La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte prima/Capitolo IV

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Capitolo IV.

Di due insegnamenti che ’l Re mi diede.


Qui appresso udirete uno insegnamento che il buon Re mi diede a conoscere. Era il tempo in che si rivenìa d’oltremare e si stava tutto dinanzi l’isola di Cipri, quando per uno vento, che l’uomo appella Garbino, il quale non è punto l’uno dei quattro venti maestri regnanti in mare, ecco che la nostra nave urtò e donò un gran colpo ad uno rocco talmente che li marinai ne furono tutti perduti, e disperati, stracciandone loro robbe e loro barbe. Di che il buon Re salì fuori del letto tutto scalzato, non avendo più che una cotta, e si andò a gittar in croce davanti il Corpo prezioso di Nostro Signore, come colui che non ne attendea che la morte. E tantosto appresso s’appaciò il fortunale, e la nave surse disimpedita e rigallò come in giolito. Alla dimane mi appellò ’l Re e mi disse: Siniscalco, sappiate che Dio ieri ci ha mostro una parte di suo gran podere, poiché uno di que’ venti piccolini, che a pena gli sa uomo nominare, ha pensato annegare il Re di Francia, sua donna, suoi figliuoli e famiglia. E dice Santo Anselmo che ciò è una minaccia di Nostro Signore, altresì come s’egli volesse dirci: Ora vediate e conosciate che, s’io l’avessi voluto permettere, ne sareste stati tutti sommersi. Al che è da rispondere: Sire Iddio, e perchè ne minacci tu? se la minaccia che tu ne fai non è punto per [p. 14 modifica]tuo prode nè per tuo vantaggio; poiché, se tu ne avessi tutti perduti, tu non ne saresti già più povero, ed in così non più ricco se tutti salvati? Certo dunque il tuo minacciare è per nostro profitto, non per tuo, quando noi il sappiamo conoscere e intendere. Or bene dunque Siniscalco, seguitò il Re, di queste tali minacce noi dobbiamo intendere che se ci ha in noi cosa a Dio dispiacente, che noi la debbiamo rattamente levare e così per simigliante vi debbiamo riporre ciò che sappiamo essergli in piacere che sia fatto. E se così faremo Nostro Signore ci donerà più di bene in questo mondo e nell’altro che non ne sapremmo divisare, e se faremo altrimente, egli farà di noi ciò che il Signore fa del malvagio sergente, il quale, se per la minaccia non si corregge, ed il Signore lo fiere nel corpo, ne’ beni e sino a la morte, e a peggio se possibile è anche. Dunque in così farà Nostro Signore al peccatore malvagio che per sua minaccia non si vuole ammendare, e lo colpirà in sè e nelle cose sue crudelmente.

Il buon sant’uomo Re si sforzò di tutto suo podere a farmi credere fermamente la Legge Cristiana che Dio ci ha donato, così come voi udirete qui appresso. Dicevami dunque che noi dobbiamo sì fermamente credere gli articoli della Fede, che per nullo iscapito che ce ne possa venire al corpo non ci lasciam trascorrere a fare nè dire il contrario. E inoltre diceva che lo inimico dell’umana natura che è il diavolo, è sì sottile, che, quando le genti muoiono, egli si travaglia di tutto suo podere a farle [p. 15 modifica]morire in alcun dubbio degli articoli della Fede: chè egli vede e conosce bene ch’e’ non può togliere all’uomo le buone opere ch’esso ha fatto, e che ne ha perduto l’anima s’elli muore in secura credenza della fede cattolica. Per ciò dee l’uomo prendersi guardia di questo affare, ed averci tale securtà di credenza ch’e’ possa dire all’inimico quando gli dà tale tentazione: Vattene nimico di nostra natura, tu non mi getterai già fuori di ciò che credo fermamente, cioè delli articoli della mia Fede, anzi meglio amerei che tu mi facessi tutte le membra dilaccare; poiché io voglio vivere e morire puntualmente in questa credenza. E chi così fa vince lo inimico di quell’arma istessa, donde esso nimico voleva ucciderlo.

Pertanto diceva il buon Re che la Fede e credenza di Dio era tal cosa a che noi avremmo dovuto accomodarci senza dubbio alcuno, anche se non ne fossimo noi certificati soltanto che per lo udir dire. E su questo punto mi fece il buon Signore una domanda, cioè: Comente mio padre avea nome. Ed io gli risposi ch’elli avea in nome Simone. Or per qual modo il sapete voi? diss’egli: ed io gli dissi che ben n’era certo e lo credea fermamente per ciò che mia madre lo mi avea detto molte volte. Adunque soggiunse egli, dovete voi credere perfettamente gli articoli della Fede per ciò che gli Apostoli di Nostro Signore ve lo testimoniano, in così come voi udite cantare al Credo tutte le Domeniche. E su tale proposito mi disse egli che uno Vescovo di Parigi, nomato in suo dritto nome Guglielmo, gli [p. 16 modifica]contò un giorno che uno gran Maestro in Divinità gli era venuto innanzi per parlare e consigliare sè medesimo a lui. Ma che, come e’ fu per dire suo caso, si prese a piagnere molto forte e duramente. Per che il Vescovo cominciò ad ammonirlo dicendo: Maestro, non piangete punto e non vi togliete di conforto, perchè sappiate veramente che nullo non può essere peccatore sì grande che Dio non sia più possente di perdonargli. Ah! disse il maestro, Monsignor lo Vescovo, che io non ne posso altro che piagnere, poiché mi dubito di essere miscredente ad uno punto, e questo è ch’io non posso essere asseverato in cuore del santo Sagramento dello Altare in così come Santa Chiesa lo insegna e comanda a credere; e veggio bene che ciò mi viene di tentazione dello inimico. Maestro, disse allora il Vescovo, or mi dite, quando l’inimico vi invia tale tentazione, e vi dispone per a tale errore, v’è egli in piacere? Rispose il Maestro: certamente non mai, ma al contrario mi dispiace e m’annoia tanto che più non potrebb’essere. Or bene, disse il Vescovo, io vi domando se voi prendereste oro nè argento nè alcuno bene mondano per rinegare di vostra bocca niente che toccasse al Santo Sagramento dello Altare nè ad alcuno de’ Sagramenti della Chiesa? Veramente, rispose il Maestro, siate certo che nulla cosa terrena non è, di che io ne volessi aver preso, e che anzi amerei meglio mi distroncassero tutto vivo a membro a membro, che aver rinegato il minimo dei detti Santi Sagramenti. Adunque il Vescovo gli mostrò per esempio il grande [p. 17 modifica]merito ch’egli acquistava nella pena ch’e’ sofferiva della tentazione, e gli disse così: — Maestro, voi sapete che ’l Re di Francia guerreggia contro ’l Re d’Inghilterra, e sapete che il castello ch’è il più presso della marca1 de’ detti due Re si è la Roccella in Poitù; dunque rispondetemi: Se lo Re di Francia vi avesse dato balìa di guardargli il castello della Roccella che è sì presso della marca, ed a me l’avesse data sopra il castello di Montelery che è nel fino cuore di Francia; a quale dovrebbe il Re, nel termine di sua guerra, saper miglior grado, a voi od a me di aver guardati di perdita i suoi castelli? — Certo, Monsignore, disse il Maestro, io credo che ciò sarebbe a me che gli avrei bene guardata la Roccella, la quale è in luogo più dubitoso, e ci è la ragione assai buona. — Maestro, disse allora il Vescovo, io vi certifico che mio cuore, gli è tutto simigliante al castello di Montelery, perché io del Santo Sagramento dell’Altare, e così degli altri, ne sono così asseverato che non me ne viene dubbio neuno. Per tanto vi dico come per uno grado che Dio nostro Creatore mi sa di ciò ch’io li creda securamente ed in pace, che bene a doppio ve ne sa egli grado di ciò che voi gli guardiate vostro cuore in perplessità e tribolazione: donde io vi dico che molto meglio gli piace in questo caso il vostro stato che non il mio, e sònovene di ciò ben gioioso, e vi prego l’abbiate in sovvenenza, ed egli vi soccorrerà certo al bisogno. Quando il Maestro ebbe tutto ciò inteso e col cuore [p. 18 modifica]ascoltato, s’agginocchiò innanzi ’l Vescovo, e si tenne di lui molto contento e ben pago.

  1. Cioè: della linea di confine.