La forza dell'animo (1828)/Sezione 1
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Traduzione dal tedesco di Anonimo (1828)
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I.
Dell’ipocondria.
La debolezza di darsi in preda in generale con paura alle proprie morbose sensazioni senz’alcun fisso oggetto (per conseguenza senza tentare di padroneggiarle colla ragione) — , la malattia de’ grilli (hypochondria vaga)1, che non ha sede fissa nel corpo, essendo una mera creatura della fantasia, e perciò può chiamarsi pure poetica — in cui il paziente crede osservare in sè stesso tutte le malattie che legge ne’ libri — , è appunto il contrario di quella facoltà dell’animo di padroneggiare i proprj morbosi sentimenti, vale a dire pusillanimità di covare su’ mali che potessero sopravvenire all’uomo, senza poter loro resistere ove per avventura venissero; è questa una specie di manía, che invero può aver forse per causa qualche materia morbosa (flatulenza od ostruzione), la quale però non è sentita immediatamente quando affetta il senso, ma presentata come imminente dalla fantasia poetica, e allora quel tormentatore di sè stesso (heautontimorumenos), invece di farsi animo, invoca invano l’ajuto del medico, giacchè egli solo può scacciare colla dietetica del suo giuoco di pensieri le idee molestanti, che tornano involontariamente e davvero, di mali entro i quali nulla potrebbe farsi, se venissero di fatto. Non si può esigere da colui che è affetto da siffatta malattia, di potere col solo proponimento padroneggiare morbose sensazioni, poichè se ciò ei potesse, non sarebbe ipocondriaco. Un uomo ragionevole non statuisce una tale ipocondria, ma se gli sopravvengono affanni, che degenerano in grilli, cioè in mali immaginarj, egli si domanda se ve ne sia presente un oggetto; se nulla trova che possa dare fondata cagione a quest’ansietà, ovvero se vede che comunque tale oggetto vi fosse realmente non sarebbe però possibile evitarne il suo effetto, egli va con questo detto dell’interno suo sentimento all’ordine del giorno, cioè, egli lascia la sua oppressione di onore (che in allora non è che topica) al suo posto, quasi come se non gli calesse, e ne dirige la sua attenzione su faccende con cui ha a che fare.
In quanto a me, in causa dello stretto e piano mio petto, che lascia poco spazio al moto del cuore e de’ polmoni, ho una naturale disposizione all’ipocondria, che ne’ primi anni giunse sino al tedio della vita. Ma il riflettere che la cagione di questa strettezza di cuore sia forse meramente meccanica ed incurabile, fece sì che non ci poneva più mente, e nel tempo che mi sentiva oppresso nel cuore, regnava nella testa serenità e tranquillità, che non mancava di appalesarsi pure in società, non secondo l’alternativo umore (come sogliono gl’ipocondrici), ma a bella posta e in modo naturale. E siccome si prova più piacere della vita per quel che si fa, nel libero uso suo, che per quel che si gode, così si possono opporre lavori spirituali, altra maniera di promovente sentimento vitale, agli ostacoli appartenenti solo al corpo. L’oppressione mi è rimasta, attesochè la sua cagione trovasi nella fisica mia struttura, ma ho potuto signoreggiare la sua influenza su i miei pensieri ed azioni, col rimuovere l’attenzione da questo sentimento, come se non m’appartenesse.
Note
- ↑ A differenza della topica (hypochondria intestinalis).