La leggenda di Tristano/XCII
Questo testo è completo. |
◄ | XCI | XCIII | ► |
XCII. — Ma ora lascio lo conto di parlare delo re Marco e di suoi compagni, perché non appertiene a nostra materia, e torno a T., sí come vuole divisare la storia verace. Ma dappoi che madonna fue tolta sí come detto è a T., e egli sí dormía in sun uno monte, lo quale iera molto basso, e lo suo cavallo si era a piano, lo quale tenea Governale per farlo pascere. E T. sí dormia molto forte. Ma istando in cotale maniera, e uno damigello sí cavalcava per lo diserto molto astiamente, e cavalcando in cotale maniera sí pervenne al monte lo quale iera appresso ala via, lá dove T. dormia. E quando lo damigello vide T., sí si fece appresso di lui incontanente e incominciollo a riguardare. E istando in cotale maniera, e lo damigello incontanente sí conobe che questi sí era T., lo nepote del re Marco di Cornovaglia, lo quale avea morto lo suo padre indelo torneamento d’Irlanda e quando T. isconfisse lo re di Scozia, sí come lo nostro libro ci ha divisato in adietro. E dappoi che lo damigello ebe conosciuto T., prese uno suo arco e mise mano ala saetta attossicata, la quale egli avea, per federe T. E istando per uno poco, e lo damigello disse in fra se medesimo: «Sed io feggio T. dormendo, io ne sarei troppo ripreso da tutta gente. Ma io farò cosí, ch’io lo voglio chiamare, e com’io l’avrò chiamato e io sí lo ferirò con questa saetta e ucciderollo incontanente». E come lo damigello disse, cosí lo fece, e incontanente sí incominciò a gridare e a dire: «Ai lasso itté, T. di Cornovaglia! Ora non ti vale lo tuo dormire, imperciò ch’io t’ucciderò e incontanente. E imperciò ti dico che tue ti guardi da me, ch’io ti disfido sí come mio mortale nemico». E a queste parole e T. sí si levoe incontanente suso. E lo damigello, dappoi ch’egli ebe dette queste parole, incontanente prese l’arco e fedío T. nel braccio manco. E T. quando si sentio fedito, mise mano ala spada per fedire lo damigello. E quand’egli vide che non iera cavaliere, sí rimise la spada nel fodero e disse infra se medesimo: «Non voglia Iddio ched io t’uccida [colla spada], dappoi che tue non se’ cavaliere». Ma che fece? Incontanente gli diede di piglio per lo braccio e levollo alto e fedilo per sí grande forza a una pietra che tutto il capo gli disfece, sí che incontanente morio lo damigello.
E dappoi che lo damigello fue morto, e T. sí si truova fedito dela saetta, la quale egli avea nel braccio. E istando per uno poco, e lo braccio incominciò a diventare molto grosso e molto livido e doliagli oltre misura. Sí che T. non potea trovare nessuno riposo, e tanto iera lo dolore ch’egli sentia delo braccio che non poteva requiare. E incontanente sí si mosse e andò inverso lá dov’egli trovasse Governale, e tanto andò in cotale maniera che pervenne alo luogo lá dov’era Governale. E quand’egli fue giunto a lui e T. gli disse: «Governale, ora sappiate ched io sí sono innaverato d’una saetta attossicata, lá onde a me duole tutto lo braccio oltra misura». E Governale, quando intese queste parole, fune molto dolente oltra misura. E dissegli: «T., montate a cavallo e torniamo a madonna Isotta ed ella sí vi diliberrá di questo dolore che voi avete e incontanente». E a tanto si montò a cavallo T. e Governale e presero la via per andare ala magione dela savia damigella.