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136 | la leggenda di tristano |
montò a cavallo T. e Governale e presero la via per andare
ala magione dela savia damigella.
XCIII. — In questa parte dice lo conto, che dappoi che T. fue montato a cavallo ed egli sí disse a Governale: «Ora sapie, Governale, che a me si manofesta il cuore che noi avremo oggi piú dolore che noi non abiamo ora, per una visione la quale io feci istanotte». E Governale, quando intese queste parole, fue molto dolente, perché vedea che T. sí era divenuto tutto quanto palido e non avea neente di colore. E disse: «T., voi sí non dovete pensare nele visione, le quali voi vedete in sogni. Imperciò il vi dico ch’io abo inteso che le visione non sono da credere, imperciò che sono vanitade. Ed acciò vi dico che voi non dovete pensare a queste cose». Molto riconfortava Governale T., ma questo conforto no gli vale neente, tanto è lo dolore ch’egli sostiene. E tanto cavalcano in tale maniera, che pervennero ala porta, la quale iera davanti ala magione dela savia damigella. E dappoi che fuorono nelo prato, e T. incominciò a riguardare in terra e vide sí come tutto lo prato si era scalpitato da cavagli. Ed allora T. si volse contra Governale e sí gli disse: «Ora sappie ched io credo che oggi noi saremo lo piú doloroso cavaliere che sia in tutto il mondo. Imperciò ch’io credo che noi abiamo perduta madonna Isotta». E Governale sí incominciò a riconfortare T. e diciagli cosi: «Quello che voi dite non sarae, se piace al nostro Iddio». E a tanto disse T.: «Governale, or ismontiamo da cavallo e andiamo in dela magione, e vedrete sed io dico veritade». E incontanente Smontarono da cavallo e andarono dentro dala magione, e Governale sí incominciò a chiamare madonna Isotta. Ma persona neuna non facea motto né non rispondea. E Governale sí prese uno torchio di cera e incominciò a cercare per la magione, e non trovava madonna Isotta né Braguina. Ma egli trovò bene tutti li drappi di madonna Isotta, ma lei non potea trovare in nessuna parte. E quando Governale vide che non potea trovare madonna Isotta, sí venne a T. e dissegli: «Or vi priego