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II. Commemorazioni - Adolfo Thiers

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ADOLFO THIERS


Di quest’uomo di Stato leggo una folla di aneddoti e fatterelli, che me lo impiccoliscono, e molti giudizi contraddittorii che me lo annebbiano. E io lascio per poco la serie de’ miei pensieri, e medito questo caro morto.

Un caro morto anche a me, che nella prima giovinezza stavo intere ore a leggere i Débats nel caffè del Gigante, tutto dentro in quelle discussioni parlamentari, e mi sentiva ridere la faccia, quando veniva un discorso di Thiers, il piú simpatico, a me, come Guizot era il piú antipatico. Misteri del cuore!queste antipatie e simpatie di quel tempo mi sono rimaste.

Il criterio letterario è oramai piú sicuro che il criterio politico. Tutti sono d’accordo intorno al valore letterario di Thiers. L’uomo politico è diversamente giudicato.

Mi ricordo uno scrittore spagnolo, che classificando gli oratori della tribuna francese secondo i loro principii, giunto a Thiers, disse: Thiers è Thiers. E voleva dire che non aveva altro principio che lui, voltabile secondo il vento.

Questo giudizio era comune a parecchi, ed era giustificato da molte apparenze. Ma l’uomo era migliore che non appariva. Cervello attivo, pieno di verve, girava, girava molto, e gli uomini superficiali e pedanti notavano la giravolta, e non osservavano il punto fisso, l’unitá della sua condotta.

I punti fissi intorno a cui si dimenava quell’ometto irrequieto, erano la Francia e l’ottantanove. Fu il piú francese de’ francesi, come Palmerston fu detto per eccellenza l’inglese. E fu con la Francia nuova, con quella Francia dell’ottantanove [p. 264 modifica]ch’egli aveva descritta con l’ammirazione un po’ ingenua de’ suoi giovani anni. Questi furono i due suoi amori sino alla morte.

Nel i830 fu quello che fummo noi nel 1848. Lo storico della rivoluzione divenne lui medesimo l’uomo della rivoluzione. Cosi cominciò la sua carriera politica. Ed entrato presto negli affari, vi acquistò quella pratica degli uomini e delle cose, quella non volubilitá, ma flessibilitá di condotta, e quelle conoscenze complementari nei particolari dell’amministrazione, massime in cose finanziarie, che compirono in lui l’uomo politico.

Il Governo parlamentare divenne il suo ideale. Voleva che fosse le gouvernement du pays par le pays. Fu sua quella formola: Le roi règne, mais ne gouverne pas. Anche quella monarchia entourée d’institutions républicaines fu suo pensiero. Stimava che il Governo parlamentare applicato con sinceritá e nel suo spirito fosse non altro che repubblica, anzi meglio; perché il principe ereditario assicura maggiore stabilitá.

Il Governo parlamentare, i principii dell’ottantanove e la patria francese furono criteri immutabili in mezzo alle sue giravolte. Quell’andare un po’ indietro e un po’ innanzi, quell’essere un po’ movimento e un po’ resistenza, quel poggiare ora a dritta, ora a manca, quel destreggiarsi con le varie esigenze della vita pratica, non era incostanza o incuranza di spirito leggiero e scettico, era la disinvoltura di uomo superiore che guardava gli avvenimenti con quel certo sorriso di chi si sente la forza di maneggiarli a’ suoi fini e padroneggiarli. Era divenuto cosí pratico e cosí dentro in questo saper fare e saper volteggiarsi che spesso si abbandonava al facile gioco senza necessitá e quasi per amore dell’arte, creandosi lui medesimo difficoltá per il gusto di superarle. La sua condotta era centre gauche, come centre gauche era il temperamento francese. Non amava la rigiditá dottrinaria della Destra, e non le impazienze ignoranti della Sinistra. Guizot dovea parergli un pedante e Barrot un retore. Aveva due forze geniali, una lucidezza maravigliosa di mente ed un raro buon senso. Perciò aborriva dall’astratto e dal sistematico, e non faceva mai questione di principii, si che tutt’i miopi della mente gli davano addosso e lo [p. 265 modifica]chiamavano uomo senza principii. A lui pareva con ragione non ci essere cosa piú pericolosa che applicare crudamente principii o dottrine, e come sapeva cosí bene volteggiarsi con gli uomini, volteggiavasi anche con quelle, scegliendo quel punto medio nel quale si combaciavano con la situazione reale delle cose. In questo era appunto il suo buon senso. Quelle proteste per la Polonia gli parevano fanciullaggini, e rettorica quelle declamazioni contro i trattati del 1815. Il faut les détester, mais il faut les subir. E voleva intendere che non c’è dignitá a schiamazzare contro quello che non si può impedire. Quella rettorica di Sinistra gli pareva non meno ridicola che quella pendanteria di Destra. Partito di movimento e partito di resistenza erano a lui inconcepibili, parendogli pericoloso quel voler cristallizzare un teatro cosí mobile come è la Francia politica in idee e bandiere fisse. Per ciò non capi i partiti, e non fu capito da quelli; spesso se li tirò appresso, ora l’uno, ora l’altro, facendoli manovrare a sua guisa; gioco poco sicuro e base poco salda; sicché gli era piú facile andare al potere, che mantener visi. Guizot pensava a restare; lui pensava a cader bene. Quel suo tenersi in bilico tra conservatori e radicali dinastici senza esser di questi o di quelli, quella sua posizione di centre gauche, oscurandogli il senso del partito, lo teneva piú vicino al paese, lo rendeva conciliativo e tollerante, e perciò attissimo in certe grandi occasioni a trarsi appresso tutte le forze vive. I suoi piú importanti atti politici furono inspirati appunto da questo alto senso nazionale, come la traslazione delle ceneri di Napoleone e le fortificazioni di Parigi.

Thiers dunque dava maggior valore alle questioni di condotta che alle questioni di principii. — Ma qual è il vostro programma? quali i vostri principii? in che differite dagli altri? — domandava uno. — Nell’arte di governo — rispose Thiers, con quel suo risetto ironico. Stimava che, messe certe norme e certi criterii generali, il resto era questione di capacitá o arte di governo. Questa noncuranza di dottrine, non potuta attribuire a ignoranza, alcuni attribuivano a cuore leggiero e corrotto. Ma la corruzione era un sistema per Guizot, per Thiers [p. 266 modifica]non era che spediente o necessita, postagli quella materia putrida innanzi. Sotto apparenza di bonomia e umore allegro, espansivo, Thiers aveva sentimenti elevatissimi, come mostrò poi, quantunque nelle sue maniere ci fosse piú di Epicuro che di Catone, antitesi a quel sussieguo, a quella ostentazione di onestá e di autoritá ch’era in Guizot.

Guizot era tutt’un pezzo, linea dritta; Thiers gli volteggiava intorno, cercando il lato debole. A questo duello tra due illustri assisteva la Francia negli ultimi tempi del governo parlamentare. Tutt’e due avevano dottrine fisse, le dottrine del 1830: la Francia si moveva intorno a loro, essi immobili. Montalembert e Lacordaire, Michelet e Quinet, Victor Hugo e Lamartine, Blanc e Considérant, positivismo e panteismo, socialismo e materialismo, tutto questo era uno spirito nuovo, era la fine di quell’equilibrio o ecletismo politico, il cui filosofo era Cousin.

E Thiers e Guizot giocavano di scherma in Parlamento. Innanzi alla nuova generazione il 1830, era le travati exploité par le capital, una vittoria borghese a sangue di popolo, e doveva sorridere quando Thiers si chiamava cosí per vezzo le petit bourgeois, arieggiando al petit caporal. Nuovi strati sociali si presentavano sulla scena; le teorie più brutali si mescolavano con le dottrine piú elevate e piú ideali; i deputati erano detti per ischerno les parlementaires; si annunziava un uragano. E Guizot col suo á plornb sentenziava: il y a quelque chose á faire. E Thiers tonava: Coraggio, Pio IX, coraggio! Riforme in Italia, qualcosetta in Francia, come la libertá dei banchetti e una maggior larghezza elettorale, fin lá andava Thiers.

In veritá poste le colonne d’Ercole, quel regno non camminava piú, non aveva scopi né ideali, era giá vecchio come il re, le vieux dicevano i francesi. E si dissolveva nella corruzione dei costumi e l’anarchia delle idee. Tutto s’impiccoliva, e anche Thiers, rimasto un puro giocoliere. Quando l’aria è stagnante vi affoga anche V ingegno. Si fanno di bei colpi di spada, abili mosse, giuochi sorprendenti di frasi, e sotto ci è il vuoto. Se Thiers fosse morto allora, nessuna memoria sarebbe rimasta dell’uomo politico. [p. 267 modifica]

Guizot fini in tutto; Thiers, oltrepassato, ma non impopolare, prese subito il suo posto nella repubblica.

Ho inteso a dire che con quelle sue lotte corpo a corpo rovinò la monarchia di luglio. Certo, in quelle ultime lotte trovo molta passione e nessun fine chiaro; quella monarchia bourgeoise et bornée aveva esaurito tutto, anche Thiers. Certo, poteva in quelle lotte essere remissivo e prudente. Ma avrebbe perduto sé e non salvata la monarchia; l’opposizione a Guizot veniva non dal Parlamento, ma dal paese che egli non capiva piú.

Concepí la repubblica col 1830 in capo. Voleva una repubblica a forme monarchiche come aveva voluto una monarchia a forme repubblicane. Repubblica e monarchia non aveva altra differenza a suo avviso che il principio dell’ereditá. Al contrario la repubblica per moltissimi era l’avènement del quarto Stato: ciò che non gli potè mai entrare in capo, borghese sino al midollo. Si svegliò in lui il senso feroce del conservatore, e resistette. Non voleva il suffragio universale, non voleva Camera unica; non voleva socialismo e non voleva imperialismo. Molto dovè ridere di quei repubblicani, brava gente, ma inetta. E quando disse loro: L’Empire est fait, presentiva che auest’ultima sua resistenza sarebbe stata anche vana.

Con la sua nota flessibilitá accettò l’impero, come aveva accettata la repubblica. Gli pareva innanzi a fatti compiuti senza di lui e a malgrado di lui debito di buon cittadino mescolarvisi e tirarli a prò del paese. All’uomo politico successe lo scrittore, e decorò di un monumento imperituro quell’Impero che non poteva approvare. Fu lui che sospinse l’impero nelle vie parlamentari con quel suo noto teorema delle libertá indispensabili. La nuova generazione era sorta con Gambetta in testa; le esequie di Victor Noir erano una funebre rivelazione di non so che torbido nell’aria; Rochefort rumoreggiava. F. l’impero perdette lá testa e fece la guerra, invano resistente Thiers. Era mancata finora una grande occasione, proporzionata al suo ingegno e al suo patriottismo. La caduta dell’impero, l’invasione e la vittoria tedesca e l’insurrezione comunarda costituivano una situazione disperata di cose, che in mano a lui si [p. 268 modifica]trasformò in una restaurazione nazionale cosí pronta e cosí piena che fu la meraviglia del mondo.

La vittoria sui comunardi rese possibile la repubblica conservatrice. La sventura è maestra di saggezza. E la nuova generazione tutta repubblicana, della quale Thiers fu l’educatore politico, fra tanti mali acquistò serietá di propositi; e comprese quel motto del gran vecchio: Ou la république sera conservatrice, ou elle ne sera pas. Anche Gambetta fu savio. Tutti compresero che la victoire appartieni au plus sage. Cessò l’Arcadia del 1848, gli alberi, le proclamazioni, le cautele scritte, le responsabilitá in carta e il potere in fatto. E avvenne questo miracolo che i conservatori anti-repubblicani costituirono la repubblica, e che cadde Thiers e non cadde con lui la repubblica. Gli è che i retori lavoravano sulle frasi, e Thiers sulla forza delle cose, che tirasi appresso volenti e nolenti gli uomini. Questo acuto sguardo nello stato di fatto, e nella forza delle cose, aggiunto il calcolo esatto delle forze e dei mezzi, era il buon senso o la saggezza di Thiers, che lo rendeva unico in un paese, che metteva tanta passione in tanta astrazione. Poi, quel suo saper fare, quella sua apparenza di amabile superficialitá nella sua saviezza, quella sua bonomia piena di spirito rendeva la sua superioritá accessibile e popolare.

Auguro saggezza alla Francia; e anche al mio paese. La saggezza è meno romorosa del genio, ma è piú salutare alle nazioni.