La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XI

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Capitolo XI.

Dell’obblio in che fu lasciata la grazia fattaci da Dio nel donarci Damiata.


Ora diciamo in noi medesimi qual grazia ci fece Dio nostro Creatore quand’egli ci difese di morte e di periglio allo arrivare che femmo, allorchè noi tuttavia a piè, corremmo a gioia sovra i nostri nimici che bene erano a cavallo? E qual altra più grande grazia ci fece il buon Signor Nostro, quand’elli ci liverò1 Damiata senza danno de’ nostri corpi, la quale giammai non avremmo potuto avere, se non l’avessimo ottenuta per affamare? Certo la grazia è molto grande, e bene il possiamo dire e vedere tutto chiaramente.

Il Re Giovanni ben l’avea altra fiata presa per fame al tempo de’ nostri predecessori; ma nel fatto nostro io dubito che il buon Signore Iddio possa [p. 63 modifica]altrettanto dire di noi come egli disse de’ figliuoli d’Israelìo, quando li ebbe condotti e menati nella Terra di promissione, perchè elli rimproverò loro, dicendo: et pro nihilo habuerunt terram desiderabilem, con ciò che segue. Ed e’ lo diceva perciò ch’essi l’aveano obbliato, ed egli loro avea tanto fatto di bene, poichè li aveva salvati e messi fuora della cattività di Faraone, e donati della Terra promessa: ed altresì potrà egli aver detto di noi, che tosto l’obbliammo come sarà detto qui appresso.

E comincerò nella persona stessa del Re, il quale fece convocare e appellare tutti suoi Baroni, e Prelati ch’erano venuti con lui, e loro domandò consiglio sul che dovea fare dei beni ch’avea trovati nella città di Damiata, e com’essi si doveano dispartire. Un Patriarca, che là era, parlò il primiero e gli disse2: Sire, e’ mi sembra ch’egli è buono che voi riteniate tutto il frumento, orzo, riso ed altri viveri, affinchè la cittade non ne dimori isguernita, e che voi facciate gridar nell’oste che tutti gli altri mobili sieno apportati nella magione del Legato sotto pena di scomunicazione. Al quale consiglio si accordaro tutti li Baroni e gli altri: pel che fu fatto così. E ne furo trovati valere li beni mobili apportati presso il Legato intorno a sei mila lire. E quando tutto fu assembrato nella magione del detto Legato, il Re ed i Baroni inviarono chiedere il buon produomo Messer Giovanni di Valerì. E quand’elli fu venuto, il Re gli disse ciò ch’egli avea fatto, e come gli era stato trovato [p. 64 modifica]pel suo Consilio che il Legato darebbegli le sei mila lire che valevano i mobili apportati al medesimo, affinchè egli le dispartisse là ove stimasse doversi ciò far per ragione, e fussero il meglio impiegate. Sire, disse allora il prod’uomo, io vi ringrazio molto umilmente dell’onore che mi fate: ma ciò non vi spiaccia, chè l’offerta non prenderò io punto. Già se a Dio piace, non disfarò io li buoni costumi antichi, e tali che li han tenuti i nostri predecessori in Terra Santa. Perchè quando essi avean preso sugli inimici alcuna cittade o guadagnato alcun grosso bottino, di tali beni che si trovavano in tale città il Re non ne dovea avere che il terzo, e le due parti ne doveano avere i pellegrini. E questa costuma tenne molto bene lo Re Giovanni quando altra fiata elli prese Damiata3. Ed in così ch’io ho udito dire a’ miei antenati, il Re di Gerusalemme che fu davanti lo Re Giovanni tenne questa costuma altresì senza fallirvi d’un punto. Ora avvisate; e se voi mi volete assegnare le due parti del frumento, orzo, riso, e delle altre cose che avete ritenute, ed io assai volentieri le dispenserò ai pellegrini per lo onore di Dio, e per mantenenza dell’antica costuma. Il Re non ebbe per aggradevole questo consiglio, e dimorò la cosa così, donde molte genti si tennero assai mal contente del Re, di che egli avea rotte le buone antiche costumanze.

Le genti del Re, quando furono a loro agio e bene alloggiate; esse, che avrebbon dovuto intertenere [p. 65 modifica]dibonarmente li mercatanti e’ seguenti l’oste con loro derrate e mercatanzie, allogarono invece e appaltaro ai medesimi le stazzone e li fondachi per vendervi le mercatanzie loro così care come fare il poteano. Donde avvenne che la nomèa di ciò si sparse nelle istranie terre, e giunse a coloro che volean di lontani paesi menar viveri all’oste, i quali perciò dimoraronsi del venire, il che apportò un molto gran male e dannaggio.

Li Baroni, Cavalieri ed altri ch’avrebbon dovuto guardare diligentemente il lor bene, e farne sparagno per soccorrersene in luogo ed in tempo, si presero a far grandi banchetti gli uni agli altri in abbondanza di deliziose vivande. Ed il comune popolo scapestrandosi si prese a forzare e violare donne e donzelle, donde uscinne gran male. Perchè egli bisognò che ’l Re ne donasse congedo a tutto spiano di sue genti ed officiali, poichè, siccome esso buon Re mi disse, egli trovò sino a uno gitto di pietra, presso e allo intorno del suo paviglione, molti bordelli4 che le sue genti teneanvi, ed altri mali assai più che in oste egli avesse mai visto.

  1. Liverare per abbandonare, usato nel Volgarizzamento delle Decadi di Livio ed altrove.
  2. Guido di Puglia Patriarca di Gerusalemme.
  3. Giovanni di Brienne Re di Gerusalemme prese Damiata nel Novembre del 1219.
  4. II Signore di du Cange scrive a questo luogo — Le mot de Bordel, pour designer un lieu infame, lupanar, vient de ce qu’ordinairement les garces et autres gens de cette farine habitoient les petites maisons, qu’on vieux langage François on nommoît bordels, du diminutif de Borde, qui signifie maison; et probablement a esté emprunté du Bord dos Saxons-Anglois, ou ce mot a la même signification. —