La forza dell'animo (1828)/Sezione 2

Lettera al professore Hufeland

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II.

Del sonno.

Quanto i Turchi dicono, dietro i loro principj della predestinazione, sulla moderazione, cioè che in sul principio del mondo sia stato ad ognuno misurata la porzione di quanto abbia a mangiare nella vita, e che laddove ne divori la parte destinatagli in gran porzioni, deve far conto su un tempo più breve di mangiare, e quindi di essere, può servir eziandio di regola, che da principio ad ognuno sia destinata dalla sorte la propria porzione di sonno, e che colui il quale ne’ suoi anni virili abbia concesso troppo (più del terzo) al sonno, non possa ripromettersi di dormir molto tempo, cioè di vivere ed invecchiare. Colui che godendo dolcemente il sonno, gli concede più della terza parte della sua vita, calcola assai male riguardo alla quantità di essa vita medesima. Siccome dunque difficilmente vi sarà un uomo, il quale brami che il sonno non sia in generale un bisogno per esso (dal che risulta essergli il viver lungamente, un lungo tormento, del quale ne risparmia tanto quanto ne trascorre dormendo), così sarà più opportuno, sì pel sentimento che per la ragione, di mettere affatto da un canto questa terza parte, [p. 17 modifica]vuota di godimento e d’azioni, e di abbandonarla all’indispensabile ristaurazione della natura, non però senza un’esatta proporzione del tempo.

Appartiene alle morbose sensazioni di non dormire al tempo fisso e solito, oppure di non poter tenersi svegliato, ma principalmente al primo, l’andar a letto a tal uopo, e starvi senza dormire. Il medico consiglia ordinariamente di non darsi in preda a pensiero di fatta alcuna, ma questi stessi pensieri od altri in lor vece ritornano alla mente e vi tengono desto. Non v’è altro consiglio dietetico, tranne quello di rimuovere l’attenzione all’atto della percezione o del nascere di un pensiero (quasi come se cogli occhi chiusi si volgessero questi ad altra parte), e interrompendo ogni pensiero, ne nasce una confusione delle idee, per cui vien tolta la conoscenza della sua fisica (esterna) situazione, ne nasce un ordine del tutto diverso, cioè un giuoco involontario della fantasia (il sogno nello stato sano), nel quale mediante un mirabile artificio dell’organizzazione fisica, il corpo vien lasso per i moti animali, ma intieramente agitato pel moto vitale, ed invero da sogni, i quali, benchè non ce ne ricordiamo nel destarci, non hanno potuto mancare; altrimenti, se la forza nervosa che ha la sua origine nel cervello non operasse in unione colla forza musculare, la vita non [p. 18 modifica]potrebbe mantenersi un momento. Egli è perciò probabile che anco le bestie sognino dormendo.

Ma chiunque va a letto per dormire non potrà talvolta riescire di addormentarsi con tutto l’anzidetto rivolgimento de’ suoi pensieri, nel qual caso proverà qualche cosa di spastico nel cervello. Essendo la veglia un difetto della debole vecchiaja, e la parte sinistra in generale la più debole, io ne risentiva da circa un anno questi spastici parossismi e sensibilissime irritazioni di tal natura, che dietro l’altrui descrizione avvisava essere attacchi artritici, e quindi dovetti consultar un medico. Ma l’impazienza di sentirmi impedito nel dormire mi fece prendere il mio stoico rimedio, di rivolgere con isforzo i miei pensieri su qualunque da me scelto indifferente oggetto (p. e. sul nome Cicerone contenente molti attributi), e rimuovere così l’attenzione da quel sentimento per cui essi subito s’indebolirono, e la sonnolenza li superò; locchè posso ripetere con ugual buon successo ad ogni nuovo attacco di tal natura, nelle piccole interruzioni del sonno notturno. Del non essere questi dolori imaginarj, mi convinse nella mattina susseguente la rossezza rovente che mostrossi nelle dita del piede sinistro. Son sicuro che molti attacchi artritici, anzi epilettici e spasmici (eccettuato le donne e fanciulli che non [p. 19 modifica]hanno siffatta forza di proponimento), e diciam pur la podagra, possono essere ad ogni nuovo attacco arrestati, anzi distrutti successivamente con siffatta fermezza del proponimento (di rimuovere la propria attenzione da un tal patimento).