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CXLIII CXLV

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CXLIV. — Ma in questa parte dice lo conto, che quando T. ebe letto lo brieve, ed egli sí incominciò a fare lo maggiore pianto, che giamai fosse fatto per uno cavaliere. E dicea infra se istesso: «Oi lasso me doloroso, quanto dolore sostiene la mia dama per me e quanti martiri!». Molto menava grande dolore T. di questa aventura Ma quando Ghedin intese queste parole e vide lo grande lamento, lo quale facea T., incominciossi molto a maravigliare, ond’iera venuto questo dolore cosi novellamente. E istando per uno poco, disse Ghedin a T.: «Io vi priego che sí mi dobiate dire ond’è venuto questo dolore lo quale io vi veggio fare, cosí grande, e quale è la cagione, imperciò ch’io so che stamane noi sí partimo dalo palagio [p. 190 modifica] con molta grande allegrezza, e ora vi veggio fare molto grande lamento. E imperciò sí vi priego che voi sí mi dobiate dire tutto questo convenentre, e io sí vi giureroe sopra le Sante ched io non diroe queste cose a neuna nata persona, se non fosse vostro volere». E quando T. intese queste parole, sí disse: «Per mia fé, Ghedin, se voi mi volete giurare sopra le Sante di non dire queste cose a neuna persona, io vi diroe tutto questo convenentre». E a tanto Ghedin sí giuroe di non dire queste cose. E quando Ghedin ebene giurato, e T. sí disse: «Per mia fé, Ghedin, io voglio che voi sappiate ched io sí amo per amore la piú bella dama che sia al mondo, e amola piú ch’io non foe né me ned altrui. Ed io posso bene dire con veritade ch’ella sí ama me altrettanto o piú, e delo piú leale amore che giamai fosse amato neuno cavaliere da sua dama. Ond’io sí voglio che voi sappiate ch’ella sí è la piú bella dama che sia al mondo. Ed ora sí vi dico in buona mia veritá, ched io sí vi posso rendere Isotta vostra suora cosi come voi la mi donaste, imperciò ched io unqua co lei non feci altro se non abracciare e basciare solamente. E imperciò vi dico questo, perch’io sí voglio tornare in mio paese, per andare a vedere quella dama, laond’io tanto v’hoe parlato; imperciò che sed io non tornasse a lei, per veritade il vi dico ched io sí morrei per lo suo amore». E quando Ghedin intese queste parole, fue tanto allegro che neun altro piú di lui. Ma tutta fiata si maravigliava perch’egli dicea ch’ella iera cotanto bella dama, imperciò ch’egli non credea che al mondo fosse una cosí bella dama com’iera Isotta sua suora. E istando per uno poco, e Ghedin disse: «T., io sí voglio che voi sí mi dobiate menare con voi, che per mia fé io abo grande volontarie di vedere quella dama, onde voi tanto parlate». E quando T. intese queste parole, fue molto allegro e disse: «Ghedin, dappoi che a voi piace di venire con meco, e a me sí piace assai; ma tutta fiata sí vi ricordo e priego che voi queste parole sí dobiate tenere credenza. E se alcuno vi domandasse chi è questa damigella, e voi sí direte ch’ella sia una damigella la quale è venuta di mio reame, ed hami apportate [p. 191 modifica] novelle, sí come tutti li miei baroni si combattono insieme. E imperciò è venuta questa damigella perch’io incontanente sí debia tornare in mia terra, per mettere pace intra loro. E in cotale maniera diceremo alo re e a Isotta vostra suora, onde noi sí ne potremo partire a tutte le stagione e fiate che a noi piacerae». E a tanto sí finarono loro parlamento, e Ghedin sí disse a T.: «Per mia fé, T., che mi piace bene di fare tutto cosie, sí come voi avete divisato».