La leggenda di Tristano/CLVIII
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CLVIII. — A tanto dice lo conto, che quando l’Amoratto sentío lo grande colpo, lo quale T. gli avea dato, fue molto doloroso. E vedendos’egli sí com’egli perdea tutto il sangue, sí disse: «Per mia fé, T., ora conosco io bene che voi sí m’avete ferito due fiate e sí come voi non dovete; imperciò ch’io non vidi unqua neuno cavaliere, il quale volesse menare a morte tutti li cavalieri, sí come fate voi. Ma io voglio che voi sappiate e fovi assapere, ched io sí mi richiameroe di voi alo re Arturi ed a tutti li buoni cavalieri, sí come voi mi volete menare a fine, chiamandov’io mercede. Onde sappiate ched io non voglio combattere piú con voi in nessuna maniera di mondo; ma io sí vi priego che vi piaccia che questa battaglia debia rimanere da me a voi, imperciò che intra noi due non è ora tale querella, che debbia essere menata a fine da noi due». E quando T. ebe intese queste parole, fue molto allegro, imperciò ch’egli vedea bene che l’Amoratto dicea d’avere lo peggio dela battaglia. E istando per uno poco, e T. disse: «Amoratto, io voglio lasciare questa battaglia a voi, per l’amore dela grande prodezza, la quale è in voi. Ed io sí vi perdono tutto lo mio maltalento e voglio che la pace sí sia fatta da me a voi». E quando l’Amoratto intese queste parole, fue molto allegro a dismisura, e incontanente sí si volea inginochiare davanti da lui, e porsegli la spada per lo tenere. Ma quando T. vide che l’Amorat si volea inginochiare davanti da lui e porgergli la spada per lo tenere, e T. lo prese in braccio e dissegli: «Per mia fé, Amoratto, voi non fate cortesia, quando voi mi fate tanto d’onore, imperciò che a me non si conviene. Ma io vi priego per amore di voi, che noi da ora innanzi noi sí dobiamo essere compagnoni d’arme, e faremo nostre cavalerie insieme». E quando l’Amoratto intese queste parole, fue tanto allegro che neuno altro piú di lui, e incontanente ringrazioe molto T. di queste parole, e dissegli: «Per mia fé, T., questo farò io volontieri, quando voi lo comandate». E a tanto sí s’abracciarono intrambodue e fecersi molto grande carezze insieme intra ambodue loro. Ma quando Ghedin vide che la pace iera fatta intra ambodue li cavalieri, fue tanto allegro che neuno altro piú di lui. E incontanente sí si levoe e andò a loro, e quando fue a T., ed egli sí disse: «T., io vorrei che noi sí andassimo in alcuna parte, per farmi medicare dele mie piaghe e fedite, imperciò ch’io mi sento molto malamente innaverato». E quando T. intese queste parole, disse al’Amorat: «Amorat, or montiamo a cavallo e andiamo in alcuna parte, sí che noi troviamo alcuno aiuto dele tue fedite». E quando l’Amoratto intese queste parole, fue molto allegro, e disse a T.: «T., a me abisogna assai d’andare a casa d’alcuno forestiero, imperciò ch’io mi sento molto malamente innaverato». E quando T. udío cosi dire, allora incontanente sí montoe a cavallo e partironsi dala fontana, e sí incominciarono a cercare per lo diserto per trovare la casa delo forastiero, lo quale forastiero sí era molto amico dell’Amoratto di Gaules.