La fisica dei corpuscoli/Capitolo 4/5
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5. — La discontinuità delle sostanze disciolte. — In tutte le sospensioni, e in molte soluzioni colloidali i granuli della sostanza solida distribuiti nella massa liquida sono visibili, o ad occhio nudo, o col microscopio direttamente, o indirettamente con l’ultramicroscopio. In queste dunque la discontinuità è visibile e non richiede alcuna dimostrazione.
Quando i granuli sono talmente piccoli da non esser percepiti neppure per diffrazione, allora la soluzione apparisce all’osservazione come un semplice liquido, e si dice otticamente vuota.
Tutte le soluzioni propriamente dette sono otticamente vuote, e lo sono anche molte soluzioni colloidali. In molti casi però non si può ancora da una soluzione otticamente vuota ottenere un graduale ingrandimento dei granuli fino a renderli visibili. Per le soluzioni colloidali di metalli si ottiene con un processo di riduzione. Questa provoca un agglomerato di piccoli granuli intorno ad uno stesso centro di attrazione, e, sottoponendo all’osservazione ultramicroscopica il fenomeno, si può eseguire il formarsi di quei nuclei e l’accrescersi continuo di granuli che si rendono visibili, prima per diffrazione, e poi anche per visione diretta. Sono belle a questo proposito le esperienze del Zsigmondy, del Biltz, di Linder e Picton. In una soluzione colloidale di oro il Zsigmondy1 dalla conoscenza della quantità di oro contenuto nell’unità di volume del liquido e dalla numerazione delle particelle che si rendevano visibili, con l’ipotesi che i granuli primitivi fossero di forma sferica e avessero lo stesso peso specifico dell’oro comune, ha potuto determinare le dimensioni dei granuli primitivi invisibili. Il raggio di queste sferette risultò compreso tra 0,8 e 1,7 millimicron. Se si ricorda che le dimensioni delle molecole sono dell’ordine di cm. si capisce come tali soluzioni colloidali siano vicine alle vere soluzioni in cui le singole molecole sono separate.
L’andamento continuo da un tipo all’altro di soluzione, e con ciò la discontinuità della sostanza disciolta anche nelle soluzioni otticamente vuote, è stato dimostrato da The Svedberg2 per il loro modo di comportarsi nell’assorbimento della luce. Egli preparò una serie si soluzioni colloidali d’oro con granuli sempre decrescenti, mediante un processo di raffinamento e di setacciamento. Le più fine delle soluzioni erano otticamente vuote. Egli mandava un raggio di luce attraverso uno strato di soluzione di un centimetro di spessore e determinava l’assorbimento subito. Questo cresceva dapprima rapidamente col diminuire delle dimensioni delle particelle, raggiungeva un massimo e poi decresceva lentamente. Invece il rapporto fra l’assorbimento e il numero di particelle presenti nell’unità di volume, ossia l’assorbimento di una particella, o ciò che può chiamarsi l’assorbimento specifico, diminuiva col diminuire delle dimensioni delle particelle, dapprima lentamente, poi più rapidamente ma sempre nello stesso senso e con continuità. Siamo qui in presenza di una proprietà caratteristica delle soluzioni e troviamo che la sua grandezza varia con continuità delle soluzioni colloidali con granuli visibili fino alle soluzioni cristalloidali.
Viceversa: le proprietà che abbiamo riconosciuto nelle soluzioni, ossia la loro analogia con i gas si estendono dalle soluzioni vere alle soluzioni colloidali. Ne abbiamo belli esempio nelle esperienze del Perrin delle quali parleremo in seguito.
Le leggi della diffusione, e i fenomeni dovuti alla pressione osmotica si verificano anche nelle soluzioni colloidali. Naturalmente qui i fenomeni sono meno sensibili perchè la mobilità dei granuli diminuisce fortemente col crescere delle loro dimensioni.
Anche i fenomeni della ionizzazione elettrolitica si riscontrano nelle soluzioni colloidali. E quando i granuli sono visibili si può seguire il moto degli anioni e dei cationi. Lo hanno dimostrato le belle esperienze di Cotton e Mouton. Se la soluzione è immersa in un campo elettrostatico alternato i granuli si mettono in oscillazione, e all’ultramicroscopio si vede la loro traiettoria che ai punti estremi è più luminosa e si compie con periodo eguale a quello del campo.