie, di annosi e ben tenuti castagni; più oltre il faggio dalle foglie colorate a toni svariati e abetie, che, quantunque abbastanza belle e vaste, sono pur nonostante un ben misero avanzo di quelle che un tempo doveano ombreggiare quei luoghi ermi ed alpestri. Non è di grande estensione questa vallata posta sulla linea destra dell’Arno, ma oltrechè per l’industria agricola, è importante anche per quella manifatturiera.

Ha molti ragguardevoli edifici industriali cui dà moto e vita l’onda benefica del Bisenzio.

Vi sono ferriere, lavorazioni di rame. Vi son pure moltissimi lanifici idraulici, che mentre tengono occupate migliaia di persone, lungo il percorso del fiume, [p. 8 modifica] servono eziandio a tener viva l’industria lanifera di Prato, città che, se non fu chiara per l’origine della gente, è tale certamente per le arti, per i commerci e l’indole viva, intraprendente, degli abitanti.

La parte superiore del Bisenzio (e per questa intendiamo quel tratto di territorio che dallo spartiacque appenninico si estende fino a dove si apre il piano fiorentino) appartiene a quattro comuni: Cantagallo a ponente, Barberino di Mugello a levante, Prato a mezzogiorno, Vernio a settentrione.

La posizione geografica della vallata è fra 43° 51' e 44° 5' 28" di latitudine nord; cioè dalle estreme pendici di Pizzidimonte alla sommità del monte della Scoperta; e fra 1° 16' e 1° 25' 3" di longitudine ovest dal meridiano di Roma; cioè dai fianchi più verso oriente della Calvana, al monte sopra la Cascina di Spedaletto, nel cui dorso settentrionale scorrono le due Limentre.1

Certamente i Romani, popolo colonizzatore per eccellenza, non poterono trascurare queste belle e fertili pendici appenniniche; tanto più che i militi Sillani mandati in colonia ad aggiungersi ai Fiesolani, si distesero pel piano, fondarono o almeno accrebbero Firenze, si stanziarono a Prato e dettero ai paesi della valle i loro propri nomi2. Fabio, Popigliano, Luciana, Logomano, Vernio stesso hanno nei loro nomi una etimologia di famiglie e di vocaboli latini.

Nel Medio Evo vi furono eretti in buon dato monasteri, specialmente di Benedettini o di ordini derivati da essi. [p. 9 modifica]

Ricordo i più noti.

La Badia di S. Salvatore a Vaiano fondata dai Monaci Cluniacensi fino dal 1073 e da questi ceduta poi ai Vallombrosani.

Uno degli abati titolari di questa Badia fu Agnolo Firenzuola, il quale se non rifulse di bella luce per le sue attitudini monastiche, che sembra davvero non fossero il suo forte, dette mostra però di colto, di vivo e svariatissimo ingegno.

Molti nomi di luoghi e posizioni da lui predilette in Val di Bisenzio, come Meletto, Filettole, Cantagrillo, Rimaggio, si trovano mentovati in quel gioiello d’arte letteraria che è «La prima veste dei discorsi degli animali». Nacque nel 1493, da una famiglia Giovannini, si chiamò Firenzuola, dal luogo nativo, Firenzuola del Santerno. Mancò ai vivi circa il 1545.

La Badia di Roti, tra Luicciana e Fossato, ove, dicono, vivesse santamente esercitando umilissimi uffici uno dei conti Alberti di Vernio. Sui ruderi di questa il Conte Ferdinando Guicciardini ha costruito una elegante e graziosa abitazione estiva.

La Badia di Montepiano, sulla sinistra della Setta, celebre negli annali dell’ordine di Vallombrosa.

Del pari che monasteri, vi furono edificati rocche e turriti castelli, come quello di Vernio, di Luciana e specialmente quello più rinomato della Cerbaia3 che [p. 10 modifica]soggioga per gran tratto val di Bisenzio ed i cui ruderi si veggono ancora torreggiare su un contrafforte al disopra di Usella, quasi minaccia, imbelle telum, di tempi che furono, contro i moderni.

Da questi castelli i feudatari spargevano, se buoni, i loro beneficî; se cattivi, il terrore e la desolazione.

Sventuratamente i buoni furono pochi!

Gli Alberti, detti Conti Rabbiosi, usciti dal sangue degli antichi marchesi di Toscana ed estinti in Firenze nel 1686, vi dominarono per oltre tre secoli. Fierissimi, crudeli, molti di essi gravarono la mano sui miseri servi della gleba e lasciarono trista fama di sè.4

Dante ricorda, nel canto XXXII dell’Inferno, Napoleone ed Alessandro degli Alberti, i quali furono di cuore così perverso che per tôrre l’uno all’altro le fortezze che avevano in val di Bisenzio, vennero a tanta ira e malvagità d’animo, che l’uno uccise l’altro, e così insieme circa il 1258 morirono.5

Cerbaia fu testimone dell’orrendo fratricidio. Questi sciagurati vengono dipinti immersi nel ghiaccio fino alla cintola, insieme cozzantisi le teste rabbiosamente, e il poeta si fa dire da uno degli abitatori di quella bolgia:

«Se vuoi saper chi son cotesti due
     «La valle onde il Bisenzio si dichina
     «Del padre loro Alberto e di lor fue.

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«D’un corpo usciro e tutta la Caina
     «Potrai cercare e non troverai ombra
     «Degna più d’esser fitta in gelatina.6»


Narra la leggenda che Dante ricevesse da questa nobil famiglia un’azione degna di loro. — Calcava gli amari passi dell’esilio; stanco, affamato, giunse a sera inoltrata, alle porte del Castello; chiese fidente l’ospitalità. Gli fu negata, ed il poeta, gloria d’Italia e del mondo, dovè passar la notte a ciel sereno, ovvero ricoverato da qualche misero operaio, che aveva il cuore più gentile dei malvagi blasonati.

Condannato a una notte di gelo da essi, se ne vendicò condannandoli al gelo eterno, li marcò d’una nota d’infamia, che durerà finchè sarà letto il divino poema, ossia finchè nei petti umani durerà il senso del vero e del bello.

Tali discordie fraterne furon seme di altri delitti, poichè il Conte Alberto di Celle, figlio dell’ucciso Alessandro, tolse di vita nel dì delle nozze, 15 febbraio 1286, il cugino Conte Orso, figlio di Napoleone.

«Vidi conte Orso e l’anima divisa
     «Dal corpo suo per astio e per inveggia,
     «Com’e’ dicea, non per colpa commisa».7

Spinello, bastardo, a sua volta uccise lui suo zio nel Castello di Mangona il 19 Agosto 1325. Giustizia di Dio!

Note

  1. Bertini prof. Emilio. Guida di Val di Bisenzio.
  2. Vittorio Fedeli. Opera Pia di S. Niccolò. 1875.
  3. I primi documenti che parlano di Cerbaia, Cerbaria delle antiche pergamene, Cervaia degli strumenti notarili del sec. XIV, appartengono al sec. XII. In quei tempi la ròcca era guardata da pochissimi sgherri d’un barone Alemanno che ne aveva acquistato il possesso col ferro alla mano. Gli Alberti investiti di questo e d’altri feudi da Federigo Barbarossa, ne cacciarono il tirannello straniero nel 1165.
  4. I Conti Alberti erano legati con vincoli di parentela agli Ezzelini! Ezzelino da Romano detto il Monaco, sposava nel 1175, Adelaide degli Alberti, la più avvenente delle donne d’allora, dotta nel trivio e nel quadrivio — enciclopedia medioevale — e nell’astrologia giudiziaria. Sposa infelice! Quali figli feroci ebbe Ella mai!
  5. Ann. Fior. Graziolo dei Bambaglioli. — Scartazzini.
  6. Dante. Inferno, XXXII. 19.
  7. Dante. Inferno, XIV. 19.