La capitana del Yucatan/12. La ritirata attraverso la foresta
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CAPITOLO XII.
La ritirata attraverso la foresta.
Il soldato spagnolo, che si era coricato presso le agave, era pure balzato in piedi tendendo il capo verso il margine della foresta, come se avesse voluto meglio raccogliere la detonazione che era improvvisamente echeggiata sotto i grandi vegetali e che si propagava, di macchia in macchia, ripercossa dall’eco.
— Un colpo di fucile, è vero? — chiese Cordoba, slanciandosi verso di lui.
— Sì, — rispose lo spagnuolo, raddrizzandosi.
— Che sia stato qualche insorto a fare fuoco?
— Lo dubito, signore. Quei furfanti hanno tutti armi americane, mentre quella detonazione è stata prodotta da un fucile Mauser, ne sono certo.
— Allora sono i miei marinai che fanno dei segnali.
— Hanno dei Mauser?...
— Sì, amico.
— Andiamo loro incontro. La detonazione è echeggiata verso il sud e noi marceremo in quella direzione.
— Rispondendo?...
— Credo che sia pericoloso sparare tanti colpi di fucile. Forse gl’insorti di Pardo, accortisi della mia fuga, possono trovarsi in questi dintorni.
— In marcia! — disse Cordoba, risolutamente. — Sarà però difficile dirigersi con questa oscurità!... Per mille balene!... Non ci si vede al di là della punta del naso.
— Il cielo si è coperto e temo che prima dell’alba scoppi qualche furioso uragano, signore.
— Non ci mancherebbe altro!...
— Non inquietatevi; so dove esiste un ottimo rifugio. Venite, signore... Ah!... Un altro sparo!... Buon segno!... Questi colpi di fuoco ci serviranno di guida. — Gli Stati Uniti, la Spagna e Cuba.
(Allegoria)
Si erano messi in marcia, cercando di dirigersi, meglio che potevano, verso il luogo ove si erano uditi quei due colpi di fucile che annunciavano una imminente salvezza, essendo ormai convinti che fossero stati sparati dai marinai della scorta.
Disgraziatamente la foresta era sempre fitta e l’oscurità così profonda, da far nascere dei seri dubbi di poter raggiungere i salvatori. Entrambi brancolavano come due ubriachi, urtando contro i tronchi degli alberi, contro le radici, contro le liane ed incespicando ad ogni passo. Era una serie di continui capitomboli seguiti da una sfilza di imprecazioni.
Nondimeno erano riusciti a percorrere forse due o trecento passi, quando udirono una terza detonazione e questa così vicina da poter distinguere perfino il sibilo della palla.
— S’avvicinano a gran passi, — disse il soldato. — L’uomo che ha fatto fuoco non può trovarsi che a quattro o cinquecento metri da noi.
— Buono! — disse Cordoba. — Se avessi dovuto continuare questa marcia per un’ora sola, vi avrei rinunciato. Per mille balene!... Sono tutto pesto!...
— Coraggio, signore!... La salvezza è là!...
— Vi seguo come posso. Al diavolo le foreste ed anche le tenebre!... —
Un quarto sparo rimbombò e questo così vicino che il soldato potè scorgere, attraverso i vegetali, il bagliore del lampo.
— Avete veduto? – chiese.
— Sì, — rispose Cordoba. — Ohe! Alonzo!... Pedro!... Alvaro!... Siete voi?...
— Carrai! — gridò una voce. — Il signor Cordoba!... È la sua voce questa!
— Sì, Alvaro, — gridò il lupo di mare.
Un uomo munito d’un ramo resinoso che bruciava come una torcia, seguito a breve distanza da un altro che teneva il fucile in mano, si slanciò in mezzo alle macchie, dicendo:
— È una vera fortuna, signor tenente, l’avervi trovato con questa oscurità ed in mezzo a questo fitto bosco.
— Una fortuna, mio caro, che attendevo ardentemente, — rispose Cordoba. — Dov’è la marchesa?...
— Ci segue cogli altri quattro marinai.
— Avete lasciato il campo?
— Dal tramonto. Eravamo vivamente inquieti per la vostra assenza, temendo che vi fosse accaduta qualche disgrazia.
— È accaduto nulla?
— Nulla, comandante.
— Ed il cubano?
— Scomparso anche lui.
— Non è più tornato? — chiese Cordoba, con stupore.
— Non l’abbiamo più veduto. Ma... toh!... Siete in compagnia? Avete forse incontrato i soldati del capitano Carrill?
— Lo saprete più tardi. Presto, conducetemi dalla Capitana.
— Eccola che giunge, — disse il compagno d’Alvaro.
Delle fiaccole erano comparse sull’orlo d’un macchione di banane ed in mezzo a quella luce rossastra e fumosa era stata scorta la marchesa, la quale s’avanzava con passo lesto, stringendo fra le mani il fucile.
— Donna Dolores! — esclamò Cordoba, slanciandosi verso di lei. — Come sono felice di vedervi!...
— Ed io più di te, mio vecchio lupo, — rispose la marchesa. — Quante angosce mi hai procurato, imprudente!... Cominciavo a temere che tu fossi caduto nelle mani degli insorti.
— Sono lieto di avervele procurate.
— E perchè, briccone? — chiese la marchesa, ridendo.
— Perchè vi porto le prove che noi stavamo per venire traditi e che l’Yucatan corre un grave pericolo.
— Il mio Yucatan!... — esclamò la marchesa, con voce alterata.
— Gl’insorti sanno che noi siamo qui e che dovevamo sbarcare armi e munizioni.
— Chi ci ha traditi?...
— I portatori negri che seguivano la colonna del capitano Carrill.
— Come sai questo?... Su, racconta, Cordoba. —
Il lupo di mare in poche parole la mise al corrente di tutto ciò che gli era toccato, della scoperta del biglietto, degli uomini che aveva veduto, dello smarrimento in mezzo alla foresta, dell’incontro del soldato e della sorte toccata al capitano Carrill ed alla sua scorta.
— Tutto è perduto, — disse la marchesa, coi denti stretti. — La nostra missione è completamente fallita.
— No, signora, — disse in quel momento il soldato, facendosi innanzi. — Le armi sono attese.
— Attese!... E da chi, se non possiamo sbarcarle? — chiese la marchesa.
— Il capitano Carrill aveva ricevuto altri ordini dal maresciallo Blanco, affinchè il carico si sbarcasse altrove, nel caso che gl’insorti avessero impedita l’operazione.
Io, signora, prima della fuga ho ricevuto un biglietto dal mio capitano, coll’incarico di consegnarlo personalmente alla marchesa Dolores del Castillo. —
Ciò dicendo il soldato si era sbottonata la giubba e da uno strappo della fodera aveva fatto uscire un piccolo piego suggellato, che porse tosto alla marchesa.
Sulla busta vi era la seguente scritta:
«Da rimettersi alla signora marchesa Dolores del Castillo, Capitana del Yucatan».
— Il volpone non mi aveva parlato di ciò, — disse Cordoba. — L’uomo è prudente: buon segno.
La marchesa aveva lacerata la busta ed alla luce della fiaccola lesse:
«Si prega la signora marchesa Dolores del Castillo di fare rotta per Santiago, nel caso che avvenimenti imprevisti impedissero lo sbarco delle armi e delle munizioni nella baia di Corrientes e di andarsi a mettere sotto la protezione della squadra del vice-ammiraglio Topete y Cervera già in rotta per quella piazza.»
— Per mille balene!... — esclamò Cordoba. — Il vice-ammiraglio Cervera in rotta per Santiago!... Ecco un uomo che darà da fare agli yankees!...
— Cosa dici, Cordoba?... — chiese la marchesa.
— Dico, signora, che dal momento che qui non si può sbarcare il carico, noi andremo a Santiago. Carrai!... Cervera va laggiù coi suoi incrociatori?... Ciò significa che in quella piazza si svolgeranno dei grandi fatti d’armi, ve lo assicuro.
— Pure si diceva che la squadra di Cervera era sempre al Capo Verde.
— Pare invece che sia in viaggio.
— Dimmi, Cordoba, potremo noi forzare il blocco e giungere a Santiago?
— Con un po’ di audacia lo si forzerà e andremo a salutare il colonnello Ordonez, mio buon amico e valoroso soldato.
— Allora non ci rimane che ritornare alla costa ed imbarcarci.
— E più presto che si può, marchesa, o cadremo nelle mani di quel caro signor Del Monte.
— Credi tu che egli fosse proprio incaricato di condurci in un agguato?...
— Chiedetelo al soldato che lo conosce personalmente.
— Il briccone!...
— Io sono certo, donna Dolores, che a quest’ora quel furfante si trova all’accampamento con un buon seguito d’insorti.
Cordoba, ritorniamo a bordo. Io temo pel mio Yucatan.
— Bah! Mastro Colon è un marinaio che non si lascia ingannare e tanto meno sorprendere. Lasciate che i cubani si mostrino e farà loro assaggiare le palle degli hotchkiss e se non bastano anche quelle del cannone.
Tuttavia battiamo in ritirata; temo che Del Monte sia già sulle nostre traccie.
— Non andremo molto lontani, Cordoba. Ho veduto il sole a tramontare rosso come un disco di ferro incandescente ed ho osservato che l’aria s’intorbidiva, e tu sai che questi segni indicano l’imminente scoppio d’uno di quei terribili uragani, che godono una così triste celebrità nelle Antille.
— Il soldato mi ha parlato di un rifugio e noi lo cercheremo subito; non è prudente trovarsi in piena foresta, quando il vento infuria con quella potenza che già noi conosciamo.
— Vi condurrò in un luogo ove potremo passare la notte e metterci al sicuro, signora, — disse lo spagnolo, rivolgendosi alla marchesa.
— Vi è qualche capanna in questi dintorni?
— Meglio ancora, signora; vi è un fortino, in parte diroccato è vero, ma che ci basterà, avendo ancora una torre in buon stato ed una casamatta.
— È lontano?...
— Non lo credo. Ditemi, signora, avete attraversato un corso d’acqua per giungere qui?...
— Sì, — rispose la marchesa.
— Se possiamo ritrovarlo saremo presto al fortino.
— Deve trovarsi ad un chilometro dietro di noi, — disse un marinaio. — Colla bussola in mano spero di poterlo ritrovare.
— Partiamo, — disse la marchesa. — L’uragano s’avanza di galoppo.
— E fra poco farà un massacro di questi vegetali, — aggiunse Cordoba. — Speriamo che qualche colosso piombi sul cranio di quel caro signor Del Monte e lo mandi a farsi pagare il prezzo del tradimento da messer Diavolo. —
Il drappello si era messo rapidamente in cammino, preceduto da due marinai muniti di rami resinosi, essendo l’oscurità sempre profondissima sotto quei giganteschi vegetali.
L’uragano che tanto temevano s’avanzava rapido.
Già qualche lampo si vedeva balenare al di sopra dell’immensa cupola di fogliame, seguito da un cupo brontolìo che pareva si propagasse perfino sotto terra, come se il suolo fosse diventato d’una sonorità straordinaria, mentre l’aria, diventata soffocante, quasi ardente, s’impregnava rapidamente d’elettricità.
Fra poco quella grande foresta doveva diventare il teatro d’una scena spaventosa, essendo gli uragani delle Antille d’una violenza tale da non potersi fare un’idea della loro possanza. Durano poco, però quali disastri cagionano, specialmente se alla forza irresistibile dei venti si unisce, come pur troppo sovente succede, la forza brutale dei terremoti e dei maremoti.
Scoppiano per lo più al principiare della stagione delle piogge e s’annunciano parecchie ore prima facendo apparire il sole rosso e l’aria torbida, mentre invece appare chiarissima la cima delle montagne e le stelle sembrano più grandi del solito.
Tutto d’un tratto, dopo una calma perfetta, il vento comincia a soffiare con violenza, a colpi irregolari, da ponente a levante, poi bruscamente cambia direzione in senso inverso. Le due grandi correnti d’aria, incontrandosi, producono uno sconvolgimento formidabile e repentino, abbattendo, nella loro cerchia, tuttociò che incontrano.
Bastano talvolta pochi minuti per cambiare aspetto a delle isole intere. Alberi giganteschi, vecchi di parecchi secoli e che pareva dovessero essere forti come le montagne, vengono divelti e trasportati lontani; gli edifizi più solidi vengono sfondati e tramutati in ammassi di rottami; le piantagioni, frutto di tanti sudori, scompaiono e là dove prima si vedevano splendide campagne, non si trovano poi che frane spaventose ed avvallamenti spogli d’ogni vegetazione, mentre sulle coste il mare invade le sponde spazzando via quanto trova e trascinando le navi addosso alle scogliere.
Dopo quei disastrosi sconvolgimenti seguono le grandi piogge, altro grave malanno per quelle isole del Golfo Messicano, così ubertose eppure così disgraziate. Rinfrescano bensì l’aria, ma cagionano la febbre gialla ed il vomito nero che tante vite umane miete annualmente. L’aria allora è talmente pregna d’umidità che corrompe ogni cosa. Le carni in ventiquattro ore ed anche meno, imputridiscono; le frutta siano pur raccolte un po’ acerbe, si guastano; il pane, se non è biscotto, ammuffisce; la farina, se non si ha la precauzione di conservarla entro botti e battuta in modo che acquisti la durezza della pietra, diventa inservibile; il vino inacidisce presto; le sementi non si salvano che con grandi cure e perfino i metalli soffrono perchè s’arrugginiscono subito.
Tali sono i malanni a cui vanno soggette quelle splendide isole, durante la stagione delle piogge, che comincia verso la fine del maggio e talvolta anche prima, prolungandosi per sei mesi ed anche di più.
Mentre l’uragano cominciava a brontolare minacciosamente, il drappello, guidato dal soldato, affrettava la marcia per giungere al rifugio.
Attraversato il piccolo corso d’acqua che cercavano, lo spagnuolo si era messo a costeggiarlo, aprendosi faticosamente il passo fra i fitti cespugli che crescevano sulla riva, seguito da vicino dalla marchesa, da Cordoba e dai marinai del Yucatan, due dei quali portavano ancora dei rami resinosi accesi.
Percorsi circa cinquecento passi, il soldato si arrestò alcuni momenti per orientarsi, poi rientrò risolutamente nella foresta, dicendo:
— Siamo vicini. —
Proprio in quell’istante una raffica impetuosa, improvvisa, si rovesciò sulla foresta facendo curvare le grandi foglie dei palmizi e gemere i rami dei cedri, degli aranci, e degli acajù, seguita quasi subito da un vivido lampo e da un tuonare furioso, come se negli immensi spazi del cielo fosse scoppiato un combattimento d’artiglieria.
Delle larghe gocce, tiepide come se fossero uscite da qualche immane caldaia in ebollizione, cominciavano a cadere con un crepitìo strano, battendo fortemente le foglie degli alberi, le quali già cominciavano a contorcersi sotto nuove raffiche.
— Affrettiamoci, — disse Cordoba. — Non è prudente lasciarsi cogliere dall’uragano. —
Invece di allungare il passo, il soldato si arrestò bruscamente, dicendo:
— Alto!...
— Cosa avete? — chiese Cordoba, facendosi innanzi.
— Mi sembra di aver veduto qualcuno a scivolare in mezzo a quel macchione di banani.
— Sarà stato un cinghiale. Voi sapete che quegli animali sono numerosi.
— A me parve però un uomo.
— Lasciate che s’impicchi. Se sarà un galantuomo verrà di certo al rifugio; se è qualche furfante malintenzionato non oserà assalire un drappello armato.
— Forse avete ragione, — rispose il soldato. — Sarei stato però più contento se nessuno ci vedesse giungere al vecchio fortino.
— Cosa temete?
— Gl’insorti, signore, possono sorprenderci.
— Con quest’uragano? Bah!... Avanti, mio bravo soldato. —
Lo spagnolo obbedì crollando però due o tre volte il capo, come fosse malcontento. Passando presso la macchia dei banani si arrestò per ascoltare; nulla udendo, continuò la marcia descrivendo dei lunghi giri attraverso quel caos di vegetali, come se avesse cercato di far perdere le tracce del drappello.
Dieci minuti dopo si arrestava sull’orlo d’una radura, in mezzo alla quale si scorgeva confusamente un edifizio sormontato da una specie di torre pentagonale e circondato da una muraglia in gran parte diroccata.
— Ci siamo, — disse, con voce lieta.
— Cos’è quel rifugio? — chiese la marchesa.
— Un tempo era un fortino: ora non è che una rovina, — rispose lo spagnuolo. — Mi hanno però narrato che durante l’insurrezione dei dieci anni, ha dato non poco da fare ai guerrilleros del capo insorto Gonzales.
— Per noi basterà, — disse Cordoba.
Attraversarono la radura e s’affrettarono a entrare nella cinta passando attraverso una larga breccia, mentre la pioggia cominciava a scrosciare con grande violenza e vividi lampi rompevano, quasi senza interruzione, l’oscurità.