La palermitana/Libro primo/Canto XXIX
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CANTO XXIX
Dichiarazione di tutti li misteri della passione del Salvatore,
che nella nativitá sua apparsero.
Stavami astratto e poco lieto, insieme
con dieci miei compagni, presso alquanto
a quello a noi troppo onorevol Seme.
Io, pur carnale, non frenava il pianto,
5perduto avendo il mio padre Palermo,
per cui grazia mi fu di veder tanto.
Ma, quando in quel soggiorno inculto ed ermo
starmi vedea con Dio fra la sua corte,
oh quanto a quel gran duol m’era di schermo!
io Giá quelli c’han le insegne della morte
un cerchio intorno fanno, ed il lor centro
era. il Bambin, che dorme molto forte.
Io, fra cotant’onor trovarmi dentro
vergognando, fuor n’esco; ma, da loro
15preso per man, nel circolo rientro.
La Vergin Madre, a tanto concistoro
chinando il capo, stassi ritta in piede
con gli occhi e cuore intenti al suo Tesoro.
Essi, ch’aveano a lei la prima sede
20giá fabbricata nell’eterna pace,
l’onoran come lei che piú alta siede.
Questa di sopra all’altre ardente face
tanto piú di gran lunga in l’alta gloria
sede in idea, quant’or piú bassa giace.
25Tal don le avvenne sol per la vittoria
ch’ebbe, sendo Ella scelta ad esser Madre
di Dio contro l’orgoglio e cieca boria.
Non ebbe un fregio tal, perché dal Padre
fosse antemessa a mille oneste e mille;
sola umiltá l’alzò su l’alte squadre.
30
Eran le cose allor cosi tranquille,
che non s’udia quantunque picciol crollo,
non che latrar di cani o suon di squille.
Dorme il Fantin, perch’uomo Dio formollo r
35in atto da baciargli volte cento
chi fosse degno gli occhi, bocca e collo.
Dorme il Piccino, e quinci l’argomento
fu del silenzio in cielo e in terra sparso,
dormendo seco il moto ed ogni vento.
40Ora il donzel, che con la croce apparso
era il dertano, in voler dir s’addestra,
come orator che in dar principio è scarso.
Tien dritto il legno in piè con la sinestra
ed, a noi vólto, anzi allo stato nostro,
45cosi parlando stese la man destra:
— Uomo, pon’ mente a quell’orribil mostro,,
per cui, del del fiaccandosi le scale,
s’aprir le porte del tartareo chiostro.
Pon’ mente, dico, al tuo peccato, il quale
50t’ha dato al tuo nemico in le catene
per ben ornargli il carro trionfale.
Egli trionfa ed in prigion ti tiene;
non che per sé quell’ infernal tiranno
fosse a bastanza muoverti dal bene,
55ma del peccato tuo le forze t’hanno
levate l’arme e preso nel conflitto
e messo lá dove i perduti stanno.
Di che, per sciòr d’un si crudel Egitto
te, simil suo, che in career Pluto serra,
60portarti addosso e ritornarti al dritto,
ecco del cielo il Re discese in terra;
eccolo armato d’umiltá profonda,
per dare a te la pace, a sé la guerra.
Largo tesor delle sue grazie abbonda:
65spargerlo vuole a chi gli è partegiano,
a chi sotto il suo imper l’arme circonda.
Giá scende ad armeggiar nel campo umano:
ecco il maggior stendardo, ecco la pianta,
quella non giá cui pronta fu la mano,
70la tua mal cauta man, onde si avanta
d’aver tant’alme e piú sempre acquistarne
l’abisso, e in ciel non ir sol una santa.
Frutto mortai e peste a chi è di carne
cogliesti alfin dal legno, onde credesti
75frutto d’essenzia eguale a Dio recarne.
Quindi per li pensieri tuoi scelesti
sconfitta fu la forte tua guerrera
fida magion, ché tu cosi volesti.
Se il mal desio le tolse la bandiera,
Ho che meraviglia? quando che, ciecato,
chinasti i sensi alla contraria schiera!
Questi tuoi traditori poi t’han dato
vinta ragione in man del tuo nemico,
fattogli servo in guardia del peccato.
85Per vincer dunque l’aversario antico
e in te sopporre a te le voglie tue,
portate ho l’arme al tuo fedel amico.
Vedilo qui fra l’asinelio e il bue,
d’umiltá santa forte campione,
90pronto a mostrar per te le forze sue.
Fia questa croce il magno confalone,
che s’appresenti e, rotte l’alte mura,
entri l’inferno e a forza ti sprigione!
Vedi la soda lancia, cui non dura
95né scudo alcun né usbergo né corazza,
sian pur d’invitto acciaio e tempra dura.
Vedi le scale, ove salendo, ammazza
li suoi rubelli, né a ferir assonna,
quando col stocco, quando con la mazza.
100Queste son le due sferze; e la colonna
del suo bel padiglion sostien l’incarco;
vedi la spongia e l’inconsutil gonna:
gonna che il copre armato, mentre al varco
securo attende le scoperte insidie,
ove. malgrado lor, ben tira d’arco.
La spongia dell’amaro fel d’invidie
mille cagioni a tolerar gli presta,
de’ propri suoi gli oltraggi e le perfidie.
Vedi, l’augel cristato avvisa e desta
le sentinelle sue, mentre abbandona
l’arme a riposo ed a quiete onesta.
Vedi che gli è tessuta una corona,
ove le spine, come in oro pietre,
al Servator del cittadin si dona.
Vedi il martel, onde convien che spietre
ogni durezza, e al suo destrier ai chiodi
talor doppie l’andar, talor l’arretre.
Tre sono quelli, ad uso per duo modi,
pel freno l’uno, i due per li speroni,
che romper sanno di pigrizia i nodi.
Ecco i danari al soldo e paga buoni,
di sua sembianza impressi. Ecco tre dadi,
che sceglion gli avvezzati al l’arme e proni.
Cosi del ciel le rotte scale e i gradi
s’hanno a rifar per la costui possanza,
e dell’inferno a ratturar i guadi.
Tu sol d’esserne sciolto abbi speranza
e fede in Lui, né si il peccato apprezzi,
che in suo dispregio l’impetrata usanza
per questo gran Fanciullo non si spezzi.