La palermitana/Libro primo/Canto XXVI
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CANTO XXVI
Dispare il limbo, e tutta la scena rinverdesi alPapparir
della Chiesa, di Cristo sposa.
Stava pur anco il limbo né si slegua
tuttoché l’ombre sante eran partite,
cui del vangelo il lume intier sussegua.
Anzi le faci ancora piú sopite
5del solito pareano alla presenza
dell’odiosa e non piú cara vite:
dico la Sinagoga, ch’ornai senza
luce n’avea ridotti e senza vista,
se data non le avesse Dio licenza,
io Chi mai vide una cagna, tutta mista
di loto e piaghe, invisa esser a tutti
e non trovar mai sede ove consista ?
Tal costei vidi abbietta, e con quei brutti
suoi guardi e vista macilente e torta
15ci avea di lume in tutto alfin destrutti.
Ma, poi che Dio caccio!la e l’ebbe accorta,
che lei pentita raccorrebbe in grembo,
la scena tornò viva, ch’era morta.
Come per l’aura di ponente un nembo
20si va struggendo, tale ad oncia ad oncia
dagli occhi nostri tolsesi quel lembo.
La vista come avanti si racconcia;
e l’util mio pastor, con atti e cenno
di ciglio e man, ch’intento stia mi annoncia.
25Ed io fermai non gli occhi pur, ma il senno,
che a quel s’attende ogni pensier converse;
e cosi gli occhi al sonno fuga denno.
Ed ecco alla man destra si scoperse
un verde colle, il qual non stette molto
30che dalla cima al piè tutto s’aperse.
Scopresi, oh Dio! ch’io son pur vano e stolto,
presumendo narrar con basso stile
qual dono in quel poggetto era sepolto:
don d’ogni grazia pieno, don gentile,
35dono ab aeterno destinato in cielo,
dono al cui pregio è lieve ogni altro e vile!
Escevi una donzella in bianco velo,
con guisa tal, che candidetta rosa
nel primo albore appar su verde stelo.
40Semplice, bella, onesta e vergognosa
va su leggiadri passi, e ove l’imprime
scuopre novelli fior la spiaggia erbosa.
L’alloro, il mirto e oliva e la sublime
abete e palma e l’odorato cetro
45per farle onor piegaron le lor cime.
Novelle fonti con lor chiaro vetro
spiccian di vivi marmi, e a lei gli augelli
di ramo in ramo van cantando dietro.
Damme fugaci e caprioli snelli,
50timide lepri sbucano e conigli,
per lei mirar, da’ fidi lor ostelli.
Un’acre cerva e duoi gemelli figli,
delizie care sue, le vanno a’ fianchi
con lor monili d’amaranti e gigli.
55Chi dice: — EH’è Innocenzia in panni bianchi. —
Chi : — No, ma Fede, a tal colore avvezza. —
Chi: —Lei, dal cui Figliuol saremo franchi.—
Io, che degli altri men n’avea certezza,
lo chieggio al mio Palermo. Ed ei : — Congiunta
60fia — disse — col Messia tanta bellezza.
Ecco, l’etá del fango è giá consunta:
quella dell’ór celeste fuor dell’ombre
con la Sposa di Cristo insieme spunta.
Decreto sta, che per costei si sgombre
65d’error il mondo ed entrivi quel vero,
ch’ulla calighi piú non oltre adombre.
Stará immortale di costei l’impero;
ed infinita prole, di lei nata,
s’alzerá predicando il gran mistero.
70Fia da tiranni e principi agitata
del mondo e dell’inferno; ma, piú oppressa
che sia da lor, in ciel verrá piú grata.
Nel ciel (credete a me!) non è permessa
ull’alma entrar senz’asti e passioni
75e che per Cristo in odio abbia se stessa.
Duri martelli e vividi carboni
afiínan l’opra, e senza quei non unque
conosco se gli artefici son buoni.
Ogni quantunque altèro, ogni quantunque
80possente re fia da costei sommesso,
la qual ecco a noi canta. Udiamla dunque!
— Baciami con la sua l’arnor mio stesso,
e non con l’altrui bocca, lo non piú Mòse,
ma il Giovili santo voglio a me promesso.
85Venga Egli, ché pur troppo lo mi ascose
l’ingrata Sinagoga, e chieggio i baci
delle sue dolci labbra ed amorose.
Taci, David; taci, Esaia; taci,
Amos; e gli altri tutti ornai tacete !
90fate ch’io il vegga, parli, stringa e baci!
Or Egli ove soggiorna mi dicete!
Credete voi che venga o sia venuto,
o pur di speme ancora mi pascete?
Se per divin consiglio è pur statuto
95ch’io, benché indegna, meco l’abbia, il voglio,,
cui d’oro e gemme un pallio ho giá tessuto.
Di tante ornai promesse mi disvoglio,
lo stessa chiamerollo e irò cercando;
ché ad altri aver creduto ancor mi doglio.
100Quando della cittá per strade, e quando
per borghi e piazze, vederò d’avere
Quel che l’alma mia cerca ed arde amando.
s’io lo mi posso al modo mio tenere,
non lascerò che delle braccia m’esca,
105ché senza lui non trovo alcun piacere.
E, benché fosca sia, deh! non gl’incresca,
ché il sol m’ha scolorata, e per lui bella
verrò piú di quantunque amor invesca!
E, s’Egli è pur quel che fra gente fella
no infermar deggia e assumer corpo umano,
figlio d’un fabbro detto e d’un’ancella,
si mi fia grato, e seco mi allontano
dalle superbe altezze: sol è buono
con lui calcar il mondo iniquo e vano!
115Se per altrui salute in abbandono
dará il suo corpo in sorte al freddo, al catdo,
a fame, a sete; ed io presta gli sono.
Scoglio cosi non siede all’onde saldo,
coiti’ io alle botte, per sua grazia, tanto
120che il cuor mi vien piú sempre da lei baldo.
Se mai, lassa! vedrò quel busto santo
languir tra man rapaci alla colonna,
rotto, impiagato e in croce svelto e franto,
come potrò questa corporea gonna
125non dare a quei famelici per strazio,
ch’io gli son pur la sua diletta donna?
Or non sia dunque al tempo maggior spazio!
Venga il mio caro ed unico tesoro,
ché mai, d’esso pensando, io non mi sazio!
130Se in lui, ch’anco non vidi, m’innamoro,
che fia quando vorrammi nelle braccia
e in letto della croce in quel martoro,
quando le piaghe di quell’alma faccia
irò suggendo con dolcezza tanta,
135che converrá mi slegua e in lui mi sfaccia?
Allor mi voglio a quella sacrosanta
persona unire, allor trarne tal prole,
ch’io detta sia per lei «beata pianta».
Sola sarò la pianta, ch’ai mio Sole
140Gesú cocente, e di sue grazie al rivo,
darò celesti frutti a chi ne vuole.
E di tai frutti Tossa e sangue vivo:
Tossa, le pietre; il sangue fia il cemento
per far lo tempio; e in lui con Cristo vivo.
145Vivo sperando che né tuon né vento
smuover giammai potrai lo, mentre Cristo
sará pietra angolare e fondamento.
Or corro a lui siccome al caro acquisto!
E tu, popol eletto, avendo udito
150gli annunzi e le trombette, sta’ provisto,
ché di Giordan presto T barai nel lito! —