La leggenda di Tristano/CXXXII

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CXXXI CXXXIII

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CXXXII. — Ma in questa parte dice lo conto, che quando Ghedin intese le parole le quali T. avea dette e vide lo grande pianto lo quale egli facea, Ghedin incominciossi molto a maravigliare. Ma pensando Ghedin sopra quello che T. avea detto, sí com’egli moria per Isotta, credette ched egli sí avesse detto queste parole per amore d’Isotta sua suora, perch’egli non sapea che fosse altra Isotta al mondo, se non lei. E quand’egli ebe pensate tutte queste cose, fue molto doloroso, imperciò ch’egli non vorrebe che T. avesse avuto per suo amore non solamente uno pensiero, anzi vorebe che imprima fosse morta. E istando in cotale maniera, e Ghedin ismontoe da cavallo e andò a T. e incominciò a prendello in braccio, e tanto lo menò in cotale maniera che T. sí fue tornato in sua materia. E istando per uno poco, e Ghedin sí disse: «Per mia fé, T., io mi foe troppo grande maraviglia di voi, quando voi siete dimorato in nostra corte per cosí grande tempo e avete amata per amore Isotta de le bianci mani, la quale sí è mia suora, né voi a me non n’avete detto neuna cosa. Onde a me sí pare che voi sí sofferiate per lo suo amore molto grande dolore. Ond’io sí voglio che sí vi piaccia che noi sí torniano ala cittade e sí anderemo alo mio palagio. E io sí vi dico cosie, ch’io sí vi faroe segnore d’Isotta mia suora, imperciò ch’io vorrei ch’ella fosse morta anzi cento fiate che voi n’aveste giamai un altro dolore, sí come voi n’aveste ora». E quando T. intese queste parole, fue molto allegro, e disse infra se istesso: «Certo io credo che s’io avrò Isotta dele bianci mani al mio volere, forse per aventura io sí dimenticheroe l’altra bella Isotta la bionda di Cornovaglia, la quale io amo sopra tutte le dame e le damigelle del mondo». E istando in cotali pensieri, disse T. a Ghedin: «Se voi d’Isotta mi fate segnore, io no vi dimando neun’altra cosa che sia mai al mondo, se non d’avere lei solamente». E quando Ghedin intese queste parole che T. avea dette, fue tanto allegro che neuno altro piú di lui, e disse a T.: «Ora montiamo a cavallo e torniamo alo palagio, e io sí vi prometto ch’io sí vi faroe segnore d’Isotta mia suora». E a tanto sí [p. 174 modifica] montarono a cavallo ambodue e incominciarono a cavalcare inverso la cittade. E a tanto cavalcarono in cotale maniera che pervennero alo palagio delo re, e quando fuorono alo palagio ed eglino sí ismontarono da cavallo e andarono suso nela sala delo palagio. E quando fuorono nela sala, ed eglino sí trovarono le tavole apparecchiate per mangiare. E quando le tavole fuorono messe, e lo re vedendo Ghedin e T. fune molto allegro, imperciò ch’egli non volea mangiare sanza loro. E incontanente sí comandoe che l’aqua fosse data; ed allora i damigelli sí presero l’aqua e diederne. E quando fuorono tutti lavati, ed eglino sí intrarono a tavola; e tutte le dame e le damigelle sí erano a corte con Isotta, e tutte quante andarono a tavola altresie. E quando Io re fue a tavola con tutti li suoi baroni e cavalieri e con tutte le dame e le damigelle, e le vivande sí vennero a molto grande dovizia; e dappoi che le vivande fuorono venute, e tutta gente sí incominciarono a mangiare.

E istando in cotale maniera, e le dame sí incominciarono molto a risguardare a T. ed a Isotta e vedeanogli ambodue cotanto begli: tutte incominciarono a dire comunalemente: «Certo questi sono due i quali istarebero troppo bene ambodue insieme. Imperciò che se Isotta è bella e T. è bello altrettanto o piú di lei, e se Isotta è figliuola di re e T. è figliuolo di re altressie simigliantemente. E imperciò istarebono ambodue insieme troppo convenevolemente». E in cotale maniera sí parlavano tutte le dame di questa aventura. Ma tanto dimorarono in cotale maniera ch’eglino sí ebero mangiato, e lo re sí si levoe da tavola con tutta l’altra gente. E quando fuorono tutti levati da tavola, e T. andò in camera tutto solo e incomincioe forte a pensare e dicea in fra se istesso: «Per mia fé, io voglio prendere Isotta per mia moglie, dappoi che Ghedin lo m’ha promesso di donarmi sua suora per mia moglie. Ed acciò io conosco bene ch’io foe troppo grande fallimento, quand’io amo Isotta la bionda di folle amore; e tutta gente so che m’hae per folle cavaliere di questa aventura. Ond’io credo che per l’una Isotta io metterò in ubrianza l’altra [p. 175 modifica] Isotta. E se io questo posso fare, io sono lo piú aventuroso cavaliere che sia al mondo. E certo questo non m’è aviso che sia grande cosa a fare; perché sed io lascio Isotta ed io sí n’abo un’altra la quale sí ha nome Isotta, e se l’una è bella e l’altra è bella altressie, e se l’una è figliuola di re e l’altra è figliuola di re altressie. E imperciò io sí dovrei bene obriare la bella Isotta di Cornovaglia per Isotta dele bianzi mani, la quale è tanto bella damiscella». Molto si conforta T. di questa aventura. Ma tutto quanto egli ha pensato no gli vale neente, imperciò ch’egli non puot’essere quello ch’egli ha pensato in nessuna maniera, ma tutto in altra maniera addiverrae che T. non hae divisato di questa aventura.