La signora dalle camelie (teatro)/Atto III/Scena terza

Scena terza

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SCENA TERZA


Margherita, Gustavo ed Erminia, poi Nanetta.


Margherita. Tu vedi, Erminia, qual è il nostro tenore di vita da tre mesi a questa parte. [p. 51 modifica]

Erminia. Sei felice?

Margherita. Oh, molto!

Erminia. Non te l’ho più volte ripetuto, o Margherita, che la vera felicità si trova nel riposo e nelle tranquille abitudini del cuore? Quante volte io e Gustavo abbiamo detto. Quando mai Margherita si deciderà ad amare qualcuno, e cambierà questo suo sistema di vita, che non può che nuocere alla sua salute?...

Margherita. Ebbene, il vostro augurio si è avverato; io amo: ho forse invidiato il vostro amore e la vostra felicità, e mi sono cambiata.

Gustavo. Voi non potete comprendere, o signora, qual gioia abbiamo provato quando abbiamo sentito che v’eravate decisa a ritirarvi ad Auteuil.

Erminia. Oh, tu, Margherita, non puoi farti un’idea del come viviamo Gustavo ed io. Tu credi vivere semplicemente qui, in campagna; ma che diresti poi se vedessi le mie due piccole camere in strada Dupré al quinto piano, le di cui finestre guardano in un giardino, nel qu«le non vi veggo mai entrare alcuno? Dio buono! ma si può forse possedere un giardino e non passeggiarvi almeno per un terzo della giornata? pensare che io li amo tanto i fiori, e che darei non so che cosa per avere un pezzettino di terreno da lavorare io stessa!

Gustavo. Il nostro appartamento sembra un romanzo di Goëthe posto in musica da Schubert!

Erminia. Gustavo dice che è troppo melanconico!

Gustavo. No, dico soltanto che è troppo in alto: centottanta gradini!... e per quanto io pure ami questa semplicità pastorale, che tutt’al più è buona per sei mesi dell’anno, qui ad Auteil, per esempio, se mio [p. 52 modifica]zio mi concedesse il tanto sospirato assenso, noi pubblicheremo il nostro segreto matrimonio, ed andremmo ad abitare un appartamento di sette stanze nel sobborgo Sant’Onorato; ben inteso che col consenso vi fosse anche l’assegno delle diecimila lire.

Margherita. Ma lo zio del signor Gustavo non ti conosce ancora?

Erminia. No; ha sempre ricusato di vedermi. Egli è ancora della razza di quelli zii, che credono che le modiste siano nate per mandare in rovina i loro nipoti; egli vorrebbe che Gustavo sposasse una donna del gran mondo!

Gustavo. Egli si calmerà; già quello che è fatto è fatto: e poi, dopo che ho presa la laurea d’avvocato, è diventato più umano.

Erminia. Ah! è vero, mi dimenticavo di dirtelo: Gustavo è avvocato.

Margherita. Me ne rallegro, ed in un bisogno gli affiderò le mie cause.

Erminia. Egli ha già patrocinato; io era presente all’udienza.

Margherita. Ed ha guadagnato?

Gustavo. Ho perduto come un povero neofita; il mio accusato fu condannato a venti anni di lavori forzati.

Erminia. Per fortuna!

Margherita. Come per fortuna!

Erminia. Il suo cliente era un birbante matricolato.

Gustavo. Una specie d’assassino; Erminia ha ragione; è meglio così.

Erminia. E tu, Margherita, quand’è che ti deciderai a fare quello che ho fatto io?

[p. 53 modifica]Margherita. Chi vuoi che io sposi?

Erminia. Armando.

Margherita. Armando!... egli ha diritto d’amarmi, ma non già il dovere di sposarmi. So bene che se io dicessi una sola parola, Armando mi sposerebbe domani.

Erminia. Infine poi dei conti, purchè tu sia contenta e felice...

Margherita. Ti ripeto che io sono felice; ma chi avrrebbe mai sognato un giorno che io, Margherita Gautier, non vivrei che per l’amore d’un uomo, che passerei le intiere giornate accanto a lui, lavorando ed ascoltando le sue dolci parole? Oh, io posso parlare francamente a voi, perchè è il vostro giovine cuore che m’ascolta. Ebbra di quest’amore, sonvi dei momenti nei quali mi sforzo di dimenticare quella che sono stata, e divido la mia vita in due periodi talmente opposti l’uno all’altro, che sembrami che il presente possa distruggere il passato. Incomprensibile a me stessa, io dovrei anche esserla per gli altri, quando, indossata una veste bianca, coperto il capo d’un cappellino di paglia e portando sulle braccia la mia pelliccia, io scendo con Armando in un battello, che lasciato scorrere in balìa de’ venti e delle onde, va a fermarsi alle rive dell’isola vicina; nessuno allora crederebbe che quell’ombra bianca è Margherita Gauthier. Io ho speso in comperare mazzetti di fiori tanto denaro, quanto ne può bastare ad un’onesta famiglia per vivere un anno intiero; in oggi invece, un fiore come questo regalatomi da Armando mi basta per tutta la giornata. D’altronde, voi ben sapete che quando s’ama realmente, le ore sono così brevi! e [p. 54 modifica]senza accorgersene, noi ci troviamo al termine delle settimane, dei mesi... Oh! sì, io sono felice, ma voglio esserlo ancora di più. Voi non sapete ancora tutto...

Erminia. E che?

Margherita. Tu mi dicevi poc’anzi che, per quanto semplice fose il mio vivere, non era però paragonabile al tuo; ebbene, non me lo dirai per lungo tempo.

Erminia. Come!

Margherita. Senza che Armando dubiti di nulla, venderò tutto quello che posseggo a Parigi, persino la mobilia del mio appartamento, nel quale non voglio più ritornare. Pagherò tutti i miei debiti, e prenderò in affitto una piccola casa vicino alla vostra. All’estate torneremo alla campagna, ma in una casa più semplice di questa. Vi sono delle persone che ignorano cosa sia felicità; voi me l’avete insegnato; ora sono in caso d’insegnarlo agli altri.

Nanetta. Vi è di là un signore che chiede parlarvi.

Margherita. Senza dubbio il procuratore che io attendeva. Andate a fare un giro in giardino, verrò a raggiungervi. (Erminia e Gustavo escono) Fallo entrare. (Si dirige verso la comune)