La chioma di Berenice (1803)/Considerazione II

Considerazione II. Talete e Sulpicio

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Gaio Valerio Catullo - La chioma di Berenice (I secolo a.C.)
Traduzione di Ugo Foscolo (1803)
Considerazione II. Talete e Sulpicio
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considerazione seconda

Talete, e Sulpicio.

Tutte le storie dopo Erodoto (lib. i, sez. 74) danno a Talete, uno de’ sette saggi e principe della scuola ionica, la preeminenza della predizione di un’eclissi fra’ greci. Ma il Gentil (Mémoires de l’Acadèmie des Scienc. 1756, pp. 78 ed 81) lo niega, fondando le sue opposizioni su calcoli astronomici, a cui non potrò mai arrendermi se non mi sarà prima provato che all’età di Talete non sia avvenuta un’eclissi, o che non sia passata vicino alla terra una cometa, che, coprendo il disco solare, avrebbe fatto a quelle genti ignare delle scienze astronomiche prendere il fenomeno per un’eclissi. Or poiché Erodoto dice che il giorno divenne di repente notte appunto nell’età di Talete; poiché questo racconto è bensì modificato ma non affatto negato dagli astronomi (Baylli, Hist. de l’astr. ancienne, lib. vi), non so come si possa torre a Talete la gloria di avere predetto uno di questi fenomeni. I racconti inesatti degli storici possono condurre la critica a rettificare i fatti e le epoche, ma rare volte o non mai a negarli del tutto. Per torre la gloria a Talete, conviene prima negare ch’egli fosse astronomo, lo che è provato da Diogene Laerzio (in Talete, sez. 34), o che gli astronomi, che lo seguirono, non sapessero predire sì fatti fenomeni. E queste cose non denno essere provate con autorità storiche, poiché, se le memorie antiche sono false per noi, non hanno ad essere vere per gli oppositori.

Fra’ romani fu primo ad attendere all’astronomia Sulpicio Gallo, di cui il Baylli (Histoire de l’astronomie moderne) parla solo per incidenza. Sulpicio fu studioso [p. 162 modifica] delle greche lettere (Cic. ’de clar. Orat., cap. 20), che già incominciavano a germogliare in Roma; anzi nell’anno della pretura di Sulpicio morì Ennio. Maggiore fama a se stesso ed utilità alla repubblica ricavò dall’astronomia, ch’ei trattò indefessamente (Cic. de Senect., cap. 14). La predizione dell’eclissi lunare, citata da noi in nota a vv. 1-4, è distesamente raccontata da Livio (lib. xliv, 37), da Plinio (lib. ii, cap. 12), e, con alcuna diversità, da Valerio Massimo (lib. viii, cap. xi, 8). Sulpicio, forse unico astronomo in Roma sino a’ tempi di Cesare (Cic. Tuscul. lib. i, cap. 3), scrisse un libro intorno alle eclissi. Fra’ greci fu Ipparco che più esattamente ne ragionò. Fortunati que’ mortali che con le scienze hanno potuto sgombrare dalla mente degli uomini il terrore de’ fulmini, e delle eclissi improvvise; perocché prima di essi ad ogni fenomeno Æternam timuerunt saecula noctem. I re ed i sacerdoti se ne valeano. .