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al professore Hufeland. 15

e ne dirige la sua attenzione su faccende con cui ha a che fare.

In quanto a me, in causa dello stretto e piano mio petto, che lascia poco spazio al moto del cuore e de’ polmoni, ho una naturale disposizione all’ipocondria, che ne’ primi anni giunse sino al tedio della vita. Ma il riflettere che la cagione di questa strettezza di cuore sia forse meramente meccanica ed incurabile, fece sì che non ci poneva più mente, e nel tempo che mi sentiva oppresso nel cuore, regnava nella testa serenità e tranquillità, che non mancava di appalesarsi pure in società, non secondo l’alternativo umore (come sogliono gl’ipocondrici), ma a bella posta e in modo naturale. E siccome si prova più piacere della vita per quel che si fa, nel libero uso suo, che per quel che si gode, così si possono opporre lavori spirituali, altra maniera di promovente sentimento vitale, agli ostacoli appartenenti solo al corpo. L’oppressione mi è rimasta, attesochè la sua cagione trovasi nella fisica mia struttura, ma ho potuto signoreggiare la sua influenza su i miei pensieri ed azioni, col rimuovere l’attenzione da questo sentimento, come se non m’appartenesse.