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zio mi concedesse il tanto sospirato assenso, noi pubblicheremo il nostro segreto matrimonio, ed andremmo ad abitare un appartamento di sette stanze nel sobborgo Sant’Onorato; ben inteso che col consenso vi fosse anche l’assegno delle diecimila lire.
Margherita. Ma lo zio del signor Gustavo non ti conosce ancora?
Erminia. No; ha sempre ricusato di vedermi. Egli è ancora della razza di quelli zii, che credono che le modiste siano nate per mandare in rovina i loro nipoti; egli vorrebbe che Gustavo sposasse una donna del gran mondo!
Gustavo. Egli si calmerà; già quello che è fatto è fatto: e poi, dopo che ho presa la laurea d’avvocato, è diventato più umano.
Erminia. Ah! è vero, mi dimenticavo di dirtelo: Gustavo è avvocato.
Margherita. Me ne rallegro, ed in un bisogno gli affiderò le mie cause.
Erminia. Egli ha già patrocinato; io era presente all’udienza.
Margherita. Ed ha guadagnato?
Gustavo. Ho perduto come un povero neofita; il mio accusato fu condannato a venti anni di lavori forzati.
Erminia. Per fortuna!
Margherita. Come per fortuna!
Erminia. Il suo cliente era un birbante matricolato.
Gustavo. Una specie d’assassino; Erminia ha ragione; è meglio così.
Erminia. E tu, Margherita, quand’è che ti deciderai a fare quello che ho fatto io?