La mia vita, ricordi autobiografici/VII
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VII.
Il matrimonio di mia sorella
e la nostra partenza per Genova.
(1857).
Ho accennato, nelle prime pagine di questo libro all’idillio che si svolgeva tra l’Egle e Andrea Saiomoni, idillio che si sarebbe prolungato per qualche anno ancora, se io, come dissi, non ne avessi affrettata la soluzione.
Ed ecco come: una sera eravamo tutti riuniti in conversazione nel così detto salotto buono. C’erano i miei, un certo Dreino Passaglia, la famiglia Borrani, il Salomoni, il signor Augusto Pontecchi su cui avrò occasione di ritornare nel corso di queste pagine, una piccola signorina della mia età, la Faustina Lasinio, nipote, io credo, del chiaro filologo che insegna lingue orientali nell’ateneo fiorentino. Questa bimba ed io, non ammesse alla conversazione generale che si aggirava, ricordo, su musica e musicisti, ci eravamo nascoste dietro la tenda della finestra e ci divertivamo a far le signore e gli sposi, specialmente gli sposi, forse perchè a scuola era un giuoco proibito. Il babbo, a due passi da noi, ci guardava sorridendo.
La Faustina fingeva di esserla fidanzata, io, lo sposo.
Dopo molte occhiatine esageratamente tenere, le presi la mano e glie la baciai.
— I baci sulla mano si danno ai preti e alle monache — osservò la Faustina.
— No, signora — ribattei vivamente. — I baci sulla mano li danno anche i giovani alle ragazze!
— Non è vero!
— Sì, signora, che è vero! Anche Andrea bacia sempre la mano dell’Egle e se la posa sul cuore sospirando.
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La mattina dopo la mia casa pareva l’inferno. La mamma, accusata dal babbo di non aver saputo vigilar bene la figliuola, era stata presa dalle convulsioni.
Mia sorella, dopo avermi dato due o tre schiaffi abbastanza energici, s’era rinserrata in camera piangendo e strillando: «O lui o la morte».
Il povero Andrea, pallido come un cencio di bucato, abbassava il capo sotto la valanga dei rimproveri paterni. E la conclusione di tutta questa tragedia si riassume così:
Andrea, coi suoi risparmi e con un centinaio di scudi anticipatigli dal babbo sull’assegno dotale della figliuola avrebbe aperto subito una piccola cartoleria e legatoria di libri in via San Gallo.
E il matrimonio si sarebbe concluso di là a due mesi, tanto per dare alla famiglia il tempo di preparare un po’ di corredo alla sposa...
⁂
Visto che la mia indiscrezione aveva poi in fondo recato ottimi frutti, la mia sorella cancellò coi baci e con le lacrime l’impronta degli schiaffi, Andrea mi rimpinzò di chicche e la mamma entrò subito in via di guarigione.
⁂
Intanto il babbo stava maturando un gran disegno.
Le condizioni politiche della Toscana, le ardenti aspirazioni alla patria indipendenza, il fermento che più o meno celatamente agitava tutti i cuori e ne raddoppiava i palpiti, lo persuasero a farsi editore di opere liberali della cui diffusione egli avrebbe assunta tutta la responsabilità.
Ma egli non poteva, per attuare questo suo generoso proposito, rimanere in Firenze all’ombra del vessillo granducale, nelle vie che serbavano ancora le traccie della recentissima permanenza delle truppe austriache.
Genova, ove in quel momento trovavansi il Mazzini, il Guerrazzi, il geografo Costantino Marmocchi, parve al babbo il terreno più adatto. E un bel mattino del 1857, abbracciati e baciati gli sposi che da pochi giorni avevano ricevuto la benedizione nuziale, il babbo, la mamma ed io partimmo per Livorno dove ci saremmo imbarcati sul Cristoforo Colombo che salpava appunto per Genova.
Oggi, in cui i facili, quasi miracolosi mezzi di locomozione ci permettono di far colazione a Firenze, di pranzare a Milano e di prendere dopo poche ore il thè a Parigi, una simile solennità di frasario ci fa ridere e ci sembrerebbe appena naturale applicata a un viaggio al di là dell’Atlantico.
Ma nel 1857, l’andare semplicemente a Livorno costituiva già pei buoni Fiorentini un avvenimento memorabile da relegarsi tra le imprese arrischiate di cui una famiglia può menare legittimo vanto. Figuriamoci che effetto doveva fare una partenza per Genova!
Oh le tenere condoglianze delle amiche a mia madre che si avventurava con tanto coraggio sul mare, con una piccola bambina! Sul mare, dove, naturalmente, per due o tre giorni, non avrebbe veduto che cielo e acqua!.. E il bastimento? Aveva la forma di una gran barca, ma dentro era fatto come una casa! C’erano sale, camere, cucine, tutto il necessario... Possibile! Ma se fosse calato a fondo? Se un cavallone l’avesse ricoperto? Se una balena lo avesse urtato con la coda?
Mia madre piangeva e mi stringeva al cuore atterrita, malgrado gl’incoraggiamenti e le impazienze del babbo che aveva viaggiato, lui, e non poteva sopportare quell’assurdo cicaleggio!
Ad ogni modo, partimmo fra il compianto universale sì, ma partimmo, e il 20 di marzo, la fantasiosa fanciullina a cui la bellezza dei verdi poggi «per vendemmia o per aprile festanti» e le seduzioni dell’arte avevano già sussurrata la prima indimenticabile parola, contemplava, attonita e commossa, il gran mare azzurro, pieno d’iridescenze e di misteri.