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270 | la leggenda di tristano |
bene costumato, ma per l’usanza che c’è. Ed anco vi faremo
tanta cortesia, che s’elli non vi piacerá di giostrare, noi non
ve ne faremo giá forza». «Se Dio mi dia buona ventura, elli
sono assai da lodare e da pregiare» disse messer T. «di ciò
ch’elli sono cosí cavallarosi. Or che faremo noi e che risponderemo noi a quelli, che di giostrare ci hanno apellato?».
«Certo» disse messer Estore «la prima giostra che nello
reame di Norgales n’è rapresentata, non la rifiuteremo noi
mica, per lo mio consiglio, anzi proveremo com’elli sanno
ferire di lancie, e noi mostreremo loro, se a Dio piace, che
migliori sono li cavalieri aventurosi che quelli del reame di
Norgales». «Voi dite bene» disse messer T.; «ora pigliate
l’uno e io l’altro».
Allora non fanno altro dimoramento; anzi lassano quello parlamento e lassansi correre li due cavalieri incontra li altri due cavalieri. Messer T. si lassa correre contra lo figliuolo del re di Norgales, e ferillo sí duramente in suo venire, ch’elli li fé gli arcioni votare e lo porta a terra, onde fu tanto dirotto di quello cadere, ch’elli non sa niente s’elli è abattuto. E messer Estore abatette l’altro cavaliere.
CCXV. — Quando gli altri cavalieri che ala fontana dimoravano, viddero quella aventura, elli sono duramente adirati, onde elli vendicherebero volentieri l’onta di loro signore, s’elli potranno. Allora corseno a loro elmi e sí se gli alacciano tanto tosto, e poi montano a cavallo tanto tosto quanto unqua possono e ricominciano la giostra. E sí avenne loro in cotale maniera, ch’eli fuorono ambendue abattuti: messer T. abattea l’uno e messer Estore abatteo l’altro. Li altri due cavalieri che rimaseno, quando videro abattuti li loro compagni e videro quella aventura, elli fuorono sí malamente ismarriti, che non sapieno che dire né che fare. E l’uno di quelli cavalieri era nipole del re di Norgales, sí giovano cavaliere che non avea mica che xxij anni, ma elli era sí pro e sí ardito e forte e sí bene provato di cavallaria, piú che nullo novello cavaliere; ché in tutto lo reame di Norgales non trovava l’uomo a quello