La coltivazione di Luigi Alamanni ed altre opere/Avviso degli editori
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AVVISO
DEGLI EDITORI.
Nell’Avviso premesso alla nostra ristampa delle Rime del Petrarca, avevamo indicata come vicina una nostra edizione del Decamerone del Boccaccio. Varie ragioni, e fra queste non ultima la mancanza di un Testo che ci era pur necessario, con più altri, per gli opportuni confronti, e che abbiamo dovuto aspettare per molto tempo; ci obbligarono a differire l’esecuzione della nostra idea, la quale peraltro avrà nel ritardo acquistata un’accuratezza maggiore. Preveniamo i Lettori, che la nostra edizione seguace piucchè ci sarà possibile, quanto al più essenziale, dell’ottimo Testo Mannelli; presenterà, per quanto spetta all’ortografia, una lezione che meglio si contenga a’ di nostri. E passiamo intanto a riprendere il corso sospeso di alcune nostre edizioni, offerendo in un solo volume la ristampa della Coltivazione dell’Alamanni, delle Api del Rucellai, e del Bacco in Toscana del Redi; e a rendere un breve conto di quanto si è fatto da noi in questa ristampa.
Per la Coltivazione, abbiamo seguíto il Testo dell’edizione di Comino, Padova, 1718. In essa il cel. G. A. Volpi essendosi prefisso di copiare del tutto, dagli errori manifestissimi in poi, l’edizione originale di Ruberto Stefano, Parigi, 1546, curata dall’Autore in persona, e quindi allegata dai Vocabolaristi; soddisfece a questo suo assunto con quella rara ed esemplare diligenza che caratterizza tutte le di lui fatiche. Abbiamo, secondo il nostre metodo, tenuto sempre a riscontro l’originale Parigino; ma in questa collazione appunto, trovando giuste ed ammissibili, a nostro giudizio, alcune emendazioni del Testo fatte dal Volpi, ci parve che alcune altre non fossero della medesima utilità, e le abbiamo rifiutate, sostituendovi le prime lezioni. Fra le correzioni da noi conservate addurremo p. e. la parola faccie (facce in noi) che si legge in Comino nel lib. I, ver. 221, in luogo di faci che sta nell’originale; e quantunque la Crusca (ediz. Manni, Firenze, 1729-38) nell’esempio apportato alla voce Tirannico ritenga faci, confessiamo di non intendere come questa dizione possasi in quel luogo giustificare senza stiracchiatura. Fra le correzioni da noi abbandonate vi è p. e. la voce uscisse che si legge in Comino al lib. iii, ver. 251, in vece di usciste che sta nell’originale; dove ne sembra (ci è pur forza il confessarlo, supponendo che colà non vi sia un errore di stampa, perchè verisimilmente sarebbe stato avvertito) che il Volpi abbia preso un equivoco, ed abbia per conseguenza alterato il senso di un passo che a noi pare facilissimo, specialmente dopo la nostra puntatura. Il senso di questo ver. 251 è legato, secondo noi, con quello dei ver. 245 e 246, e non con quello del ver. 249, come sembra che il Volpi abbia inteso; nel qual caso parrebbe che Giove avesse promesso che il parto uscisse non maturo; il che è contrario alla mitologia nel proposito: veggasi in Ovvidio Metam. ec. Un altro luogo dove non abbiamo seguito Volpi, è al lib. iii, ver. 515 — ; poi dove gli altri han seggio, in Comino — ; poi dove gli altri ha seggio, nell’originale — poi, dove gli altri, à seggio, in noi; non sembrandoci che questo membro debba necessariamente dipendere dall’antecedente; ma anzi parendoci più poetico il passaggio che fa l’Autore, da noi reso più chiaro col nostro punteggiamento. Sarebbe un abusarci della pazienza del nostro Lettore, allegando alcune altre cose di pochissima rilevanza, nelle quali abbiamo adottata piuttosto l’una, che l’altra delle suddette due edizioni; ma non possiamo tacere l’arbitrio che ci siamo permesso nel cangiare al lib. vi, ver. 54 in È verbo l’Et copula che si trova in entrambi i Testi, e anco in quello di Giunti, Firenze, 1590; perchè ci sembrò che questo cangiamento fosse, se pure non necessario, almeno vantaggioso all’intelligenza del passo; non essendo poi improbabile che all’Autore, in mezzo ad altri sbagli non compresi nell’errata, sia sfuggito un t che forma tutta la differenza, niente contando l’accento che nelle edizioni e scritture di que’ tempi non si apponeva sopra l’È verbo, quand’era maiuscolo.
Per le Api, ci siamo attenuti all’edizione di Comino sopraccitata, nella quale il Volpi copiò il Testo della prima edizione del de’ Nicolini da Sabio, Venezia, 1549. Abbiamo sempre tenuta a riscontro la suddetta edizione di Giunti, citata, per le Api, dagli Accademici, ma tronca e in varj luoghi alterata; nè ce ne siamo prevaluti fuorchè in pochissimi casi di una più chiara ortografia.
Per il Bacco in Toscana, abbiamo adottato il Testo dell’edizione di Matini, Firenze 1685, correggendone qualche erroruccio che di rado vi si trova.
Quanto all’ortografia, abbiamo in questa edizione conservato in generale il metodo da noi tenuto nelle antecedenti nostre, e specialmente nel Dante o nel Petrarca; seguendo per lo più la pratica della Crusca (ediz. sopracc.) perchè essa segue per lo più la pronunzia, la quale, secondochè riflette ne’ suoi Avvertimenti il cel. cav. Salviati, è il vero e primiero e general fondamento dello scriver correttamente. Nondimeno nella Coltivazione ci siamo in qualche caso studiati di adattarci ad un’ortografia propria, in certo modo, dell’Autore; proccurando però di torre ogni equivoco: il che indichiamo, perchè veggendosi qualche volta contrariato il nostro metodo, ciò non si prenda per una incoerenza.
Desideriamo che questa nostra edizione si trovi leggibile, anco in confronto delle più reputate; delle quali non è già pura copia, soprattutto riguardo al punteggiamento affatto, quasi sempre, diverso. È facilissimo che ci sia scappato qualche errore, qualche inesattezza: ne sfuggirono agli Aldi, agli Stefani, agli Elzevirj, ai Volpi. Bisogna giudicare di un editore dal complesso del suo lavoro, e non da qualche svista fortuita in cui possa essere caduto fra i multiplici e differenti oggetti ne’ quali è contemporaneamente divisa la sua attenzione.
Il nostro Decamerone sarà preceduto da una ristampa dell’Aminta del Tasso, e del Pastor Fido del Guarini, riuniti, con utili aggiunte, in un solo volume.