La capitana del Yucatan/4. Da vapore a veliero
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CAPITOLO IV.
Da vapore a veliero.
L’alba sorgeva. La luce che si alzava sull’orizzonte, dopo d’aver lottato col nebbione che gravitava sul mare e colle tenebre, si diffondeva rapidamente, tingendo le acque d’un colore grigiastro, d’un triste aspetto.
Il vento mattutino, fresco ed abbastanza forte, cacciava innanzi a sè, verso il sud-est, quelle ondate di vapori, accumulandoli in direzione della costa yucatanese.
Ai colpi di cannone della notte era successo un profondo silenzio. Il mare taceva e solamente si udiva in aria qualche rauco grido, mandato da uno di quegli uccelli neri chiamati dai marinai fetonti o paglie in coda, o da una coppia di rincopi caccianti i pesci alla superficie del mare.
Nessuna nave appariva, nè alcuna terra. Solo lo svelto yacht solcava il mare, filando a tutto vapore verso il settentrione e ancora quasi totalmente sommerso.
La marchesa aveva lasciata la ruota del timone ad un mastro pilota, e ritta a prora, con un cannocchiale in mano, scrutava l’orizzonte, scambiando di quando in quando qualche parola con Cordoba.
— Nulla, — disse, dopo una nuova e più attenta osservazione.
— Aspettiamo, donna Dolores, — rispose Cordoba.
— Non vi è alcuna traccia di fumo.
— È vero, però l’orizzonte è ancora nebbioso; aspettiamo che il vento ed il sole abbiano assorbito questa noiosa umidità. Ciò non può durare molto sotto questi climi, voi lo sapete.
— Credi che siamo riusciti a fare rotta falsa?
— Lo spero, donna Dolores. Gli yankee sono più mercanti che veri marinai e soldati, tuttavia non fidiamoci troppo. Se il console americano di Merida ha avvertito i suoi compatrioti di ciò che abbiamo nella stiva e della nostra rotta, le navi dell’ammiraglio Sampson faranno il possibile per catturarci.
— Tempo perduto, Cordoba. Noi abbiamo mille risorse.
— Non dico il contrario, anzi sono certo che voi riuscirete a corbellare magnificamente l’ammiraglio, tutti i suoi capitani ed i suoi marinai, tuttavia siamo prudenti.
— Credi tu che tutte le coste di Cuba siano di già bloccate?
— Hum!... Ho i miei dubbi, donna Dolores. Pensate che l’isola ha tremilacinquecento chilometri di circuito, senza tenere conto dei frastagliamenti delle coste che ne raddoppiano la lunghezza. La squadra di Sampson è forte, è vero, pure non può bastare a sorvegliare tante coste e poi bisognerà bene che tenga alcune navi in serbo per premunirsi contro un improvviso attacco da parte della nostra piccola squadra che si trova all’Avana.
— Ardiranno le navi di Spagna a uscire in mare?...
— La squadra dell’Avana è debole, donna Dolores. In quel porto non vi sono che quattro incrociatori senza protezione e sei torpediniere.
— Poca cosa, Cordoba? E quella del Capo Verde, cosa fa adunque? Non correrà in soccorso di Cuba?... Vi è una squadra di torpediniere d’altomare che si dicono formidabili ed in Spagna vi è la Pelayo, la più potente corazzata che posseggano i nostri compatrioti; poi vi sono il Colon, la Viscayna, la Numancia, la Victoria, l’Emperador Carlo V ed altre ancora.
— Cosa fa?... — disse Cordoba, col gesto d’un uomo che la sa lunga. — Chi vi dice che sia ancora al Capo Verde? Io credo che il governo spagnolo abbia tenuto celate le mosse di quella squadra, ingannando tutti con falsi rapporti per poi sorprendere le squadre degli yankee.
Ah!... Gli americani vogliono rubarci Cuba?... Vedranno se il boccone sarà indigesto anche pei loro stomachi di struzzo. Temo che il sindacato dei finanzieri possa fare una buona ricevuta alle somme prestate agl’insorti e che non raccolga una libbra di zucchero nelle piantagioni di Cuba.
— Cosa vuoi dire, Cordoba? — chiese la marchesa.
— Udiamo, donna Dolores: credete voi che gli yankee abbiano intrapresa la guerra per spirito umanitario, per concedere la libertà agli insorti, come hanno strombazzato per tanto tempo?... L’autonomia dei cubani!... Cosa importa a quegli egoisti mercanti?...
— Qual’è adunque il motivo che li ha decisi a proclamare la guerra?
— L’attività insaziabile di quegli speculatori.
— Si tratta adunque d’un semplice affare?...
— Sì, donna Dolores. Un sindacato di speculatori ha prestato delle somme enormi agl’insorti, in cambio di concessioni di vasti terreni e di piantagioni che dovrebbero ricevere dal governo cubano subito dopo l’indipendenza dell’isola. Visto che correvano il pericolo di veder sfumare le concessioni, hanno spinto il loro governo alla guerra. Il danaro è tutto negli Stati Uniti, ed anche questa volta ha trionfato.
— Ed il governo americano si è prestato a tale giuoco?
— Aspettate, se vi riuscirà, che Cuba sia libera e vedrete quegli egoisti proclamare l’indipendenza dell’isola a loro beneficio, aggiungendo un’altra stella alla loro bandiera. I ribelli credono che gli americani li aiutino disinteressatamente! Ah!... Ah!... Vedranno più tardi la lealtà degli yankee. Ohe: Una vela laggiù!
La capitana avendo pure scorto un punto biancastro solcare l’orizzonte, aveva puntato lestamente il cannocchiale in quella direzione.
— Legno mercantile? — chiese Cordoba.
— Sì — rispose la marchesa.
— Viene dal sud-est, mi sembra.
— Non ti sei ingannato.
— Bella occasione per raggiungerlo ed aver notizie degli incrociatori americani.
— Vuoi che lo raggiungiamo?
— Può darci delle informazioni preziose, donna Dolores. Facciamo vuotare i serbatoi, o quella gente crederà che noi stiamo per andare a picco.
— Sì, Cordoba, e poi è necessario per fare la toletta dell’yacht.
— Volete giuocare d’astuzia?
— Se vogliamo passare, bisognerà trasformarci.
— Vi comprendo, donna Dolores — rispose Cordoba, sorridendo.
Fu tosto dato il comando di sbarazzare l’Yucatan dell’acqua che ingombrava i serbatoi, onde fargli riprendere la linea di galleggiamento normale.
Due poderose pompe a vapore, un istante dopo funzionavano, vomitando dalle manichelle gettate sopra il bordo, torrenti d’acqua.
Il serbatoio, situato in fondo alla stiva, destinato a sovraccaricare l’yacht per renderlo meno visibile alle navi che incrociavano al largo e che si riempiva per mezzo di due valvole aperte sotto la linea di galleggiamento, che poi si chiudevano automaticamente, in meno di mezz’ora fu completamente vuotato. L’Yucatan rimontò a galla, mostrando il suo acuto sperone, la sua bella poppa arrotondata ed i suoi fianchi stretti e slanciati, tinti d’un grigio chiaro per meglio confondere lo scafo colle acque del mare e col colore del cielo.
Quando quell’operazione fu terminata, il legno mercantile segnalato non era che a tre miglia di distanza. Era una goletta, probabilmente messicana, di piccola stazzatura, assai carica e che correva bordate verso il nord-ovest, non avendo il vento favorevole.
L’Yucatan che correva con una velocità di ventiquattro nodi, in meno di un quarto d’ora la raggiunse, segnalando colla bandiera di mettersi in panna, ciò che fu subito fatto da parte dell’equipaggio, il quale credeva forse di aver da fare con qualche piccolo incrociatore americano, vedendolo armato di cannone e di mitragliatrici.
Il capitano, un vecchio lupo di mare dal viso assai abbronzato e dai capelli quasi bianchi, vedendo Cordoba che gli faceva cenno di volergli parlare, salì sul castello di prora, levandosi cortesemente il largo cappello di Panama.
— Desiderate, signor comandante? — chiese.
— Vi prego d’una informazione — disse Cordoba.
— Sono ai vostri ordini; vi prevengo però che a bordo del mio legno non porto contrabbando di guerra.
— Non è ciò che voglio domandarvi, sapendo già che i messicani si sono dichiarati neutrali. Da dove venite?
— Dalla Giamaica, con un carico di granaglie.
— Quando avete doppiato il capo Catoche?
— Ieri mattina.
— Vi erano navi americane?
— Sì, comandante, ma... non siete americani voi?
— No, spagnoli — rispose Cordoba.
— Ah! Ho piacere, poichè noi messicani siamo quasi vostri compatrioti. Andate a Cuba?
— Sì, andiamo a forzare il blocco.
— Vi avverto che la squadra americana blocca le coste settentrionali.
— Lo sappiamo; ed il capo Catoche è sorvegliato?
— Ho incontrato un incrociatore e due cannoniere.
— Si chiamava il Terror quella nave?
— No, il Terror lo conosco; è un monitor che ho già veduto ancora alla Florida.
— Dove andava quell’incrociatore?
— Correva lungo la costa del Yucatan.
— Credete che sia possibile giungere al capo Sant’Antonio di Cuba?...
— Sì, se non vi fate catturare da quei tre legni che incrociano nello stretto d’Yucatan.
— Il grosso della squadra di Sampson sapete ove si trova?...
— All’est dell’Avana, mi hanno detto.
— Va bene.
— Vi auguro buona fortuna, comandante e... Viva la Spagna, signore!...
— Grazie, amico — rispose Cordoba, con accento commosso.
La goletta si rimise al vento e continuò le sue bordate verso l’ovest per avvicinarsi alle coste del Messico, mentre l’yacht, dopo d’aver percorso cinque o seicento metri, si arrestava.
L’equipaggio, che aveva già ricevuto le istruzioni necessarie, si mise alacremente al lavoro per fare la toeletta dell’yacht come diceva, scherzando, la sua proprietaria. Se gli americani fossero stati presenti, avrebbero assistito ad una scena davvero sorprendente ed insieme maravigliosa, poichè la trasformazione di un legno da guerra in un pacifico veliero mercantile o meglio in un yacht di piacere, non avrebbe dovuto sembrare cosa facile.
I fuochi innanzi a tutto furono spenti, non volendo la Capitana, almeno pel momento far uso delle eliche onde ingannare completamente gli incrociatori americani, i quali dovevano già essere stati informati dal console di Merida che l’Yucatan era non solo un legno a vapore, ma anche dotato d’una macchina poderosa.
Compiuta quella prima operazione, il tubo fu levato ed il foro chiuso da un disco di metallo che si adattava perfettamente e che nel mezzo portava, in alto rilievo a gran lettere di ottone, queste parole: «Colima Vera Cruz.»
Questo non era che il principio della meravigliosa trasformazione che doveva ingannare i più vecchi lupi di mare della squadra americana non solo, ma perfino i marinai del piccolo porto di Sisal che conoscevano così bene l’Yucatan della marchesa del Castillo.
Il pezzo d’artiglieria e le due mitragliatrici Hotchkiss, che avrebbero potuto tradirlo, furono fatte scomparire entro tre pozzi aperti sotto di loro, subito rinchiusi da altri dischi di metallo simili al primo, poi furono fatte scomparire le due piccole torri entro apposite scanalature, quindi gli alberi, che erano di metallo vuoto, spinti da una poderosa pompa ad aria compressa, s’innalzarono lentamente riprendendo il loro posto.
Le sartie, i paterazzi, le bome ed i picchi delle rande e le manovre correnti furono subito collocate a posto ed inferite le vele relative, mentre a prora veniva collocato un piccolo albero di bompresso e spiegato un fiocco di trinchettina.
Una larga striscia di metallo dorato, che portava impressa al pari dei dischi, la scritta «Colima Vera Cruz» fu inchiodata a poppa, in modo da coprire completamente il nome di Yucatan che vedevasi in lettere d’oro, sotto il quadro.
— Credi, amico Cordoba, che sotto questo nuovo vestito si possa riconoscere ancora il mio Yucatan? — chiese la marchesa, sorridendo.
— No in fede mia — rispose il lupo di mare. — Se io non avessi assistito alla trasformazione, vi giuro, donna Dolores, che mi crederei su di un’altra nave.
— Allora possiamo tentare il colpo.
— Con piena sicurezza.
— Non dimentichiamo che siamo a bordo del Colima di Vera Cruz e che io sono una milionaria messicana, con un po’ di sangue yankee nelle vene e che viaggio per divertimento.
— E che io sono il capitano Bob Kork, nativo di Pensacola — disse Cordoba, in purissimo inglese.
— Sì, amico Bob — disse la marchesa, ridendo. — Fa’ spiegare le rande e le controrande, mio caro capitano e mettiamo arditamente la prora verso il capo Catoche.
— Una parola, donna Dolores.
— Parla liberamente, Cordoba.
— E se gli americani venissero a bordo?
— Si accomodino — rispose la marchesa, con voce tranquilla. — Non sarò io che impedirò loro di venire.
— Ma voi sapete quale contrabbando di guerra abbiamo nella stiva e che noi siamo messicani e non già spagnoli.
— E vuoi concludere, Cordoba?
— Che se scoprono il carico verremo presi e fucilati.
— Lo so benissimo.
— Dunque, se giunti a bordo volessero procedere ad una visita?
— Eh, Cordoba, vecchio lupo!... Hai dimenticato che sono una donna!
— No, ma gli yankee, donna Dolores, sono gentili come gli orsi.
— Lo si vedrà — rispose la Capitana, con un sorriso inesplicabile. — La marchesa del Castillo ha delle risorse nei suoi occhi. D’altronde, se proprio volessero visitare il carico dell’yacht, tu sai Cordoba che sotto il quadro di poppa abbiamo due siluri.
— Gran Dio!... E cosa vorreste fare?
— Non siamo tutti votati alla morte?
— È vero, noi uomini, ma voi bella, giovane, ricca...
— È bello morire per la patria, Cordoba — rispose la marchesa, con un accento che fece fremere il lupo di mare. — Noi metteremo un marinaio nella mia cabina, ad un nostro segnale farà scattare la scintilla elettrica e noi, amico mio, salteremo tutti, assieme a quegli odiati yankee, al grido di «Viva la Spagna!».
— Fulmini! — esclamò Cordoba. — Voi sarete capace di questo, donna Dolores?
— Sì — rispose la Capitana, con voce risoluta. — Lo farò, te lo giuro.
— Ora che so di quanto siete capace, sono tranquillo — disse il lupo di mare. — Ohe! Uomini di manovra! Spiegate le rande e mettete la prora al capo Catoche!
L’equipaggio, che non aspettava che quel comando, spiegò le rande, le due contro-rande e la trinchettina del bompresso e l’Yucatan, che fino allora era rimasto quasi immobile, lasciandosi appena appena trasportare dalla corrente del Gulf-Stream, si mise a veleggiare con estrema leggerezza, sbandato civettuosamente sul tribordo, lasciandosi a poppa una candida scia d’una regolarità perfetta.
Se quell’yacht era uno dei più rapidi battelli a vapore che fossero stati varati nei cantieri del golfo del Messico era pure uno dei migliori velieri poiché a vento largo poteva filare i suoi dieci nodi, velocità straordinaria per uno di tali legni.
Il vento era favorevolissimo, soffiando dal nord-nord-ovest ed il mare tranquillo o quasi, non essendovi che delle leggere ondulazioni ed assai larghe.
Cordoba e la marchesa potevano sperare di giungere all’indomani, allo spuntare del giorno, al capo Catoche, sebbene contrariati dalla grande corrente del golfo che come si sa gira intorno alle coste del Messico, rasentando poi quelle degli Stati Uniti del Sud, per tornare nell’Atlantico per lo stretto di Bahama, tra le isole omonime e la Florida.
Nessuna altra nave si era scorta dopo la goletta messicana, ormai scomparsa sotto l’orizzonte, né si scorgeva alcun pennacchio di fumo che indicasse la presenza di qualche incrociatore, tuttavia non vi era da crearsi illusioni. Sapendo ormai le navi americane quale era la rotta dell’yacht e conoscendo certamente quale carico portava ed a chi era destinato, avevano forse abbandonati quei paraggi per attenderlo nello stretto di Yucatan, fra il capo Catoche e quello di Sant’Antonio di Cuba, certi che per di là sarebbe passato.
La marchesa, Cordoba e gran parte dell’equipaggio, dopo essersi assicurati che pel momento non vi era alcun pericolo, si erano ritirati per riposarsi dalle emozioni della notte e sulla tolda non erano rimasti che pochi uomini incaricati della manovra delle vele ed un mastro-timoniere.
Un gabbiere però, munito d’un potente cannocchiale, si era stabilito sulla crocetta dell’albero maestro, onde poter segnalare per tempo l’avvicinarsi di qualsiasi nave.
L’Yucatan intanto marciava velocemente verso il sud-sud-est, avvicinandosi alla costa americana, la quale però non era ancora visibile.
Attorno al veliero volteggiavano in gran numero gli uccelli marini, seguendolo e assordando l’equipaggio colle loro strida roche.
Abbondavano soprattutto i rincopi, si vedevano però anche numerose procellarie, le quali seguivano da vicino il veliero, pronte a precipitarsi sugli avanzi della cucina che si gettano in mare ed a disputarseli ingordamente.
Anche non poche sule apparivano occupate a dare la caccia agli hilobates, strani insetti somiglianti a quelli che si vedono correre sulle acque dei nostri stagni, forniti di numerose gambe e che, cosa incredibile, si incontrano talvolta a tre e perfino quattrocento miglia dalle coste dei continenti o delle isole.
Anche alcune coppie di grossi pesci comparvero nelle acque dell’yacht giuocherellando fra la spuma della scia; per lo più erano dei velieri, bellissimi e rapidi nuotatori lunghi oltre un metro e mezzo, d’una tinta bruna lucente sul dorso ed argentea sotto, armati d’una specie di corno assai solido, di cui si servono per assalire e con vantaggio, i capidogli e le balene.
Questi pesci sono eccessivamente battaglieri e non è raro che si scaglino perfino contro le navi, riuscendo sovente a piantare il loro corno così profondamente nei corbetti delle carene, da non essere poi più capaci di staccarlo, esponendosi così ad una lenta ed inevitabile morte.
Se ne scorgevano parecchi nei pressi dell’yacht e tenevano ben alta la loro larga pinna natatoia, che funzionava come una specie di vela e perciò appunto vengono chiamati velieri, quantunque siano dei pescispada più che altro.
Durante tutta la giornata, l’yacht continuò la sua corsa verso l’estrema punta della penisola yucatanese senza aver fatto nessun altro incontro e verso il tramonto giungeva di fronte al piccolo gruppo delle isole Jolbos, le quali sorgono a poche diecine di miglia dal capo Catoche.
La marchesa e Cordoba che erano risaliti in coperta, non volendo avventurarsi di notte sui banchi sabbiosi che si estendono intorno alla punta del Yucatan, decisero di tenersi fino allo spuntare della luna, nei pressi delle isole, per potere nel caso che qualche incrociatore comparisse, appoggiare prontamente verso la costa e cercare rifugio in qualcuno di quei numerosi seni che si aprono dietro le Jolbos.
Fatte terzaruolare le due rande per non esporsi a quegli improvvisi colpi di vento che si scatenano di sovente nel golfo del Messico e che riescono pericolosi pei navigli che si lasciano sorprendere con tutta la velatura spiegata, comandarono agli uomini di quarto di correre bordate in attesa dell’astro notturno che doveva sorgere verso le dodici.
— Speriamo di passare una notte tranquilla — disse la marchesa a Cordoba.
— Me lo auguro, eppure temo il contrario — rispose il lupo di mare. — Di notte gli incrociatori americani raddoppieranno la sorveglianza, donna Dolores. I yankee devono essere furiosi di non averci potuto raggiungere e catturare.
— Possono credere di averci ormai perduti.
— Hum!... Lo dubito, anzi io temo che nello stretto abbiano stabilito una tale crociera da chiuderci tutti i passi.
— Vuoi che ci abbiano lanciate dietro dieci navi? Hanno più da guadagnare bloccando l’Avana che a perdere il loro tempo dietro a noi.
— Credo il contrario, donna Dolores. Gli yankee sanno che il maresciallo Blanco è a corto di munizioni e che non ha le armi sufficienti per organizzare tutti i volontari e perciò hanno tutto l’interesse d’impedire a noi di sbarcare il carico.
— Vedremo se sapranno impedirci di giungere presso le coste cubane.
— Non dubito che possiamo approdare; v’è però una cosa che m’inquieta.
— E quale?...
— Che gli spagnoli che attendono il carico alla baia di Corrientes siano stati costretti a ritirarsi... Non sappiamo, in queste ventiquattro ore, che cosa abbia tentato la squadra dell’ammiraglio Sampson.
— È vero, Cordoba — rispose la marchesa che era diventata meditabonda. — Gli americani possono, in questo frattempo, essere sbarcati su qualche punto dell’isola ed essersi congiunti coi ribelli capitanati da Masò.
— O da Pardo che si dice si trovi verso le coste occidentali di Cuba.
— Se ciò fosse avvenuto, che cosa mi consiglieresti di fare, amico?... Io non tornerò a Sisal, te lo giuro, se prima non avrò sbarcato il carico.
— Allora non ci rimarrebbe che di forzare il blocco e tentare di giungere all’Avana.
— Passando in mezzo alla squadra di Sampson?...
— Non ci rimarrebbe altra alternativa.
— Sarebbe un tentativo disperato.
— Lo so, donna Dolores, sarebbe un tentativo molto pericoloso che potrebbe costare la vita a tutti noi.
— Lo tenteremo, Cordoba — disse la Capitana, con accento risoluto. — Che bella emozione deve essere l’entrare in porto a tutto vapore, sotto il grandinare degli obici nemici e colla bandiera spagnola ondeggiante fieramente sul picco della randa!... Sì, amico mio, se a Corrientes non troveremo i messi del maresciallo, noi anderemo all’Avana.
— Purchè non ci arrestino prima — rispose Cordoba che da qualche istante guardava attentamente verso l’ovest. — Quanta ostinazione in quegli yankee!...
— Perchè dici questo?... — chiese la marchesa.
In quel momento, dall’alto della crocetta di maestra, si udì il gabbiere di guardia a gridare:
— Nave a vapore, a poppa!...
— Non mi ero ingannato — disse Cordoba. — Quel punto luminoso, a luce bianca, non si poteva confondere con una stella.
— Ancora l’incrociatore americano? — chiese la marchesa, aggrottando la sua bella fronte.
— Ehi, gabbiere!... — gridò Cordoba. — Corre verso di noi?
— Va all’est.
— Dista?...
— Sei o sette miglia.
— Quel birbante perlustra la costa sperando di sorprenderci, — disse Cordoba.
— Noi lo inganneremo ancora, — rispose la marchesa.
— Carramba!... Le isole sono vicine e ci sarà facile nasconderci dietro qualcuna o cercare qualche rifugio.
— Ehi, timoniere!... — gridò la Capitana. — Governa sulle Jolbos e bada ai banchi!...
— No, a me la ruota, — disse Cordoba. — Conosco quel gruppo d’isole e se quell’incrociatore vorrà darci la caccia, vi giuro, donna Dolores, che lo faccio andare sui banchi! —