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CCI. — In questa parte dice lo conto, che dappoi che monsignor T. ebe fatto questo pensiero, ed egli sí disse: «Re Artú, io sí vi priego che voi sí mi dobiate donare la battaglia di quello cavaliere». E lo re, quando intese le parole che T. gli avea dette, fue molto dolente, imperciò ch’egli non vorrebe ch’eglino avessero combattuto insieme. Ma vedendo ch’altro non potea essere, disse: «Cavaliere, e voi l’abiate, dappoi che voi la volete». E monsignor T. sí ringraziò assai lo re, e incontanente sí imbraccioe lo scudo e [p. 258 modifica] prese la lancia e andò inverso lo cavaliere. E lo cavaliere venne inverso di lui e fegonsi cole lande abassate, e lo cavaliere ferio a monsignor T. e diedegli sopra lo scudo si grande colpo, che tutta la lancia si ruppe in pezzi, ned altro male no gli fece. E monsignor T. sí ferío a lui sopra lo scudo e passogli lo scudo e l’asbergo e misegli lo ferro dela lancia nele coste sinestre, e molto in profondo, e miselo in terra del cavallo. E quando monsignor T. ebe fatto questo colpo, ed egli sí andoe alo re e disse: «Re, io v’acomando a Dio, impererò che a me sí abisogna di partirmi, e voi sí averete oggimai compagnia dali vostri cavalieri». E quando lo re intese queste parole, fue molto allegro e disse: «Cavaliere, a Dio siate accomandato; ma tutta fiata vi priego che voi sí dobiate venire a Camellotto, quanto voi potete piú tosto, ch’io abo troppo grande volontade di vedervi in mia corte». E T. rispuose e disse: «Ree, io verrò a voi al piú tosto ched io potroe». E istando per uno poco, T. sí incominciò a cavalcare e andò a sua via, pensando in quello che gli era adivenuto, e in poca d’ora si dilungoe tanto che lo re no lo pottea vedere. Ma a tanto lascio lo conto di parlare di monsignor T. e torno alo re Arturi, di cui si vuole divisare la storia verace.