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XVII XIX

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XVIII. — E se alcuno mi domanderae come ha nome questa isola, io gli diroe che si chiama l’isola Sanza Aventura. E dappoi che li due cavalieri videro T., disse l’uno di questi due cavalieri, lo quale avea nome Gariette: «T. non puote fallire, per ciò ch’è al mondo, ched egli non sia pro cavaliere e prodomo di sua persona e d’arme». E allora si tornarono li cavalieri al’Amoroldo e dissero che la battaglia si era istabilita nell’Isola Sanza Aventura e da ivi al terzo die dee essere la battaglia, «sí veramente che nell’isola non passerae se non voi ed egli». Ed allora disse l’Amoroldo che questo gli piacea assai. E allora Garietto parla al’Amoroldo e dissegli: «Io vorrei bene per la mia voglia che la battaglia rimanesse da voi a T., imperciò ch’io conosco in lui che non puote fallire che egli non sia prodduomo. E imperciò io loderei che voi faceste pace intra voi due e lo trebuto fosse terminato di qui a certo termine; ché se voi vedeste T., unque Iddio non fece mai cosí bello cavaliere». E allora disse l’Amoroldo che la battaglia non rimarebe in nesuna maniera. E lo re Marco disse a T.: «Io non vorrei la battaglia la quale tu hai presa ch’ella venisse a compimento. Perché s’elli dimanda trebuto ed io trebuto gli daroe». E T. disse che per tutto lo reame di Cornovaglia non lascerebe la battaglia del’Amoroldo. [p. 27 modifica] E al terzo giorno l’Amoroldo fue armato a cavallo e tutti li suoi cavalieri l’acompagnarono infino ala riva del mare. E allora T. prende le sue arme e monta a cavallo in su quello distriere che Belicies gli mandoe, e lo re Marco l’acompagnoe e tutti gli altri cavalieri con lui. E quando fue ala riva del mare e l’Amoroldo entra nela sua navicella con suo cavallo e fue al’isola e legoe la sua navicella. E dappoi entra T. nela sua navicella col suo distriere, e quando fue giunto al’isola e Tristano caccia la sua navicella per mare. Disse l’Amoroldo: «Perché hai cacciata la tua nave per mare?». E Tristano disse: «Perché l’uno di noi dee rimanere qui morto in questa isola e quegli che vincerae potrá bene tornare in una nave». E allora montano a cavallo ambodue [li] cavalieri. E l’Amoroldo disse a T.: «Io ti voglio perdonare questa battaglia, perché io veggio che l’hai presa per giovanezza e per poco senno che tu hai». E Tristano disse al’Amoroldo: «Se tu vuogli rifiutare lo trebuto alo re Marco, lo quale tu gli domandi, io lasceroe questa battaglia e non combatteroe teco. E se tu non vuogli rifiutare lo trebuto, noi compieremo nostra battaglia». Allora rispuose l’Amoroldo e disse: «Quello ch’io t’ho detto, io il ti dicea perché tu mi pari troppo giovane cavaliere, ma non perch’io voglia lasciare lo trebuto ch’io abbo a ricevere». E allora disse T.: «E dunqua non fae bisogno parlamento intra noi due». Ed allora sí si diffidano e dicegli T.: «Cavaliere, guardati da me, ch’io ti disfido dela persona». Allora sí si dilungano li cavalieri l’uno dall’altro e vegnosi a fedire l’uno contra l’altro e fegosi dele lancie e sí si fierono per li visaggi, sí che ciascuno andoe in terra de’ cavagli e li cavagli rimasero sopra lo corpo de’ cavalieri. E ciascheduno sí si duole assai di questa caduta e l’uno piú che l’altro e T. n’hae peggio. E di questo colpo molto si maraviglia l’Amoroldo, del colpo che T. gli hae dato, e dice infra se istesso che unqua per uno cavaliere no li toccoe sí grande colpo. Ma apresso di queste parole sí si rilevano trambodue questi cavalieri. E rivegnono l’uno inverso l’altro e mettono mano ale spade, e l’Amoroldo ferio a T. sopra lo scudo e [p. 28 modifica] diedegli uno sí grande colpo che ne portoe uno grande pezzo in terra. E T. fiere l’Amoroldo sopra lo scudo e dagli sí grande [colpo] che lo fae tornare indrieto, o volesse egli o noe. Ancora lo fiede T. sopra l’elmo di tutta sua forza e passagli l’elmo e la cuffia del ferro e misegli la spada per punta nela testa, sí che la spada si digranoe. E alo tirare che Tristano fece dela spada e l’Amoroldo cadde a terra. E disse a T. «No m’uccidere, ch’io mi chiamo vinto. Ma io ti priego che tu m’aiuti andare nela navicella». E T. disse: «Questo farò io volentieri». Allora lo prese T. e menollo ala nave, e dappoi che fue menato dentro la nave, e Tristano si lo spingea in mare. E l’Amoroldo si ricordoe d’una saetta atoscata ch’egli avea e volgesi e feríone T. nella coscia. E T. disse: «Come, Lamoroldo, e com’è ciò? Ed hami tu ferito?». E guardandosi T. alla coscia, no li parve che la ferita fosse neente. Allora si ne vae l’Amoroldo e torna ala sua gente e partesi di Cornovaglia con tutti li suoi cavalieri e tornano in Irlanda molto dolorosi. E quegli di Cornovaglia diciano: «Andate sanza mai tornare». Ma lo re Marco manda incontanente una navetta per T., e dappoi che fue venuto alo re, incominciò a fare la maggiore allegrezza che mai si vedesse fare a nessuno cavaliere.