La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo LI

Capitolo LI

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Capitolo LI.

Ove si conta per inframmessa del buon Conte di Giaffa Messer Gualtieri di Brienne, delle sue cavallerie, e della sua pietosa morte.


Ma poichè buona cosa è a raccontare ed a ridurre a memoria li fatti e virtudi d’alcuno eccellente Principe, pertanto qui parleremo ora del buon Conte di Giaffa, Messer Gualtieri di Brienne, il quale in suo vivente, a gran forza di fatti d’arme e di cavalleria, tenne la Contea di Giaffa per più anni, lui essendo assalito dagli Egiziani, e senza ch’e’ gioisce d’alcuna rendita, ma solamente di ciò ch’elli poteva guadagnar nelle corse ch’e’ faceva sui Saracini e nimici della Fede Cristiana. Ed avvenne una fiata ch’egli disconfisse una gran quantità di Saracini che menavano un grosso carico di drappi di seta di diverse sorte, li quali tutti guadagnò egli ed apportò in suo Castello: e quando vi giunse, li dipartì anche tutti a’ suoi Cavalieri senza che gliene dimorasse neente. Ed avea tale maniera di fare, che la sera, quando s’ era dipartito da’ suoi Cavalieri, entrava in una sua Cappella, e là era lungamente a rendere grazie e lodi a Dio, e poi se ne veniva giacere colla Donna sua, che molto buona dama era, ed era sorella del Re di Cipri.

Ora avete udito qui innanzi commente l’uno de’ Principi dei Tartarini aveva espulso e ributtato, a soli trecento Cavalieri, l’Imperadore di Persia a [p. 206 modifica]tutto trecento mila Cavalieri, per l’aita di Dio, fuori del suo Reame ed Imperio; al presente sapremo noi la via che tenne quello Imperadore di Persia ch’avea nome Barba Can. Quel Barba Can se ne venne nel Reame di Gerusalemme, e fece alla sua venuta molto di male, perch’egli prese il castello di Tabaria, che apparteneva a Messer Eude di Monbeliero, ed uccise tante di nostre genti quante potè trovarne fuori del Castel Pellegrino, fuori d’Acri, e fuori di Giaffa. Quando ebbe fatto tutto il male che potea fare, si tirò egli verso Babilonia affine d’aver soccorso da quel Soldano, che doveva venire a lui per correre su le nostre genti. Ed in questo periglio i Baroni del Paese, ed i Patriarchi avvisarono ch’essi andrebbono combattersi all’Imperatore avanti ch’egli avesse soccorso dal Soldano di Babilonia. Ed inviarono, cherendo soccorso, al Soldano d’Emessa, che l’uomo dicevan della Cammella, il quale era l’uno dei migliori Cavalieri e dei più leali che fusse in tutta Paganìa. Il quale venne ad essi, e fu ricevuto a grandissimo onore in Acri, e poscia appresso tutti insieme si partirono d’Acri e vennero a Giaffa. Quando tutti vi furono raccolti, le nostre genti pregarono il Conte Gualtieri ch’e’ volesse venir con loro contra l’Imperadore di Persia; ed il produomo rispose che molto volentieri verrebbevi solo che il Patriarca d’Acri lo assolvesse, il quale da alquanto tempo lo aveva iscomunicato, per ciò ch’e’ non voleva rendere una torre, ch’era nel suo castello di Giaffa, e che si appellava la torre del Patriarca. Ma il Patriarca [p. 207 modifica]non volle unqua di ciò fare niente, e pur nulla meno non lasciò il Conte Gualtieri per suo gran cuore di venire coi nostri in battaglia. E furono fatte tre battaglie, delle quali Messer Gualtieri ebbe la prima, il Soldano della Cammella l’altra, e il Patriarca coi Baroni del Paese la terza; e colla battaglia di Messer Gualtieri erano i Cavalieri dello Spedale.

Quando queste tre battaglie furo arredate, tutte si mossero e piccarono senza rattento. E tantosto vennero loro all’occhio i nemici, i quali sapendo la venuta delle nostre genti s’arrestarono e dispartironsi parimente in tre battaglie. E quando il Conte Gualtieri di Brienne vide che i suoi nimici s’ordinavano, si gridò: Signori, che facciam noi? noi diam loro podere di mettere arredo ed ordine nelle battaglie, e così cresciam loro il cuore quando ci vedono qui soggiornare: sicchè vi prego per Dio che noi loro andiam correr sopra. Ma unqua non ci ebbe alcuno che gliene volesse credere. Ed elli vedendo che anima non se ne volea muovere, si tirò verso il Patriarca per domandargli la sua assoluzione, e questi anche non ne volle far niente. In quella col Conte si trovò un Cherco molto notabile, che era Vescovo di Raima, e che avea condotti molti bei fatti di cavalleria nella compagnia del Conte Gualtieri; il quale Vescovo disse al Conte: Non vi turbate mica in vostra coscienza della iscomunicazione del Patriarca, perchè ha egli ora gran torto, ed io di mia possanza vi assolvo al nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. E poi aggiunse: [p. 208 modifica]Su, su, andiamo, e corriamo sovra loro. Ed allora ferirono degli speroni, e si assembrarono alla battaglia dell’Imperatore di Persia, la quale era la diretana, e nella quale avea troppo gran pieno di gente per la poca possanza del Conte Gualtieri e della sua schiera. E là ci ebbe d’una parte e d’altra gran quantità di gente uccisa; ma ciò non ostante fu preso il Conte Gualtieri, perchè tutte sue genti si dettero svergognatamente alla fuga, e molti per troppa disperanza e rammaricchio s’andarono a gittare in mare1. E la causa dello sperpero e della disperazione, fu per ciò che l’una delle battaglie dello Imperadore di Persia si venne con tanto isforzo di gente a combattere col Soldano della Cammella, che, sebbene egli si difendesse a gran colpi ed a grandissimi fatti d’arme, pur tuttavia, avendo troppo fievole possanza al contrasto, di due mila Turchi che seco aveva, non gliene rimasero più di ottanta, e forza gli fu ritrarsi al suo castello della Cammella.

E vedendo lo Imperadore di Persia ch’egli avea avuto vittoria, prese in suo consiglio ch’egli andrebbe assediare il Soldano sino nel suo Castello della Cammella, ciò che a suo tempo volle fare. Ma sappiate che male gliene prese, perchè quel Soldano, come bene avvisato e consigliato, appellò le sue genti, e loro rimostrò, e disse: Signori, se noi ci lasciamo assediare, noi siamo perduti: pertanto egli val meglio che noi andiamo correre loro sopra per arte di guerra. E di fatto egli inviò delle sue [p. 209 modifica]genti quelle che erano male armate per di dietro una valle coverta, e insegnò loro colpissero improvvisi alle spalle l’oste dell’Imperadore: ciò ch’essi effettuaro, e fatto tempestosamente impeto nel carriaggio, si presero ad uccidere donne e fanciulli. Or quando lo Imperadore, che cavalcava molto davanti, udì il clamore dell’oste, si tornò indietro per al soccorso: ma appena ebbe volto il dosso, ecco il Soldano della Cammella, con ciò ch’egli aveva di buone genti d’armi, gittarsi sovra di lui. Per che egli avvenne che da due lati l’Imperadore fu sì duramente ed impensatamente assalito che di ben venticinquemila uomini ch’egli aveva, non gli dimorò uomo nè donna nè piccolo infante che tutti non fussono tagliati e messi alla morte.

Ora voi dovete sapere che lo Imperadore di Persia avanti ch’elli si partisse per andare all’assedio della Cammella, aveva menato il buon Conte di Giaffa Messer Gualtieri di Brienne davanti la sua città, e là lo fece impendere per le braccia alle forche veggenti quelli che erano nel castello di Giaffa, e facea bociar loro che giammai non farebbe dispendere il loro Conte sino a che non gli fusse reso il detto Castello. Ed in così che il povero Conte pendeva, egli gridava ad alta voce alle sue genti che, per nulla cosa ch’essi vedessero fargli, non rendessero mai il Castello, giacchè se ’l facessero lo Imperadore li farebbe tutti mettere a morte. E quando esso Imperadore vide ch’e’ non ci poteva altra cosa fare, inviò ’l Conte Gualtieri al Soldano di Babilonia, e gliene fece un presente, insieme al Maestro [p. 210 modifica]dello Spedale, e a più altri gran personaggi che aveva presi. Ed ebberci a condurre il Conte e gli altri prigionieri sino in Babilonia, ben trecento Cavalieri, ai quali prese troppo bene, perchè essi non si trovarono punto alla mortalità che fu fatta, davanti il castello della Cammella, dello Imperadore di Persia e di sue genti, donde è stato parlato pur dianzi.

Quando i Mercatanti di Babilonia seppero che ’l Soldano aveva in sue prigioni il Conte Gualtieri, assembraronsi, e tutti andarono fare un clamore al Soldano ch’egli fesse loro diritto del Conte di Giaffa, il quale li aveva strutti e spogliati parecchie fiate, e fatti loro grandi dannaggi. E così, ottemperando alla richiesta, il Soldano abbandonò loro il corpo del Conte Gualtieri perchè vi si potessero vendicare di lui. E questi cani traditori entrarono nella prigione là ove era il valente produomo, e là lo ispezzarono e lo misero a brani dopo avergli fatto più martirii soffrire, donde noi debbiam credere che l’anima sua ne sia gloriosa in Paradiso.

  1. Ciò accadde intorno al 1244.