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Lettera di Emanuele Kant |
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poter loro resistere ove per avventura venissero; è questa una specie di manía, che invero può aver forse per causa qualche materia morbosa (flatulenza od ostruzione), la quale però non è sentita immediatamente quando affetta il senso, ma presentata come imminente dalla fantasia poetica, e allora quel tormentatore di sè stesso (heautontimorumenos), invece di farsi animo, invoca invano l’ajuto del medico, giacchè egli solo può scacciare colla dietetica del suo giuoco di pensieri le idee molestanti, che tornano involontariamente e davvero, di mali entro i quali nulla potrebbe farsi, se venissero di fatto. Non si può esigere da colui che è affetto da siffatta malattia, di potere col solo proponimento padroneggiare morbose sensazioni, poichè se ciò ei potesse, non sarebbe ipocondriaco. Un uomo ragionevole non statuisce una tale ipocondria, ma se gli sopravvengono affanni, che degenerano in grilli, cioè in mali immaginarj, egli si domanda se ve ne sia presente un oggetto; se nulla trova che possa dare fondata cagione a quest’ansietà, ovvero se vede che comunque tale oggetto vi fosse realmente non sarebbe però possibile evitarne il suo effetto, egli va con questo detto dell’interno suo sentimento all’ordine del giorno, cioè, egli lascia la sua oppressione di onore (che in allora non è che topica) al suo posto, quasi come se non gli calesse,