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CCXV. — Quando gli altri cavalieri che ala fontana dimoravano, viddero quella aventura, elli sono duramente adirati, onde elli vendicherebero volentieri l’onta di loro signore, s’elli potranno. Allora corseno a loro elmi e sí se gli alacciano tanto tosto, e poi montano a cavallo tanto tosto quanto unqua possono e ricominciano la giostra. E sí avenne loro in cotale maniera, ch’eli fuorono ambendue abattuti: messer T. abattea l’uno e messer Estore abatteo l’altro. Li altri due cavalieri che rimaseno, quando videro abattuti li loro compagni e videro quella aventura, elli fuorono sí malamente ismarriti, che non sapieno che dire né che fare. E l’uno di quelli cavalieri era nipole del re di Norgales, sí giovano cavaliere che non avea mica che xxij anni, ma elli era sí pro e sí ardito e forte e sí bene provato di cavallaria, piú che nullo novello cavaliere; ché in tutto lo reame di Norgales non trovava l’uomo a quello [p. 271 modifica] punto cavaliere nullo, che contra lui osasse imprendere nulla impresa di cavallaria. Che vi dirò io? ch’elli era lo fiore di tutti gli altri cavalieri di Norgales, di cavallaria e di bontade, ed era sí giovene come io v’ho contato, e di sua bontá parlavano li cavalieri e tutta buona gente en la magione del re Artú e in molti altri luoghi. Quando elli vide che loro quatro cavalieri, cioè li loro compagni, ch’erano in tale maniera abattuti, sí monta a cavallo lo piú tosto ch’elli unqua puote. Quando venne al bassare dela lancia, lo cavaliere che io v’ho contato e viene incontra a messer Estor e sí lo fiere per mezzo lo petto, che, voglia messer Estor o non voglia, li convenne ferire ala terra, e fu di quello colpo molto inaverato per lo petto, sí che li convenne soggiornare piú di due mesi, anzi che potesse arme portare. E per questa cagione [convenne] che la compagnia di messer Estor e di messer T. si partisse allora. E perciò se n’andò messer T. in Cornovaglia, ove elli mori sí crudelmente, come noi vi conteremo.