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A quei tempi, i chilometri non erano stati inventati: e Prato, col suo Duomo, i cantucci, il Mercatale e le innumerevoli botteghe di barbiere, faceva a noi fiorentini l’effetto d’una città della Svizzera.
Dovevo — quindi — partire. Ma con chi? Il babbo impelagato negli affari della tipografia, non poteva accompagnarmi di certo.
La mamma! Possibile! Coi suoi dolorini reumatici e il nervoso che quando la pigliava sul serio, la faceva piangere e ridere come una grulla, poteva esporsi ai rischi e alle vicissitudini d’un viaggio? 1
Mandarmi con l’Egle! Prima di tutto essa aveva delle ottime ragioni per non volersi muovere da Firenze: eppoi se veniva via anche lei chi avrebbe badato alla mamma?
E allora? Allora veniva deliberato a unanimità di voti che sarei partita col Carmagnini, il procaccia che aveva la rimessa a Firenze in Piazza delle Cipolle 2 e che partiva per Prato con la sua grande, pencolante e vetusta diligenza, due volte la settimana, il martedì e il venerdì, giorni di mercato.
La mamma aveva conosciuto il Carmagnini fin da quando era ragazza e andavano insieme alla dottrina, dal priore di San Domenico: quindi sapeva che era un uomo serio, da non compromettersi, tale insomma da potergli affidare una creatura con tutta sicurezza.