La pupilla (intermezzo)/Nota storica
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NOTA STORICA
Abbandonata Milano per le vicende della guerra tra i Gallosardi e gli Alemanni, presa licenza a Crema, dopo una scenata, dal residente Bartolini, non potendo raggiungere a Modena la madre, il Goldoni da Parma si recò a Brescia, nell’estate del 1734, e di là a Verona dove per caso recitava la compagnia comica del teatro di S. Samuele, diretta da Giuseppe Imer. Tale incontro ebbe conseguenze decisive sulla vita artistica del dottor veneziano. Finita la stagione teatrale estiva, lo stesso Imer condusse Goldoni a Venezia, lo ospitò nella sua casa in Corte del Duca, lo presentò a S. E. Michele Grimani, proprietario, con altri quattro fratelli, dei teatri di San Samuele e di San Giovanni Grisostomo, e il 24 novembre recitò con grande applauso il Belisario (vol. XXIII della presente edizione). Ma il dottor Carletto, in quel mese che si trattenne a Verona, compose un nuovo intermezzo, intitolato la Pupilla.
Dopo il ’32 la moda degli intermezzi buffi, recitati fra l’uno e l’altro atto delle opere serie in musica, a Venezia decadeva, mentre i balli riacquistavano sempre più favore e tendevano a dominare tirannicamente. Giuseppe Imer pensò dunque, come racconta il Goldoni (vol. I della presente ediz., p. 95), d’introdurli "nelle tragedie rappresentate dai comici”, quasi preludio di una riforma, nel teatro di San Samuele. "Ciò gli riuscì a meraviglia”• Questo attore di nascita genovese, "grasso e picciolo e di collo corto”, con gli occhi piccoletti e il nasino schiacciato (Mémoires, I, ch. 35), non era adatto a recitare nelle parti serie, ma pareva tagliato apposta per gli intermezzi. "Non sapeva di musica; ma cantava passabilmente, ed apprendeva a orecchio la parte, l’intonazione ed il tempo, e suppliva al difetto della scienza e della voce coll’abilità personale, colle caricature degli abiti, e colla cognizion dei caratteri che sapeva ben sostenere” (vol. I, p. 98). Lo assecondava Giovanna Casanova, detta Zanetta o la Buranella, perchè nativa dell’isola di Burano (benchè non lo dica il famosissimo Giacomo, suo primogenito), figlia del calzolaio Farusso e sposa nel febbraio del ’24, a soli 16 anni, del comico Gaetano Giuseppe Casanova; rimasta vedova nel dicembre del ’33. Giovane e bella, come afferma il Goldoni, benchè non avesse "grande abilità” nell’arte comica, fu istruita dall’Imer negli intermezzi. "Ella ne sapeva di musica quanto il suo maestro; anzi, meno pronta di lui, stuonava ed andava fuori di tempo con maggiore facilità: ma piace facilmente una bella e giovane, e tutto le si passa” nota il Goldoni "in grazia di que’ vezzi e di quella freschezza che incantano gli spettatori” (vol. I, p. 100). Non tardò il nostro Carletto ad accorgersi che l’Imer la prediligeva. "Seppi e m’accorsi altresì che il galantuomo, di età molto maggiore alla giovane, era di lei geloso, onde accomodai l’intermezzo sul fatto isterico di questi due personaggi. L’Imer il tutore geloso; Zanetta la pupilla insidiata” (ivi, pag. 96). C’era poi nella stessa compagnia un’altra cantante, veneziana, "la brava Agnese” moglie dell’armeno Amurat, famosa a cantare nelle serenate (vol. I, 66 e 96). Di questa si servì il Goldoni "per rappresentare in abito d’uomo” l’amante della pupilla, che delude il tutore. Nessuno dei tre compagni, a dir vero, sapeva una sola nota di musica, ma tutti tre avevano "du goût, l’oreille juste, l’exécution parfaite, et le public en étoit content” (Mémoires, I, ch. 35). Autore degli intermezzi per il teatro di S. Samuele era l’avv. Antonio Gori che nel carnevale del ’32 aveva fatto colà rappresentare da’ comici un dramma buffo in tre atti, col titolo curioso di Metamorfosi Odiamorose in Birba trionfale nelle gare delle Terre amanti dedicato " a Madama la Moda, Govematrice di Castel Bizzarro ecc. ecc. Regolatrice dell’Accademia de’ Gusti, Presidente dell’Assemblea Generale degli Ovi ecc.” stampato a Venezia e a Padova sotto il nome anagrammatico di Goante Rinio (il Sonneck credette Rigo il suo vero nome: Catalogue of Opera librettos printed before 1800, Washington, 1914, vol. II, p. 1384), musicato da Salvatore Apolloni veneziano (v. continuatori Drammaturgia Allacci, Venezia, 1755 e Wiel, I teatri musicali veneziani del Settecento, Venezia, 1897, p. 110). Nel carnevale del ’34, insieme con l’Artaserse del Metastasio, musicato dal maestro Hasse, si recitò nel teatro di San Gio. Grisostomo un intermezzo del Gori, Il marito all’ultima moda (Wiel, p. 116, ma senza il nome dell’autore). Un altro intermezzo, il Tulipano, da non confondersi con quello omonimo recitato nel 1709 nel teatro di San Cassiano, del tutto diverso, diede l’avv. Gori nello stesso anno (1734) da cantare a San Samnele; e raffazzonò, come sappiamo, la Pelarina sulla Cantatrice del Goldoni (vedi p. 56 del presente vol.). Non saprei a quale anno assegnare il Maestro di musica, forse musicato dal Pergolesi, e il Conte Coppano (ripetuto e rist a Bassano), poichè i libretti che ho potuto leggere non portano indicazione alcuna: solo l’uno e l’altro son ricordati nella prefazione della Momoletta (nel ’35; vedi più indietro, p. 56). Certo è che nella stagione autunnale del ’34 il Goldoni, mentre attendeva che il maestro romano Maccari musicasse la sua Pupilla, dovette assistere a una replica delle Metamorfosi Odiamorose nel teatro di S. Samuele (Wiel, p. 116). Dal racconto poi che fa nelle sue memorie in italiano il grande commediografo, sembra che un altro componimento del Gori fosse già stato applaudito nel medesimo teatro, le Contese di Mestre e Malghera per il trono, pure musicato dall’Apolloni "barbiere e suonator di violino”, dove si distinsero le figlie giovinette dell’Imer, Marianna e Teresa (vol. I, pp. 102-103): replicate nel 1748 sul teatro di Varsavia dalla Casanova che bravamente se le appropriò (O’Byrn, Giovanna Cascmova ecc., cit. da Rasi, I comici italiani, vol. I, pp. 301 e 603).
Ora il Tulipano appare un’assai povera cosa: un giovane poeta si finge marchese per tentare la fedeltà di Rosella, la quale a sua volta, per sedurlo, fingesi lavandaia friulana, finchè provata la scambievole debolezza, i due si perdonano l’un l’altro e si sposano. Ma nel Marito all’ultima moda in cui trionfa sulle labbra del fioraio Bognolo, innamorato della capricciosa Grilletta, il dialetto del popolo veneziano con le sue arguzie birichine, qualche sorriso del Settecento, qualche accento, diremo così, goldoniano possiamo ancora sorprendere qua e là: certo vi troviamo molte espressioni dialettali che cento volte ricorrono nei più noti capolavori del teatro comico popolare. Il titolo poi ci rammenta il Marito alla moda del Fagiuoli ripetuto per ventitré sere a Firenze nel 1733, e la farsa del Frippon francese con la dama alla moda scritto a Milano fra il 1719 e il ’21 dal marchese Gorini Corio e un intermezzo derivato dal Gorini e attribuito falsamente al Gigli, la Moglie alla moda, edito con altri Componimenti teatrali a Siena nel 1759. Anche nel Conte Còpano ammiriamo le bellezze del dialetto veneziano, ma caratteri e azione risultano più deboli. Lugrezia ostessa e Carina locandiera si contendono il cuore del conte: quantunque la prima si travesta da barcariol (come la Bettina goldoniana negli Sdegni amorosi) e cerchi di turbare con gelosie e insolenze l’idillio di Copano e Carina, rimane infine delusa.
La Pupilla del Goldoni che nella stampa porta la data del 1735, fu recitata nel dicembre del ’34, durante la sesta rappresentazione del Belisario (Mémoires, P. I, ch. 36). Il pubblico l’accolse benevolmente (vol. I della presente ed., p. 105), non già calorosamente. La favola del tutore e la pupilla fin dal Seicento passò nella nostra penisola dal teatro comico francese, e trionfò in Italia ed in Francia e dappertutto nel Settecento. La Scuola dei mariti (1661) di Molière è il più famoso fra gli esempi antichi e il Barbiere di Siviglia (1772) del Beaumarchais fra i moderni, prima della Rivoluzione. Ma ecco, per chi ama i ricordi, le Tuteur (1695) di Dancourt e les Folies amoureuses (1704) di Regnard, ecco sul teatro della Comédie Italienne uno “scenario”, les Tuteurs trompés (1716), e proprio nel 1733 alcune scene recitate a Versailles con titolo somigliante (le Tuteur trompé); ecco nel ’34 la Pupille di Fagan, commediola in un atto per musica, e più tardi les Trois tuteurs (1754) di Palissot. E in Italia? Ecco il Trespolo tutore, dramma burlesco in prosa di G. B. Ricciardi pisano, rifatto in versi dal Villifranchi nel 1679, ecco il Ciapo tutore del Fagiuoli e gli altri tutori del faceto scrittor fiorentino che s’incontrano in altre commedie cominciate a stampare nel 1734 (l’Avaro punito, Non bisogna in amor correre a furia, l’Amante esperimentato, gli Amanti senza vedersi), ecco tutore e pupilla nelle Serve al forno del Nelli (st. solo nel 1751). Perfino i burattini a Firenze recitavano nel 1716 un Pulcinella tutore. Che dico? Il Goldoni stesso metterà in scena nel 1752 un tutore, anzi due tutori, l’uno onorato e fedele, l’altro negligente (vol. VII della presente edizione), e nel ’56 scriverà in versi la Pupilla (vol. XIV); e un altro Tutore. oserà impasticciare nel 1751 a Venezia il barcaiolo Ant Bianchi, e un altro (Don Tiberio tutore burlato) Gioacchino Landolfo a Napoli, dove tutori e pupille riempivano di liete note i teatri musicali (Pietro Trincherà, lo Tutore ’nnamorato, 1749; Antonio Palomba, la Pupilla, 1763; Pasquale Militotti, la Finta semplice o sia il Tutore burlato, 1769). Ricordo che lo stesso Filosofo di campagna, il dramma giocoso del Goldoni musicato dal Galuppi nel 1754, fu poi cantato a Bruxelles e a Londra nella veste di Tutore burlato. Una Pupilla (1764?) musicherà da giovine il Paisiello; una Pupilla rapita si canterà a Venezia nel ’63 e un Tutore ingannato nel ’74 e in fine una Pupilla scaltra (del m. Guglielmi) nel 95. Ma, per tornare ai tempi donde siamo mossi, poco dopo il 1730 Adolfo Hasse il Sassone aveva musicato a Napoli un vero intermezzo intitolato il Tutore, cioè Pandolfo e Lucilla'.
Il Goldoni poi non aveva bisogno di copiare i suoi personaggi dal teatro francese o italiano poichè li trovava più vivi nei ricordi della sua avventurosa esistenza. Prima di partire per Feltre, nel 1729, non aveva egli filato un amoruccio a Chioggia con una educanda del convento di S. Francesco? Se badate a Urbani de Gheltof e vi fidate della sua fertile fantasia, apparteneva la fanciulla alla nobile famiglia Marangoni (C. Goldoni a Chioggia, in Ateneo Veneto, Serie VII, dic. 1883, vol. II, p. 330) e il giovine coadiutore la vedeva "recandosi a suonar le campane" nota. Vero è che l’idillio finì prestissimo, e contro la consuetudine di tutti i teatri, questa volta il vecchio tutore, brutto e malato, con l’aiuto di una esperta monaca, sposò bravamente la ragazza lasciando confuso e deluso l’ingenuo innamorato, che doveva poi creare la commedia italiana (Mémoires, P. I, ch. 19: nelle memorie italiane, scritte in parte a Venezia, si capisce perchè fosse taciuto tale episodio). Tuttavia nel ’34 anche il Goldoni non osò ribellarsi alla tradizione letteraria, anzi fu contento di poter mettere alla berlina il vecchio tutore sopra le scene, poichè la favola svolta nell’intermezzo è quella ben nota delle precauzioni inutili nel teatro francese (Dorimon, l’Ecole des cocus ou la Précaution inutile 1661; Molière, École des maris 1661, École des femmes 1662, Sicilien 1667; Fatouville, la Précaution inutile 1692; Sédaine, On ne s’avise jamais de tout 1761, dove c’è pure un tutore innamorato. ecc. ecc.) e quella in generale dei vecchi innamorati e ingannati, in tutti i teatri del mondo, fin dall’antichità.
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In origine l’intermezzo della Pupilla constava di tre parti. Nella prima l’amante Giacinto si presenta in veste d’astrologo, ma non è un astrologo per forza come avviene nella famosa commedia di Calderon (el Astrologo fingido) tradotta da D’Ouville (Jodelet astrologue 1646) imitata da Tommaso Corneille (le Feint astrologue 1648) e da Giovanni Dryden (Evening’ s love or the Mock astrologer 1668, st. 1671). Non ricorda poi per nulla l’Astrologo di G. B. Della Porta ond’ebbe forse origine l’Albumazar, dramma lirico, in parte buffo, rappresentato a Venezia e a Bologna nel 1727 (con musica e poesia, credesi, del Buini). Solo per curiosità ricordiamo il Finto negromante, commedia "ridicolosa" di Lucio Livio (Venezia, 1629) e l’Astrologia amorosa di D. Raviccio (Venezia, 1650) e l’Astrologo non astrologo e gli Amori sturbati di Ottone Lazzaro Scacco (Genova, 1665): poichè più giustamente ci richiama a sè la commedia dell’Arte, dove fra gli scenari di Basilio Locatelli troviamo pure un Finto astrologo e un Falso indovino; e fra quelli di Flaminio Scala il Finto negromante, Flavio finto negromante, Isabella astrologo; e fra quelli della raccolta Correr l’Astrologo (del Porta); e ancora il Finto astrologo e Quattro medici, quattro astrologi e tre vammane nello Zibaldone del Sersale, a Napoli; e fra quelli recitati in Francia, Arlecchino finto astrologo ecc. (1716; Delisle, Arlequin astrologue 1727). Nè dobbiamo dimenticare il felice intermezzo intitolato Parpagnacco e Pollastrella (Venezia, 1707 v. più indietro, p. 54) ch’è forse una sola cosa con un altro intermezzo, intitolato l’Astrologo, recitato pure a Venezia nel 1731.
Nella seconda parte Rosalba è la finta ammalata e Giacinto un finto medico. Quante finzioni nel teatro e... nella vita Noi ricordiamo un’altra Finta ammalata goldoniana ben più famosa, una delle sedici commedie (vol. V di questa ed. - V. spec. Maddalena, Fonti goldoniane: la Finta ammalata, in Ateneo Veneto nov. - dic. 1893): e al ricordo di Rosaura impallidisce la povera Rosalba. Aveva l’autore presente fin d’ora l’Amour médecin (1663) di Molière? Mi pare che non si possa mettere in dubbio, tanto più che lo stesso Giacinto non somiglia giù al futuro dottor Onesti, bensì discende in dritta linea da Clitandro (Toldo, L’oeuvre de Molière etc., Torino, 1910, p. 382). Certo una galleria di finti medici e di finte malate ricorre negli scenarì del teatro dell’Arte: in quelli copiosissimi del Medico volante (sulla fine del Seicento troviamo a Venezia una commedia intitolata Truffaldino medico alla moda, ovv. medico volante; e in Francia nel 1661 le Medecin volant di Boursault e, prima ancora, la farsa attribuita al giovane Molière), in quelli di Eularia o di Isabella muta per amore, in quelli dei Finti pazzi e delle Finte pazze. Non occorre dunque pensare alla Finta verità del medico per amore, commedia di Fabritio Nanni (Bologna, 1703) imitata da Molière (C. G. Sarti, Il teatro dialettale bolognese, Bol. 1895, pp. 99-101 e Toldo, Molière cit., pp. 271-276) o all’opera buffa napoletana di Francesco Antonio Tullio, la Fenta pazza co’ la fenta malata (1718) dove non manca un finto medico (Scherillo, L’opera buffa napoletana, in Collez. Settecentesca Sandron, 1916, p. 111 e sgg.), nè serve ricordare, nel ‘35, il Finto pazzo per amore del Mariani (Scherillo, p. 197) o più tardi il Finto medico del Cerlone con la solita finta ammalata. Anche qui rammento ai curiosi gli amanti che si fingono medici, sulla fine della vecchia commedia di sier Cocalin, la Veneziana (1619), attribuita all’Andreini.
Quanto all’episodio della botte in cui Giacinto fa entrare Triticone col pretesto di ringiovanirlo, ci fa ricordare altre botti complici di amori, come quella famosa di Peronella nel Decameron, antica fin da’ tempi d’Apuleio: e altre burle consimili delle novelle e dei teatri di tutti i paesi, sebbene ci richiami specialmente ai lazzi famosi della commedia dell’Arte.
Nella terza parte della Pupilla, i travestimenti e le finzioni continuano: ecco Giacinto finto giudice e Rosalba falso avvocato, ed ecco un tribunale per ridere. Anche qui siamo nel regno della commedia popolare italiana, ma di un periodo più recente, dopo ch’essa risentì l’efficacia del teatro spagnolo e francese. Invero non possiamo fare a meno di risalire col pensiero alla Porzia di Shakespeare (Mercante di Venezia, 1596 circa, ed. 600) vestita da dottore in legge, finto giudice, come nel Pecorone di ser Giovanni fa donna di Giannetto (giornata IV, novella 1). Ma basta ricordare la Dama Corregidor di due ignoti scrittori spagnoli e la Dama presidente di Leiba da cui trasse forse qualche ispirazione Montfleury per la sua celebre Femme juge et partie che nel 1669 contese il trionfo al Tartufo di Molière (la tradusse il Gigli: Ser Lapo e la Moglie giudice e parte, st. 1731). Nel 1685 Fatouville scrive per il Teatro Italiano del Gherardi lo scenario Colombine avocat pour et contre. Ma fin dal 1667 vediamo fra gli scenari del Biancolelli un Arlecchino, ladro, sbirro e giudice, ripetuto a Parigi nel 1716. E nel 1719 ecco a Venezia il fortunato intermezzo di Serpilla e Bacocco o il Marito giuocatore e la moglie bigotta (v. più indietro, p. 54) dove pure Bacocco trasformasi in giudice. Per molto tempo l’avvocato Goldoni, non senza un tantino di giovanile vanità, amerà trasportare sul teatro la sua scienza curiale (v. Nota storica dell’Avvocato veneziano, vol. III) e farà sostenere una tesi giuridica dalla stessa Rosaura, Donna di garbo (1743: vol. I). Anche qui è Rosalba che nella terza parte veste da avvocato e canta: "L’avvocato è necessario ecc." (pp. 119-120). Non serve poi disseppellire una dimenticata commemedia d’un comico dimenticato: la Maga avvocato del Marchesini (m. 1765) o disturbare nell’ultimo decennio di quel secolo le Donne avvocate del Sografi. Son favole vecchie quanto Aristofane (Tesmoforiazuse, 411 av. C.).
Quest’ultima parte che si legge ancora nella ristampa veneziana di Omo Bon Bettanin, senza data, fu soppressa in quella di Firenze, nel 1737: e così la Pupilla restò composta di due sole parti, quale fu riprodotta più tardi nelle edizioni Tevernin e Zatta. Da tutte poi le ristampe, compresa quella del Bettanin, fu tolto l’episodio buffonesco della botte nella seconda parte, che rimase di molto abbreviata. E probabile che questi tagli fossero suggeriti da esigenze musicali piuttosto che da ragioni artistiche del Goldoni, tuttavia la seconda parte riesce molto più gradita nell’agile veste novella, benchè sia scomparso il lamento amoroso di Triticone, Voi, crudel, tremar mi fate ecc. Vi sono in compenso tre facili ariette, di Triticone stesso, Rosalba mia bellissima ecc.; di Rosalba, Signor tutore - Signor dottore - Il mal crescendo va ecc.; e di Giacinto, A una donna che patisca ecc. Quanto alla terza parte, poeticamente era una cosa ben misera, e rivelava la fretta e l’inesperienza dell’autore. Rimase intatta la prima, dove conviene ammirare lo spirito l’abilità comica nella scena del finto astrologo. Torna a mente, senza volere, il lunario coi pronostici del 1732 (vol I, p. 61) e il saluto che, giungendo a Bergamo, s’ebbe il dottor Carletto da S. E. Bonfadini e dalla sua "benignissima dama": Ecco l’astrologo, viva l’astrologo, ben venuto l’astrologo! (p. 71).
Questo intermezzo non attirò la curiosità degli studiosi del Goldoni. Lo stesso Mario Penna se ne sbriga rapidamente, solo accennando alle affinità col teatro dell’Arte (Il noviziato di C. Goldoni, Torino, 1925, pp. 52 e 87, n. 28, dove l’autore addita un travestimento da astrologo "e travestimenti da medici per avvicinar gli amanti" in uno scenario dello Scala, la Caccia). Più diffusa e troppo indulgente è la signora Marchini-Capasso che in questo intermezzo (nell’edizione Zatta) scopre "maggior gusto comico" "più finezza, ma anche un po’ più d’artificio comico". Riconosce la parentela con la commedia dell’Arte ma non ammette la derivazione da Molière. Un’analisi "nuova e delicata" le par d’avvertire nell’amore geloso di Triticone, in cui scorge un "avanzo del Pantalone dell’Arte" e una "forma rudimentale del futuro rustego" (Goldoni e la commedia dell’Arte, Napoli, 1912, pp. 170-174).
Il Goldoni loda per l’interpretazione la Zanetta Casanova della quale credeva di aver saputo rendere felicemente nella Rosalba la "scaltra malizia coperta da una studiata modestia" (vol. I, p. 100), ma nulla dice della musica del maestro romano Giacomo Maccari, compositore di stile "facile e chiaro" "bene adatto" agli umili artisti del teatro di S. Samuele (l. c., 106). Nelle memorie francesi non lo nomina. Dal Caffi sappiamo che, nato a Roma nel principio del secolo, scrisse buone composizioni di musica sacra, ma nel ’40 aspirò invano al posto di maestro della cappella ducale di San Marco. poichè gli fu preferito il Lotti. Nel 1627 aveva composto per il teatrino di San Moisè un’opera, l’Adalualdo furioso; e compose una specie di dramma giocoso nel ‘35 per i comici di San Salvador, Ottaviano trionfante; e un altro dramma nel ‘44, la Finta schiava (poesia del Silvani: vedasi Wiel) e musicò qasi tutti gli intermezzi goldoniani (Fétis nella sua Biographie Universelle des Musiciens etc., Paris, 1863, t. V, p. 391, parla di Antonio e di Giacomo Maccari, ma si tratta, crediamo, d’una sola persona; poco o nulla aggiunge l’Eitner, Biographisch - Bibliographisches Quellen - Lexikon etc., Leipzig, 1902, VI Band, p. 262).
L’ottimo capocomico del teatro di San Samuele era persuaso che la Pupilla servisse di sostegno al Belisario; Goldoni credeva il contrario (Mémoires, Ì, ch. 36). Ma egli intanto, mentre quella si studiava e si recitava, aveva già scritto un altro intermezzo, la Birba, per il carnevale del 1735.
G. O.
EDIZIONI PRINCIPALI.
LA PUPILLA. | INTERMEZZO | PER MUSICA | DIVISO IN TRE PARTI. | Da rappresentarsi nel Teatro | GRIMANI | DI S. SAMUELE. | VENEZIA, 1735 | Per Alvise Valvasense | Con Licenza de’ Super. - In 16°, pp. 36.
LA | PUPILLA | INTERMEZZO | PER MUSICA. | IN FIRENZE MDCCXXXVII. | Nella Stamperia di Francesco Moucke. | Con Licenza de’ Superiori. | In 16°, pp. num. 20.
LA PUPILLA. | INTERMEZZO | per Musica | Diviso in tre Parti In Venezia Per Omo Bon Bettanin | Sul Ponte di Rialto. | Con Licenza de Superiori - In 16°, pp. 24.
OPERE | DRAMMATICHE | GIOCOSE | DI | POLISSENO FEGEJO PASTOR ARCADE. | TOMO QUARTO. | VENEZIA, | Appresso Giovanni Tevernin | In Merceria alla Provvidenza | MDCCLIII. | Con Licenza ecc.: | LA PUPILLA | INTERMEZZO - pp. 172-188.
OPERE DRAMMATICHE GIOCOSE del Signor Dottore Carlo Goldoni fra gli Arcadi Polisseno Fegejo. Torino, MDCCLVII, a spese di Agostino Olzati ecc., t. IV.
OPERE | DRAMMATICHE | GIOCOSE | DEL SIGNOR DOTTOR | CARLO GOLDONI, | VENEZIA, MDCCLXX | presso Agostino Savioli - t. viii.
DRAMMI GIOCOSI pe MUSICA | DEL SIG. | CARLO GOLDONI | TOMO PRIMO. | VENEZIA, | Dalle Stampe di Antonio Zatta e Figli. | Con Approvazione ecc. | MDCCXCIV pp. 51-70.