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Intanto il babbo stava maturando un gran disegno.

Le condizioni politiche della Toscana, le ardenti aspirazioni alla patria indipendenza, il fermento che più o meno celatamente agitava tutti i cuori e ne raddoppiava i palpiti, lo persuasero a farsi editore di opere liberali della cui diffusione egli avrebbe assunta tutta la responsabilità.

Ma egli non poteva, per attuare questo suo generoso proposito, rimanere in Firenze all’ombra del vessillo granducale, nelle vie che serbavano ancora le traccie della recentissima permanenza delle truppe austriache.

Genova, ove in quel momento trovavansi il Mazzini, il Guerrazzi, il geografo Costantino Marmocchi, parve al babbo il terreno più adatto. E un bel mattino del 1857, abbracciati e baciati gli sposi che da pochi giorni avevano ricevuto la benedizione nuziale, il babbo, la mamma ed io partimmo per Livorno dove ci saremmo imbarcati sul Cristoforo Colombo che salpava appunto per Genova.

Oggi, in cui i facili, quasi miracolosi mezzi di locomozione ci permettono di far colazione a Firenze, di pranzare a Milano e di prendere dopo poche ore il thè a Parigi, una simile solennità di frasario ci fa ridere e ci sembrerebbe appena naturale applicata a un viaggio al di là dell’Atlantico.

Ma nel 1857, l’andare semplicemente a Livorno costituiva già pei buoni Fiorentini un avvenimento memorabile da relegarsi tra le imprese arrischiate di cui