La leggenda di Tristano/CCII
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CCII. — A tanto dice lo conto, che dappoi che monsignor T. fue partito, sí come detto è, e lo re sí andò alo cavaliere, lo quale iera abattutto da monsignor T., sí come io v’ho detto, e dissegli: «Cavaliere, e come istate voi? avete voi fedita, onde voi abiate damaggio? Ché per mia fé di vostro damaggio mi pesa e mi duole troppo». E quando lo cavaliere ch’iera abattutto da cavallo intese queste parole, fue molto doloroso, credendo che lo cavaliere dicesse queste parole in dispregio di lui. Ma istando per uno poco, ed egli sí rispuose e disse: «Cavaliere, ora sappiate ch’io non ho tanto male, quanto voi credete forse ch’io abia. E impererò vi dico che s’a Dio piace, voi non avrete neuna allegrezza di me a questa fiata. Ma tuttavia vi priego, che voi sí mi diciate chi voi siete, e a tanto vo’ diroe di mio damaggio». E quando lo re Artú intese queste parole, incontanente si partío da lui e andoe per una foresta, cercando lo cavallo delo cavaliere lo quale iera abattutto; e tanto andoe cercando in cotale maniera, ched egli sí trovoe lo cavallo e trovollo ad una fontana, e andò e prese lo cavallo e menollo alo cavaliere, alo piú tosto ched egli unqua potte. E quando fue giunto a lui, sí gli disse: «Ai, sire cavaliere, or tornate suso e montate a cavallo e partiamoci di quie, imperciò che a me si tarda troppo di arrivare a casa d’uno forestiero. E imperciò a me sí è aviso ch’egli sí vi potrae guarire delle vostre fedite». Ma quando lo cavaliere intese queste [parole, fue] molto allegro, e disse: «Certo, cavaliere, io non so chi voi siete, che tanto vi dolete di mio male; e imperciò vi priego che voi mi diciate vostro nome, imperciò che voi potreste essere tale cavaliere ch’io sarei credente dele parole le quali voi dite, e tale cavaliere potreste essere ch’io non crederei che voi vi doleste di me, sí come voi dite». Ma quando lo re Arturi intese queste parole, disse: «Certo, cavaliere, io vi dirò mio nome molto tosto; e imperciò vi levate e montate a cavallo e partiremoci di quie, imperciò che troppo mi tarda ch’io sia nelo reame di Longres».