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che il dedicatario ne fu seccato (Vedi lett. del G. del 3 ott. 1763. Racc. Masi, p. 226). Anche L’amor finto e l’amor vero doveva esser intitolato al Goldoni; però la lettera di dedica restò, salvo errore, manoscritta, e si conserva nell’Archivio, di Stato modenese, donde per noi volle trarne copia il benemerito Spinelli. È dettata in francese, nè lascia poco a desiderare dal lato della forma. Vi si parla prima dell’invidiabile posizione fattasi dal G. in Francia, atta a destar l’invidia e la rabbia de’suoi avversari: poi l’a. della commedia chiede che cosa ne pensi il dedicatario: «Dans vos momens de loisir moins doux certainment que ceux de votre brillant emploi, donnez un regard d’ami au petit amas de scènes que je vous envoie, et notez-en les défauts. Est-ce une Comédie? Est-ce une petite Piece? Est-ce une (sic) insipide Galimathias? Je n’en scaurai rien definir. Il est sur que je vous ai étudié; mais il est sûr que je ne vous ai pas appris. Ce serait trop que d’aspirer au titre de de votre digne éscolier». Che cosa fosse in verità la sua prima commedia glielo disse la severa e lucida critica del Goldoni (Lett. 8 ott. 1765; Race. Masi, p. 286 sgg.), che tolse all’Albergati la voglia di dedicargliela, se non quella di stamparla.
Doti non ordinarie di diplomatico dovette possedere quest’Alb. s’egli, amico al Goldoni, potè mantener buoni rapporti pur col Baretti (Masi, op. cit., p. 156 e segg.) e col Gozzi. Con questi bensì il pericolo d’aperta rottura vi fu quando il senator bolognese, dedicatagli la sua favola teatrale Il sofà, in una breve prefazione a questo infelice componimento disapprovò apertamente il genere, del quale s’era fatto imitatore. Gli rispose per le rime e arguto il conte veneziano, ma questa sua risposta serbò a postumi editori (F. Galanti. Uno scritto inedito di C. Gozzi. Atti d. R. Ist. Ven. Tomo LXVI [1906-07] pagine 169 segg.), limitandosi a narrare al pubblico, lui vivo, con sensi amari sì, ma con insolita urbanità, il voltafaccia dell’Alb. (nell’ultimo volume delle sue Opere edite ed inedite (Venezia, 1802, voi. XIV, pp. 78-80).
Anton Maria Borga, del quale piacque al Nostro pubblicare in appendice alla Premessa una lettera e alcuni versi, nacque in Rasa delle Centovalli (territorio di Locarno) nel 1722 e morì nel 1768. Fu uno de’ mille poeti arcadi del Settecento e menò vita assai agitata. Son note le feroci polemiche letterarie corse tra lui e il Baretti, nelle quali Aristarco trasmodò al solito, nè potè provare le gravi accuse scagliate dalla sua penna (A. G. Spinelli. Di A. M. B. Bollett. stor. d. Svizz. ital. Bellinzona, Anno X. 1888, n. 1-2 [Articolo non continuato]; L. Piccioni, Studi e ricerche intorno a Gius. Baretti ecc., Livorno, 1899, pp. 284-286; G. B. Marchesi, Romanzieri e romanzi italiani del 700, Bergamo, 1903, p. 107). Da p. XLIX a p. LIV d’un suo poemetto [Amore schernito] per la professione di Antonia Milesi (Venezia, Fenzo, 1761) si legge un capitolo del Goldoni (V. Giornale d. erud. e d. cur., 1883, 1 dic., p. 53), ristampato poi nel sec. vol. dei Comp. div. (pp. 53 segg.). Quanto scrive il Borga nella sua lettera (Premessa), lo prova conoscitore bene imperfetto, di che del resto sembra convenire egli stesso, del teatro goldoniano. Non aveva letto dunque il Borga la Bancarotta, l’Uomo prudente, il Padre di famiglia e questa Serva amorosa, dove si trova proprio la matrigna da lui pensata, pessima moglie e pessima madre ai figlioli non suoi? Solo nel Poeta fanatico il Nostro fece grazia al personaggio della malvagità tradizionale. Ma