La capitana del Yucatan/9. Una spedizione a terra
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CAPITOLO IX.
Una spedizione a terra.
Il luogo scelto da Cordoba per operare lo sbarco delle armi e delle munizioni destinate ai volontari spagnoli di Cuba, era una specie di canale d’acqua marina, che s’inoltrava fra le vaste savane che coprono i dintorni dell’ampia baia di Corrientes. Era tortuoso, affatto nascosto e sparso qua e là da banchi di sabbia che dovevano impedire l’accesso a qualunque incrociatore della flotta americana.
Le due rive erano coperte da fitte masse di paletuvieri, piante dalle foglie grandissime, rassomiglianti a quelle dei banani e quasi prive di tronchi. Abbondavano invece di radici grosse alcuni pollici, che invece d’alzarsi diritte dal fondo paludoso, formano delle reti inestricabili, aggrovigliandosi ai rami nodosi e contorti del pari e che corrono in tutte le direzioni possibili ed immaginabili.
Sono piante acquatiche, che crescono tanto alla foce dei fiumi quanto sulle spiagge del mare, senza soffrire, permettono però di sbarcare egualmente, se si ha la precauzione di appoggiare i piedi su quelle molteplici radici, le quali formano una specie di strato solido.
Sono però pericolose per i miasmi che tramandano in causa della decomposizione del fogliame, miasmi che producono febbri terribili e sovente anche il romito prieto.
In mezzo a quella lussureggiante vegetazione, si vedevano volteggiare delle bande di superbi fiammanti, o meglio di fenicotteri, i più strani, e nel medesimo tempo i più belli uccelli delle paludi.
L’immaginazione più fantastica non potrebbe creare un volatile più singolare del fiammante. Figuratevi due gambe lunghissime, munite di dita palmate come quelle delle anitre, sostenenti un corpo relativamente piccolo per simili sostegni, con ali mediocri e coda breve e coperto di penne d’uno splendido color rosa carminio, che lungo le ali diventa d’un superbo color rosso corallo o rosso fuoco.
Il collo poi è qualche cosa di ridicolo, lungo e secco, con una testa ancora più stravagante, munita d’un becco grande che a metà si ripiega bruscamente come se fosse spezzato, e che sembra sia sempre lì per cadere, essendo curvato in basso.
Una ventina di quegli uccelli, invece di volare al disopra dei paletuvieri, si vedevano allineati su di un banco che la bassa marea aveva lasciato scoperto, con una regolarità da far invidia ad un picchetto di soldati. Con una mossa simultanea affondavano i loro becchi nel fango, in modo che la mandibola superiore si trovasse di sotto, per raccogliere i molluschi o le uova dei pesci.
La marchesa e Cordoba, dalla prora dell’yacht guardavano le piante acquatiche per scoprire l’uomo che aveva risposto al segnale, il quale non si scorgeva ancora. Udivano però di tratto in tratto, uno scrosciare di foglie ed un rompersi di rami entro il folto delle piante.
Un grido stridente, rassomigliante a quello che si cava da una trombetta, mandato da uno dei fiammanti, seguìto subito dalla fuga precipitosa dei pescatori, li avvertì che l’uomo atteso doveva essere ormai poco lontano.
— Ohe!... Della nave!... — gridò una voce.
— Vi aspettiamo — rispose Cordoba. — Gettate in acqua la scialuppa, voi. —
Mentre i marinai eseguivano prontamente l’ordine, alla estremità dei paletuvieri comparve un uomo, il quale s’avanzava lentamente, scivolando fra le radici ed i rami per evitare un bagno.
La scialuppa, montata da quattro marinai e da un timoniere, si diresse rapidamente a quella volta ed apertosi il passo, a colpi di scure, fra le piante acquatiche, giunse ben presto là dove si era arrestato l’uomo del segnale, prendendolo a bordo.
La marchesa e Cordoba avevano creduto fino allora che quell’uomo fosse qualche soldato mandato su quelle spiagge per sorvegliare l’arrivo dell’yacht; videro che si trattava invece di un cubano che aveva più l’aspetto d’un scorridore dei boschi che d’un fantaccino od un cavalleggiero europeo.
Era un individuo di statura media, piuttosto tarchiato, con spalle larghe e membra assai muscolose, colla pelle assai bruna, che tradiva, anche a prima vista, l’incrocio del sangue bianco col nero. I suoi occhi erano nerissimi e vivaci, i capelli crespi e la barba nera, corta e piuttosto rada.
Il suo costume era semplice e non mancante d’una certa eleganza. Aveva in capo un ampio cappello di paglia di Panama adorno d’un nastro rosso, giacca di velluto nero, con bottoni d’argento, aperta in modo da lasciar vedere sotto una camicia di flanella bianca a ricami azzurri, pantaloni di tela pure bianca, stretti da una larga fascia di seta rossa, sostenente uno di quei coltelli a lama un po’ ricurva chiamati machette al Messico. Calzava lunghi stivali alla scudiera.
Oltre quel coltello, portava a bandoliera un bellissimo fucile a due canne, a retrocarica, un’arma però più da caccia che da guerra.
Il mulatto, poichè tale doveva essere dai tratti del volto che ricordavano un po’ la razza negra con quegli zigomi sporgenti e robusti, quelle labbra un po’ tumide e quella fronte bassa, giunto dinanzi alla marchesa, si levò l’ampio cappello, dicendo con una certa spigliatezza:
— Buon giorno, signora del Castillo.
— Buon giorno signore — rispose la marchesa, senza dissimulare un gesto di stupore. — Perdonate, come sapete che io sono la signora del Castillo?
— Mi avevano detto che la nave che doveva giungere colle armi e le munizioni era comandata dalla marchesa Dolores del Castillo. È l’Yucatan questo legno, è vero?...
— Sì.
— Vedete adunque che non mi sono ingannato, signora.
— E voi, chi siete?...
— Matteo Del Monte, confidente del maresciallo Blanco.
— E siete solo?...
— Solo, signora.
— Ciò mi sorprende.
— E perchè?
— Credevo di trovare qui un drappello di soldati, comandati da qualche ufficiale per la consegna del carico.
— A due giornate di marcia vi sono cento uomini risoluti, guidati dal capitano Carrill.
— E perchè non sono venuti qui?...
— Pel semplice motivo che sono stati costretti ad arrestarsi onde sfuggire le bande insorte guidate dal capitano Pardo.
— Sono inseguiti forse?
— Possono venirlo da un momento all’altro, — rispose il cubano.
— E che cosa aspettano?
— Che le bande si siano allontanate.
— E verranno poi a ritirare il carico?
— Non lo credo, signora. Questi territori, che pochi giorni or sono erano deserti, sono ora stati invasi da numerose bande, e temo che voi, signora marchesa, sarete costretta ad attendere, prima di sbarcare le armi e le munizioni.
— Le coste sono bloccate, signore, e siamo sfuggiti miracolosamente a vari inseguimenti, — disse la marchesa. — Aspettando potremmo venire scoperti.
— Volete che il carico cada nelle mani degl’insorti? Se riprendete il largo il maresciallo non riceverà un solo fucile, nè una cartuccia. —
La marchesa, che doveva essere vivamente contrariata per quelle inattese risposte, si volse verso Cordoba che aveva ascoltato il dialogo senza aprire le labbra.
— Che ne dici tu, amico?... — gli chiese.
— Io dico che se non possiamo sbarcare il carico qui, andremo altrove. Abbiamo giurato di far avere al maresciallo le armi e le munizioni, e vivaddio noi sbarcheremo gli uni e le altre a dispetto del blocco.
— Che cosa mi consigli di fare ora?
— Recarci dal capitano Carrill per intenderci con lui.
— È lontano due giornate di marcia, Cordoba.
— Lo so.
— Ed il paese è battuto dalle bande di Pardo...
— Organizzeremo una piccola spedizione e marciando attraverso le foreste e le paludi, possibilmente di notte, si può sfuggire ad ogni incontro. —
Poi volgendosi verso il cubano che porgeva una certa attenzione a quello scambio di parole, gli chiese:
— Sapreste condurci dal capitano senza farci cadere nelle mani di Pardo?
— Di questo rispondo, anzi volevo farvi la proposta. Cento uomini, capirete, non possono diventare invisibili, specialmente se hanno da trasportare un carico considerevole; otto o dieci persone possono invece passare anche in mezzo a mille insorti, specialmente in un paese coperto di fitte foreste.
— Ebbene, signor Del Monte, noi andremo a trovare il capitano, è vero donna Dolores?...
— Sì, Cordoba, se ritieni che questo progetto sia il migliore.
— Chissà, — riprese il lupo di mare, come parlando fra sè. — Si può intenderci col capitano e cercare qualche altro punto della costa, non troppo lontano, per operare lo sbarco del carico senza affrontare altri pericoli.
— Ho accettato il tuo piano con questa speranza, — disse la marchesa. — Quando vuoi che partiamo?
— Più presto che si può, donna Dolores. Gl’incrociatori americani possono comparire nella baia e mandare qui delle scialuppe armate.
— Non ti chiedo che mezz’ora per fare la mia toletta.
— Quando risalirete in coperta, la spedizione sarà pronta.
— Quanti uomini prenderemo con noi?
— Basteranno quattro o cinque. Un drappello poco numeroso può facilmente sfuggire agli agguati degl’insorti, donna Dolores.
— È vero, Cordoba. Prepara ogni cosa. —
La marchesa si affrettò a scendere nella sua cabina, mentre il lupo di mare, fatti schierare i marinai, procedeva alla scelta delle persone che dovevano accompagnarli nella pericolosa spedizione e mastro Colon preparava le armi ed i viveri.
Dieci minuti dopo donna Dolores risaliva in coperta. Aveva lasciato il suo costume femminile che le sarebbe stato di grave imbarazzo fra le foreste e le paludi della grande isola, ed indossava un semplice ed elegante costume maschile, di flanella oscura, completato da alti stivaletti e da un cappello di paglia di Panama dalle ampie tese, e adorno d’una piuma nera.
Cordoba aveva già fatta la sua scelta fra gli uomini dell’equipaggio. Cinque robusti giovanotti di ventiquattro a ventisei anni, dalle membra gagliarde e pratici delle foreste tropicali, avendo tutti soggiornato più o meno nelle grandi isole del golfo del Messico, aspettavano la marchesa nella scialuppa. Erano tutti armati di eccellenti fucili Mauser, di scuri, e provvisti ognuno di duecento cartucce.
Prima d’imbarcarsi, la marchesa chiamò mastro Colon, dicendogli, con un tono di voce un po’ commosso:
— Affido a te, mio valoroso, la mia nave e la bandiera della patria. Se tu vedessi che l’una o l’altra sono in pericolo, da’ fuoco alle polveri e vieni a raggiungermi nei boschi.
— Ve lo giuro, mia Capitana, — rispose con voce solenne il vecchio mastro. — Gli yankees non avranno nè l’Yucatan nè la bandiera spagnola che farò inchiodare sul corno dell’albero maestro.
— Grazie, Colon: conto su di te.
— Andiamo donna Dolores, — disse Cordoba. — I minuti possono diventare preziosi. —
Il cubano e otto altri marinai erano scesi nella scialuppa e li attendevano alla base della scala.
La marchesa fece un gesto d’addio all’equipaggio che era ancora schierato in coperta e s’affrettò a raggiungere i compagni, seguita da Cordoba.
Ad un suo cenno la scialuppa si staccò dall’Yucatan, attraversò rapidamente il canale e raggiunse i paletuvieri che ingombravano la riva ed i banchi melmosi, inoltrandosi attraverso le paludi per cinque o seicento metri.
Il drappello si caricò delle armi e dei viveri, i quali erano stati racchiusi in diversi sacchetti, delle coperte e d’una grande tela che doveva servire di tenda per ripararsi dalle piogge diluviali, così frequenti nella primavera, poi si cacciò fra le piante acquatiche passando da una radice all’altra, mentre la scialuppa con tre marinai, riprendeva il largo per fare ritorno all’Yucatan.
La traversata di quella zona pericolosa pei miasmi terribili che la infestano, si compì felicemente sotto la direzione del cubano, il quale sapeva scegliere i passaggi meno difficili. Un quarto d’ora dopo il piccolo drappello giungeva sulla terraferma, sul margine d’una immensa foresta costituita quasi esclusivamente di mangli, piante che producono delle frutta sufficientemente nutrienti per impedire ad un uomo di morir di fame, quantunque siano impregnate d’un sapore, più o meno pronunciato, di trementina.
Quella parte della foresta sembrava assolutamente deserta, poichè nessun rumore si udiva eccettuato il grido rauco e scordato di una coppia d’aquile caracara che avevano il loro nido su uno dei più alti alberi.
— Quale via terremo? — chiese donna Dolores al cubano, il quale si era arrestato ascoltando attentamente.
— Attraverseremo per ora quella foresta, — rispose egli.
— Impiegheremo molto tempo?...
— Forse l’intera giornata, poi ci cacceremo nelle paludi per evitare le bande di Pardo.
— Dove credete che siano gli insorti?...
— Hum!... È un po’ difficile a saperlo. Essendo tutti montati e possedendo dei buoni cavalli, in dodici ore, si possono ritrovarli ad una grande distanza.
— Ve ne saranno in questa foresta?...
— Durante la mia traversata non ne ho veduto uno solo.
— Voi conoscete la via.
— Meglio di tutti, signora.
— Andiamo adunque e teniamo gli occhi bene aperti e le armi pronte, — disse la marchesa.
Il drappello, dopo quello scambio di parole, si mise tosto in marcia. Il cubano camminava innanzi a tutti, poi venivano due marinai armati di scure per aprire il passo attraverso a quel caos di tronchi, di foglie, di rami, di liane e di cespugli, quindi la marchesa con Cordoba e finalmente gli altri tre marinai incaricati di proteggere, alle spalle, la piccola spedizione.
La marcia, che da principio era sembrata facile, divenne ben presto così impacciata, da mettere a dura prova i muscoli dei tre uomini d’avanguardia, non trovandosi più passaggi.
La meravigliosa feracità del suolo cubano dava una prova della sua potenza produttiva. Si poteva dire che non vi era atomo di terreno che le piante non avessero subito occupato, prendendo uno sviluppo gigantesco.
I tronchi degli alberi erano dovunque così stretti, da impedire talvolta il passaggio anche ad una sola persona, e là dove vi era un po’ di spazio, liane, piante parassite e cespugli erano spuntati come per incanto, quantunque il suolo delle Piccole e delle Grandi Antille sia piuttosto scarso di terreno, trovandosi a breve profondità strati rocciosi ed argillosi che le radici non possono trapassare.
Predominavano sempre in quella grande foresta i mangli, però qua e là s’incrociavano in tutti i sensi liane smisurate che salivano e scendevano lungo i tronchi con mille contorcimenti o aggrappandosi ad una infinità di piante parassite che formavano dei fitti festoni. Si scorgevano altresì, ma come isole perdute su di un oceano, macchie di superbi banani dalle foglie smisurate e la cui tinta verde cupa spiccava vivamente fra i centomila rami delle piante vicine; poi gruppi di piante del pepe, amalgamate, confuse, avviticchiate strettamente le une alle altre ed anche, di quando in quando, vedevasi torreggiare qualche gigantesco albero di cotone selvatico, piante che sono internamente cave e che anticamente venivano usate dagli indigeni per costruire dei lunghissimi canotti, capaci di contenere perfino cento uomini.
Sotto quei vegetali regnava una umidità penetrante, non permettendo l’immensa cupola di fogliame, che i raggi del sole penetrassero e potessero giungere fino a terra, umidità che diventa pericolosissima, specialmente durante la stagione delle piogge, le quali cominciano nel giugno od ai primi di luglio, durando fino alla metà di ottobre.
L’abbondanza d’acqua che cade nelle Grandi Antille durante quei mesi, è addirittura enorme; basti dire che in una sola settimana se ne rovescia tanta sui boschi, quanta ne cade in una intera annata nei nostri climi e lascia inzuppato il terreno per lungo tempo, anche in causa del suolo argilloso che trovasi sotto, il quale impedisce l’assorbimento.
— Saremo fortunati, amico Cordoba, — disse la marchesa che marciava dietro il cubano ed ai due marinai d’avanguardia, — se non ci prenderemo delle febbri nella traversata di queste foreste. Questa umidità mi penetra nelle ossa.
— Siamo ancora nella buona stagione, donna Dolores, — rispose il lupo di mare. — La febbre gialla non scoppierà che in luglio.
— Ecco una brava alleata pei nostri compatrioti.
— Che morderà per bene quegli spacconi di yankees, se allora saranno sbarcati.
— Si dice però che adopereranno i negri.
— È vero, donna Dolores. Ho udito a raccontare che il generale Lee sta concentrando a Tampa, nella Florida, parecchie migliaia di negri per mandarli qui, essendo più facili ad acclimatarsi e più resistenti alla febbre gialla. Se crede però che quegli uomini color del carbone possano reggere in una battaglia campale contro i nostri compatrioti, s’inganna assai.
Il negro non è mai stato un buon soldato e ne abbiamo una prova nell’esercito della vicina repubblica di Haiti. Carramba!... Se vedeste come sono ridicoli, quei soldati negri!... Enormi spalline, grandi cappellacci, piume gigantesche, galloni in abbondanza, una vanità smisurata ed una tremarella indiavolata appena odono la voce del cannone.
Se Lee crede di scagliare sull’Avana i suoi reggimenti negri, ne vedremo di belle, ve lo assicuro, donna Dolores.
E poi, chi oserà intraprendere operazioni guerresche sotto le piogge?... Gli yankees credono di fare di Cuba un boccone solo, io vi dico invece che sarà un osso troppo grosso e che si fermerà nella loro gola.
— Hanno dalla loro parte gl’insorti.
— Gl’insorti!... E quanti credete che siano?... Forse dodici o quindicimila, non troppo bene armati e che finora hanno saputo mantenersi in campagna tenendosi costantemente nelle foreste più fitte o sui monti più aspri, evitando con cura ogni battaglia campale. Hanno avuto del fegato, è vero, ed hanno fatto spendere alla Spagna un bel numero di milioni colle loro continue insurrezioni ed anche perdere molte vite umane, dubito però assai del loro successo finchè le squadre nostre non saranno state schiacciate dalle flotte di Sampson e di Schley.
— Perfino troppo hanno fatto spendere e troppo sangue hanno fatto versare!
— Sì, donna Dolores. Questa insurrezione che dura da due anni, ha costato finora alla Spagna la cifra enorme di millecentocinquanta milioni, poichè si è calcolato che le spese mensili pel mantenimento dell’esercito operante siano ascese a circa trentotto milioni di pesetas.
— E quanti uomini perduti!
— Cinquantaduemila, quasi tutti morti in causa del clima micidiale.
— Di quante forze credi che possa ora disporre il maresciallo Blanco per far fronte agli yankees?...
— Di centocinquantamila soldati regolari e di sedicimila cavalleggieri irregolari; ora deve aver formato numerosi reggimenti di volontari i quali, essendo meglio acclimatizzati, daranno del filo da torcere ai signori yankees.
— Dispone di un bel numero di combattenti, ma cosa sono di fronte alle masse di uomini che gli americani possono rovesciare su Cuba?...
— Sì, masse di uomini, ben detto, — disse Cordoba, — però cosa faranno contro i nostri soldati, agguerriti da una campagna che dura da due anni e ben disciplinati?...
— Un esercito può valere un altro.
— Quale esercito? Quello americano? — chiese Cordoba, scoppiando in una risata. — Bell’esercito in fede mia!... Credete voi, al pari di tanti altri, che gli Stati Uniti ne abbiano uno?... Eh!... Via!... Volete scherzare, donna Dolores?...
— Eppure non sono senza, Cordoba.
— Questo è vero; ma ignorate che la loro costituzione non permette che l’esercito superi i trentamila uomini? Una vera cosa da ridere per uno Stato che conta quasi settanta milioni d’abitanti.
— E le milizie dei diversi Stati dell’Unione?...
— Peuh!... Valgono qualche cosa quelle!... Io credo che non sappiano manovrare nemmeno in una piazza d’armi, figuratevi poi in campagna!...
— Dunque non è da temersi?
— Non è da inquietare il maresciallo Blanco. Volete d’altronde una prova dell’abilità del famoso esercito americano? Quando nel 1846 scoppiò la guerra fra gli Stati Uniti ed il Messico, i primi non avevano sotto le bandiere che seimila irregolari. Organizzarono bande di volontari e quella campagna, che avrebbe potuto durare due mesi, si prolungò nientemeno che due anni.
Ne volete un altro?... Durante la guerra di secessione i nordisti, superiori per popolazione, per risorse e per ricchezza, invece di schiacciare di colpo l’insurrezione dei sudisti, impiegarono sei anni e vinsero solamente quando questi ultimi che avevano sempre combattuto vantaggiosamente, non ebbero più soldati da opporre. Ecco cos’è l’esercito americano.
— Un’accozzaglia d’uomini maldestri ed indisciplinati adunque.
— Precisamente, donna Dolores.
— Si dice però che si organizzino numerosi reggimenti in tutti gli Stati dell’Unione.
— Sì, dei reggimenti formati di vagabondi, di spostati, di affamati che si batteranno più per libidine di saccheggio che per onor di bandiera. No, donna Dolores, non sarà col loro esercito che gli yankees faranno grandi cose, bensì colla loro flotta.
— Troppo forte per la Spagna, Cordoba?...
— Sì, — rispose il lupo di mare, con un sospiro. — Fidiamo però nel valore dei nostri ammiragli e dei nostri marinai, e nella velocità dei nostri incrociatori, che sono, sotto questo punto, superiori a quelli americani.
— Tacete!... — comandò in quel momento il cubano, con tono stizzito.
— Cosa avete, signor Del Monte? — chiese Cordoba, corrugando la fronte. — Avete creduto di vedere qualche elefante? In tal caso vi avverto che non siamo in Africa per trovarne.
— Se non vi sono degli elefanti alle Antille, non mancano però gl’insorti e questi sono ben più da temersi, — rispose il cubano.
— Dove sono? Io non vedo nulla, eppure vi assicuro che i miei occhi valgono quanto le lenti d’un cannocchiale.
— Ascoltate!... Fermi tutti!... —