La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo IX

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Capitolo IX.

Come ci ismovemmo di Cipri, e venimmo in vista di Damiata in Egitto.


Tantosto che fummo al buon mese1 egli fu gridato e fatto comandamento, da parte il Re, che tutti i navigli fussero ricaricati di viveri per esser presti a partire quando esso Re indicherebbelo. E quando la cosa fue fatta e compiuta, il Re, la Reina e tutte sue genti, si ritiraro ciascuno nella sua nave. Ed il proprio Venerdì innanzi la Pentecoste di quell’anno, il Re fece gridare che tutti tirassono appresso lui la dimane, e che si ferisse dritto in Egitto. E la dimane appunto giorno di Sabbato tutte le navi si partirono e fecer vela, il che era piacevole e insieme mirabil cosa a vedere, perch’egli sembrava che tutto il mare, tanto che si poteva vedere, fusse coverto di tele per la gran quantitade di vele ch’erano donate al vento, e ci avea ben mille ottocento vascelli che grandi che piccoli.

Il Re arrivò il giorno di Pentecoste ad un promontorio che si appellava la Punta di Limessone cogli altri vascelli dintorno a lui, e discesero a terra ed udiro la Messa. Ma grande isconforto arrivò a quella volta, perchè di ben duemila ottocento Cavalieri ch’erano partiti per andare appresso il Re, non se ne trovaro con lui a terra che settecento, e tutto il dimorante uno vento orribile, che a modo di scïone o di remolino, venne di verso Egitto, li separò di loro via e della compagnia del Re, e li [p. 56 modifica]gittò in Acri ed in altri strani paesi, e non li rivide il Re da lungo tempo. Donde elli e sua compagnia furono tutta quella giornata molto dolenti e isbaìti perchè li credevano o tutti morti od in grande periglio.

La dimane dappoi la Pentecoste il mal vento era bastato e spirava a grado, perchè il Re e noi tutti che eravamo con lui femmo vela da parte di Dio per tirar sempre avanti. Ed egli avvenne che, in andando, noi rincontrammo il Principe della Morea e il Duca di Borgogna insieme, li quali aveano parimente soggiornato in un luogo della Morea. Ed arrivò il Re e sua Compagnia a Damiata il lunedì appresso la Pentecoste, là appunto ove ad attenderci era gran compagnia; perchè sulla riva del mare noi trovammo tutta la possanza del Soldano che era molto bella gente a riguardare.

Lo Almirante che comandavale portava armi di fino oro lucentissime così che quando il Sole le colpiva, il ridonavano agli occhi tanto da farlo parere un altro Sole, ed il tumulto che menavano con loro corni e nacchere era una cosa molto spaventevole ad udire e molto strania a’ Franzesi.

Ciò veggendo il Re appellò tutti suoi Baroni e Consiglieri per sapere ciò che si dovea fare, ed essi lo consigliarono che attendesse sue genti a rivenire, per ciò che di sua oste non gli era rimasa la terza parte per la fortuna del vento di che v’ho detto di sopra. Ma il Re non volle di ciò niente udire nè credere, anzi diceva che pur ciò facendo egli donerebbe coraggio a’ nemici suoi, ed avvertiva insieme come non v’avesse colà alcun porto [p. 57 modifica]di mare al quale discendere per attendervi sue genti a sigurtade, sicchè aggiugneva che bene una nuova rapina di vento ci poteva sorprendere, e sbandarci e gittarci lunge qua e là in istrani paesi, come egli era avvenuto de’ suoi Cavalieri l’ultima Pentecoste. Sicchè fu accordato, al suo avviso e piacere, che il venerdì innanzi la Trinità il Re scenderebbe, ed andrebbe combattere contro a’ Saracini se pure ardissono di fronteggiarlo. E comandò il Re a Monsignore Giovanni di Belmonte ch’e’ facesse dare a Monsignore Airardo di Brienne, con chi io era, una galea per discendervi noi e nostre genti d’arme, perciò che gli uscieri non potevano, per la sottigliezza del mare, attingere alla terra. Ed in così come Dio volle io mi lasciai della mia nave calare in una piccola galea che mi pensava aver perduta, ove stavano otto de’ miei cavalli. La qual galeotta m’ avea donato Madama di Bairuth, la quale era cugina germana del Conte di Montebelial: ed al venerdì Monsignore Airardo di Brienne ed io tutti armati movemmo di verso il Re per domandargli la detta galea ch’egli ci aveva innanzi ottriata. Ma Messer Giovanni di Belmonte ci rispose, presente il Re, che noi non n’avremmo punto. Il che vi ho voluto dire perchè sappiate che il buon Re aveva altrettanto affare a trattenere in pace sue genti come egli n’avea a sopportare sue fortune e sue perdite.

Quando le nostre genti videro che noi non ammenavamo punto di galee, essi si lasciarono cadere nella galeotta a gran forza, di che i marinai [p. 58 modifica]veggendo ch’ella affonderebbe a poco a poco nel mare, si ritirarono nella nave, e ci abbandonarono coi Cavalieri nella piccola barca. Allora io m’isgridai e domandai al Maestro di quanto egli avea troppo di gente nella galeotta, ed egli mi disse ch’egli ce n’avea troppo di diciotto uomini d’arme. Perchè tantosto ne la scaricai d’altrettanti e li misi nella nave ove erano i miei cavalli. Ed in quella ch’io facea eseguire un tal tramenìo, un Cavaliero fu, che era a Monsignor Airarto di Brienne, nomato Pluchetto, il quale per seguirci, volle al tutto discendere della gran nave nella barca, ma la barca s’allontanava, ed il Cavaliero cadde armato in mare e annegò.

  1. Nell’Aprile del 1249.