La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXXX

Capitolo XXXX

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Capitolo XXXX.

Di ciò che avvenne in Damiata alla buona Dama Madonna la Reina.


Qui davanti avete udito le grandi persecuzioni e miserie che ’l buon Re San Luigi e tutti noi abbiamo sofferte ed addurate oltre mare. Ora anche sappiate che la Reina, la buona Dama, non ne iscapolò punto senza averne la parte sua, e ben aspra al cuore, siccome udirete qui appresso. Perchè tre giorni avanti ch’ella partorisse, le vennero le amare novelle che ’l Re suo buon barone era preso. Delle quali novelle ella ne fu così turbata in suo corpo, ed a sì grande misagio, che senza posa in suo dormire le sembrava che tutta la camera fusse piena di Saracini venuti per ucciderla, e senza fine gridava: a l’aiuto a l’aiuto, là dove anche non c’era anima. E di grande paura che il frutto ch’ella portava non ne perisse, faceva durare tutta notte un Cavaliero al piede del suo letto senza dormire. Il qual Cavaliero era provato ed antico di ottant’anni e più: ed a ciascuna fiata ch’ella isgridava, ed egli la tenea per mezzo le mani, e le diceva: Madonna la Reina, state, io sono con voi, non aggiate paura. E avanti che la buona Dama, infantando, si dovesse giacere, ella fece vuotar la camera de’ personaggi che vi erano, fuor che di quel vecchio Cavaliere, e quando fu sola con lui, gli si gittò innanzi a [p. 165 modifica]ginocchi, e lo richiese che le donasse un dono. E il Cavaliero glielo ottriò per suo sagramento. E la Reina gli va dire: Sir Cavaliero, io vi richieggo sulla fede che voi m’avete donata, e per la fede che dovete al Re mio e vostro Signore, che se i Saracini prendessono Damiata, durante il tempo di mio giacere, che voi mi tagliate il capo avanti ch’essi possano toccare al mio corpo. E il Cavaliere con sereno viso le rispose, ch’egli molto volentieri il farebbe, e che già avea avuto in pensiero di così fare se il caso fosse accaduto.

Nè tardò guari che la Reina isgravossi nel detto luogo di Damiata d’un figliuolo ch’ebbe in nome Giovanni, ed in suo sovranome Tristano, per ciò ch’egli era nato in tristezza ed in povertà. E il proprio giorno ch’ella isgravossi, fulle detto che tutti quelli di Pisa e di Genova, e tutta la povera Comune che era nella Città, se ne volevano fuggire e lassare il Re. E la Reina li fece venire davanti il suo letto e loro domandò e disse: Signori, per la Dio mercè vi supplico ch’egli vi piaccia non abbandonar mica questa Città, perchè voi sapete bene che Monsignore lo Re, e tutti coloro che sono con lui sarebbono tutti perduti: e tuttavia s’egli non vi viene a piacere di così fare, almeno aggiate pietà di questa povera cattiva Dama che costì giace, e vogliate tanto attendere ch’ella sia rilevata. E coloro le rispuosono, ch’egli non era possibile, e ch’essi morrebbono tutti di fame in così fatta cittade. Ed ella loro rispose ch’e’ già non vi morrebbon di fame, e ch’ella farebbe accattare tutta la [p. 166 modifica]vittovaglia che si potrebbe trovare nella cittade, e ch’ella li terrebbe oggimai alle spese del Re. E così le convenne fare, e fece comprare di vittovaglia ciò ch’uomo ne potè trovare, ed in poco di tempo, avanti il suo rilevamento le costò trecensessanta mila lire e più per nodrire quelle genti; e ciò non ostante convenne alla buona Dama levarsi avanti il suo termine, e ch’ella andasse ad attendere nella Città d’Acri, per ciò che bisognava rilasciare Damiata ai Turchi ed ai Saracini.