La poesia cavalleresca e scritti vari/Scritti vari/II. Commemorazioni/Alberto Mario
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ALBERTO MARIO
La stampa ha onorato la memoria di Alberto Mario con testimonianza unanime di dolore e di affetto. L’Associazione della stampa, rappresentanza qui in Roma del giornalismo italiano e che considera parte di sé tutti gli appartenenti alla stampa, non poteva rimanere indifferente innanzi alla perdita di un uomo che ha passato una buona parte della vita in mezzo al giornalismo, e lo ha onorato con la sinceritá delle opinioni, con la saldezza de’ convincimenti, con la rettitudine della condotta, con la compostezza dello scrivere, con una finezza di polemica, nella quale si rivelava, senza ostentazione, una coltura non ordinaria.
Ci sono uomini i quali trovano l’espansione della vita in mezzo all’azione, alle agitazioni e alle passioni sociali, e spesso, sotto la pressura di necessitá pubbliche o private, lasciano diminuita o contaminata la loro parte ideale.
Ma in Alberto Mario la vita si espandeva come pensiero, fede, amore, e corse all’azione, quando l’azione era un dovere e un sacrificio, e se ne ritrasse quando venne il tempo delle ricompense e degli onori. Egli era una di quelle nature che nelle occasioni sono eroiche, e ritornano idilliche, soddisfatte e riposate nel loro orticello, nella santitá della famiglia, nella domestichezza del loco natio, nelle gioie dell’amicizia, nel raccoglimento dello studiare e dello scrivere. La dolce dimora su’ colli di Toscana, o nella sua Lendinara, gli era più cara che non quel vano affaccendarsi, dove il comune degli uomini trova la sua soddisfazione.
Nemico di tutte le religioni, aveva un’intimitá di sentimento, una fede nel bene, uno splendore di bellezza nell’anima, che faceva di lui un essere religioso, se è vero che la religione non è al di fuori, ma al di dentro.
Nel Cinquecento, sarebbe stato discepolo di Lutero; oggi è discepolo di Galileo, di Mill, di Romagnosi, di Carlo Cattaneo.
La scienza non si fissò in lui senza un certo vagare del cervello.
A Padova è tutto Gioberti, D’Azeglio, Cesare Balbo, tutto Italia e Libertá, e il babbo, che sognava nel suo puttino un ingegnere o un avvocato, a sentirlo parlare a quel modo, gli diceva;
— Putin, vu no fari mai gnente.
E Mario fece molto, perché, se non potè aggiungere quattrini, aggiunse lustro e decoro alla casa paterna.
A Ginevra e a Londra fu tutto Mazzini, idealista e centralista. A Lugano, in un ambiente dominato da Cattaneo, fu positivista e federalista, e vi dovè conferire ancora non poco il suo soggiorno in America. Il suo cervello si fissò dove i piú noti risultati scientifici di questo tempo si trovano schematizzati e sistemati.
Ne’ suoi libri non c’è indizio di dubbio o di esitazione, tutto vi è affermato colla chiarezza e col brio dell’uomo, che crede possedere la veritá. E non ci è indizio di quella fatica, che l’acquisto della veritá ti è costato: sembra quasi la veda e non la pensi, se pensare vuol dire creare, esaminare, astrarre, indurre e dedurre.
Trovi proposizioni staccate, ciascuna da sé un periodo, i monosillabi della scienza, soppresse le indagini e le premesse; talora in una mezza pagina trovi il sugo di tutto un secolo. Quanto a me, a quelli che affannosamente dimostrano una veritá, che non è cosa loro, da altri indagata e stabilita, preferisco questo simpatico Mario, che ti dá le sue reminiscenze in forma di sentenze e di assiomi, senza ostentazione e senza pedanteria, volgarizzatore e banditore della scienza.
Quando polemizza o quando narra, gli è altro. Trovi finezza d’intelletto, gioconditá di spirito fino all’umorismo. Il suo scrivere è caldo, abbreviativo, linguaggio di popolo. E forse sarebbe giunto alla popolaritá; ma glielo vietava una forma aristocratica e letteraria non emancipata abbastanza dalle prime impressioni scolastiche.
Ma che cosa importa? Se la scienza in lui non fu molto pensata, fu molto amata, e l’amore gl’indora e illumina quelle veritá, come al loro primo apparirgli nel cervello, e gliele fa visibili, palpabili, gioconde, come le antiche divinitá. Sembrano idoli e teste e figure, e sono le ombre e le parvenze del pensiero in un’anima credente e innamorata. L’artista in lui rimarrá.
E ora il povero Mario è morto, e sotto a’ suoi fiori e sotto alle sue erbe non ama, non pensa piú, e fa amare e fa pensare quelli che lo leggono.
— Volete la felicitá? Amate e lavorate. Volete l’immortalitá? Lasciate ereditá di affetti! —
«Sono belle parole di Mario. Nella vita fu felice, perché amò e lavorò, e ora la sua vita si continua in quelli che l’amano, e in lei, nata inglese, d’animo italiana, vissuta per l’Italia insieme con lui, e che insieme con lui vivrá nel libro della gratitudine italiana. (Applausi, benissimo).
E ora, se l’Associazione consente, manderemo un telegramma a questa povera donna. (Approvazione unanime).