La capanna dello zio Tom/Capo XXXIII

XXXIII. Cassy

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXXIII. Cassy
Capo XXXII Capo XXXIV
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CAPO XXXIII.


Cassy.


Tom comprese ben presto ciò che avea a sperare o a temere in quella sua nuova carriera di vita. Operaio attivo, intelligente, sapea riuscire in qualunque cosa che intraprendesse: per principio e per abitudine era fedele e zelante. Tranquillo, mansueto per natura, sperava, coll’instancabile sua diligenza, gli verrebbe fatto evitar gran parte dei mali che lo minacciavano nella sua nuova condizione di vita. Le scene di miseria, di oppressione che avea sott’occhio lo contristavano profondamente; ma egli avea risoluto di soffrir tutto con religiosa pazienza, di fidar sempre in Colui che giudica secondo giustizia; non senza speranza che, tosto o tardi, gli si aprirebbe una vita di scampo.

Legrée, che aveva notate seco stesso le eccellenti qualità di Tom, lo classificò tra i migliori operai; e sentiva, ciò non ostante, una secreta avversione per lui, l’antipatia naturale dei malvagi contro i buoni. Vedea aperto che quando trascorrea ad atti di brutalità, di violenza, come avvenìa spessissimo contro qualcuno di quegli infelici, Tom se ne risentiva; perchè l’atmosfera dell’opinione è così sottile, che ella può benissimo rivelarsi, anche senza l’aiuto della parola; e l’opinione, sia pur di uno schiavo, riuscia molesta al padrone. Tom avea dimostrato, in diversi modi, un sentimento di affetto, di pietà verso i suoi compagni di sventura, nuovo e strano per essi, che non era sfuggito all’occhio geloso di Legrée. Avea comperato Tom col disegno di farne, quando ben gli tornava, un ispettore, cui potesse, nelle sue brevi assenze, affidare gli affari della piantagione; e, a suo giudizio, il primo, secondo e terzo requisito per una tal [p. 348 modifica]carica, era quello di esser crudele. Legrée, vedendo quanto Tom fosse docile, si argomentava che lo avrebbe potuto facilmente indurre al suo partito; e trascorse alcune settimane, credette porsi all’opera.

Un mattino, mentre gli schiavi si apparecchiavano ad andar nei campi, Tom vide tra essi, non senza sorpresa, una nuova venuta, la cui sembianza si attrasse la sua attenzione. Era questa una donna di persona alta e leggiadra, con mani e piedi dilicatissimi, pulita e ben vestita. A giudicarne dal viso, potea avere dai trentacinque ai quarant’anni di età; e questo viso era tale che, veduto una volta, non si avrebbe potuto dimenticar mai più; uno di quei volti che par rivelino, a primo sguardo, una storia dolorosa e romantica. Alta avea la fronte, sottili, bellissime le sopraciglia; il naso ben fatto, affilato; le labbra ben modellate, il contorno grazioso del capo e del collo, dimostravano che ella era stata assai bella; ma il suo volto era solcato da profondi patimenti, sopportati tuttavia con maschile alterezza. Il suo colorito era malsano, giallognolo, immagrite le guancie, angolosi i lineamenti; insomma una persona sfinita. Ma il suo occhio era ancora d’una notevol bellezza; grande, nero, ombreggiato da non meno nere sopraciglia, improntato d’un dolor profondo e senza speranza. Una fiera espressione d’orgoglio, di sfida, trapelava da ogni lineamento del volto, da ogni curva del suo labbro flessibile, da ogni atto della persona; ma vi era, nel suo sguardo, un accoramento così tetro, così profondo, così disperato, così persistente, che contrastava colla dispettosa alterezza di tutti i suoi movimenti.

Tom non potea capire nè chi ella fosse, nè donde venisse. Era questa la prima volta che la vedeva, tra il crepuscolo del mattino, mentre ella gli camminava a fianco, ma colla fronte alta e con contegno orgoglioso. Tuttavia la turba degli altri schiavi la conosceva; molti volgevansi a sogguardarla, e mormoravano sommessamente tra loro, con una gioia mal celata di vederla in mezzo ad essi, creature cenciose e fameliche.

— «Oh, finalmente è venuta anch’essa!» disse uno di loro.

— «Eh! eh! eh! — soggiunse un altro. — Vedremo a che sarete buona, signora.»

— «La vedremo all’opera!»

— «Chi sa se questa sera avrà anch’essa la sua parte di frustate, come noi?»

— «Mi piacerebbe vederla anch’essa sotto la sferza!» dicea un altro.

La donna, senza badar punto a questi motteggi, proseguìa il suo cammino, colla stessa espressione d’alterigia e di disprezzo. Tom, che era sempre vissuto tra persone colte e ben educate, si accôrse subito, dalla sua aria e dal suo incedere, che ella apparteneva a quella classe; ma non sapea immaginarsi per quali circostanze fosse caduta in sì basso stato. La [p. 349 modifica]donna non gli indirizzò mai nè uno sguardo, nè una parola, quantunque gli fosse stata a fianco tutto quel giorno, nel cammino e nel campo.

Tom si mise subito al lavoro; ma, siccome la donna non era molto distante da lui, potea gettare, tratto tratto, una occhiata a ciò che essa faceva. Si accorse a primo sguardo, che aveva una prontezza di mano, un’attitudine per cui le riuscìa facile, più che ad altri, lo spedir la bisogna; la donna sapea spicciarsene con molta disinvoltura e con disdegnoso contegno, quasi avesse a vile il genere di lavoro cui era condannata e le umiliante circostanze cui si trovava ridotta.

Tom, nel corso della giornata, si vide a lavorar di conserva colla meticcia che era stata venduta nel suo stesso lotto. Quella povera donna soffrìa duramente; Tom la udì spesso a pregare, mentre tremava tutta e già stava per venir meno. Le si avvicinò senza far motto, e gittò nel paniere di lei alcune manate di cotone che egli avea raccolto.

— «Oh no, no! — disse la donna, guardandolo con sorpresa; — vi troverete poi in imbroglio per voi.»

In quel momento sopraggiunse Sambo, che parea avesse un’avversione personale contro quella donna; e facendo schioppettar la sua frusta, gridò con voce roca e gutturale:

— «Che sono queste tresche, Lucia?»

E intanto le diè un calcio col suo scarpone di cuoio di vacca, e un colpo di frusta traverso la faccia a Tom.

Tom, silenzioso, riprese il suo lavoro; ma la donna, ridotta agli estremi, svenne.

— «La sveglierò io — disse Sambo, con un crudele sogghigno — le darò io un cordiale più efficace dell’acqua canforata;» e traendosi uno spillone dalla manica dell’abito, glielo confisse tutto quanto nella carne. La donna gemette profondamente, e si levò per metà.

— «Lèvati su, bestiaccia, e lavora; altrimenti ti insegnerò io.»

Quell’infelice parve rianimarsi, per alcuni momenti, di una forza soprannaturale, e ricominciò il lavoro con alacrità disperata.

— «Badate bene a non rallentare — disse Sambo — altrimenti stassera vi tratterò in modo da farvi invocar la morte.»

— «Oh, sarebbe la benvenuta! — l’udì Tom ad esclamare; e di nuovo quell’infelice dicea fra sè e sè: — Oh, Signore, quando ciò avrà fine? Oh, Signore, perchè non mi aiutate?»

Tom si avanzò nuovamente, e, checchè potesse coglierne, riversò tutto il suo cotone nel paniere della donna.

— «Oh che fate mai? non sapete ciò che può incogliervene?» disse la donna.

— «Potrò sopportarlo — rispose Tom — meglio di voi;» e tornò subito a suo posto. Tutto ciò avvenne in men che il dico.

[p. 350 modifica]All’improvviso la strana donna che abbiamo descritta, e che, lavorando, si era avvicinata a Tom sicchè aveva potuto udirne le ultime parole, fissò sopra esso i suoi grandi occhi pensierosi; e togliendo dal suo paniere una grossa manata di cotone, la gittò in quello di lui.

— «Non sapete ancora in che luogo siete — disse la donna — altrimenti vi diportereste diversamente. Di qui ad un mese non avrete più voglia di aiutar gli altri. Avrete abbastanza di che fare per salvare la vostra pelle.»

— «Dio me ne guardi, signora!» disse Tom, usando colla sua compagna di lavoro quell’urbanità di modi che avea imparato da persone ben educate tra cui era vissuto.

— «Il Signore non visita mai questi luoghi» soggiunse la donna con amarezza; e riprese più che mai sollecita il suo lavoro, e con sorriso dispettoso increspò le sue labbra.

Ma l’atto della donna era stato notato dall’ispettore, benché lontano, in mezzo al campo; egli corse verso lei, scuotendo la sua frusta.

— «Che! che! — gridò alla donna con aria di trionfo, — trescate anche voi? ora siete sotto di me; ricordatevi bene, altrimenti vi farò ballar io.»

I grandi occhi neri della donna lanciarono un fulmineo sguardo su quel miserabile; e colle labbra convulse, colle narici dilatate, si dirizzò in tutta la persona a rincontro di Sambo, affissandolo con un misto indefinibile di disprezzo e di rabbia.

— «Cane! — disse — toccami, se ne hai coraggio! Ho ancor tanto di potenza quanto basta per farti dilaniar dai cani, arder vivo, mettere a pezzi! Non avrei che a pronunziare una parola.»

— «E che diavolo vi ha portato dunque qui? — disse lo schiavo, intimidito, e ritraendosi di uno o di due passi; — non intendo di farvi alcun male, miss Cassy!»

— «Tienti dunque alla debita distanza!» riprese la donna; e parve invero che lo schiavo fosse chiamato ad altra bisogna ed altrove nel campo, perché con bel garbo se la svignava.

La donna riprese subito il suo lavoro e con tanta alacrità e disinvoltura, che Tom non potea a meno di maravigliarsene seco stesso. Parea che essa lavorasse par forza di incanto. Prima che il giorno declinasse, il suo canestro era colmo, e giova notare che avea gittato, a più riprese, buone manate di cotone in quello di Tom. A tarda sera, tutta la comitiva, coi loro canestri in capo, prese a difilare verso la fabbrica dove si pesava e si tenea in serbo il cotone; ed ivi era Legrée, discorrendo calorosamente co’ due ispettori.

— «Tom finirà con mettervi in gravi imbarazzi — disse Sambo — ha [p. 351 modifica]riempita di cotone la cesta di Lucia. Un giorno o l’altro vi susciterà addosso i negri, facendo loro comprendere che son maltrattati, se non badate bene a’ fatti suoi.»

— «Diavolo! negraccio maledetto! — disse Legrée. — Lo acconcieremo per le feste, non è vero, figliuoli miei?»

E due negri ruppero in un’orribile ghignazzata a questa ingiunzione.

— «Oh! Oh! il padrone Legrée basta egli solo a dargli una buona lezione; il diavolo stesso avrebbe la peggio con lui!» disse Quimbo.

— «Il miglior mezzo di racconciargli le idee è quello di imporgli di frustare. Traetemelo qui.»

— «Sarà ben difficile indurvelo, padron mio!»

— «Dovrà pur sottomettersi» riprese Legrée, masticando tabacco.

— «Oh! ecco Lucia — proseguì Sambo — la più infingarda operaia dalla piantagione.»

— «Bada bene, Sambo; comincio a sospettare che tu abbi i tuoi motivi particolari per astiare Lucia.»

— «Il padrone sa bene che ella si è ribellata alla sua volontà, e che, ad onta de’ suoi comandi, non vuol saper nulla di me.»

— «La frusta saprà indurla all’ubbidienza — disse Legrée; — ma siccome il lavoro è urgente, non bisogna, per ora, renderla inetta a servire. È di complessione delicatissima; ma queste deboli creature si fanno ammazzare piuttosto che cedere.»

— «Lucia è veramente inutile, buona a nulla; è Tom che ha riempiuto di cotone il suo canestro.»

— «Sì? Ebbene, appunto Tom avrà il piacere di flagellarla. Comincerà ad avvezzarsi a questo mestiere; e sarà meglio per la donna, che se doveste flagellarla voi, demonii.»

— «Ah! ah! ah!» esclamarono sghignazzando que’ due miserabili; e quelle voci diaboliche parean corrispondessero degnamenta al carattere che Legrée avea loro attribuito.

— «Ma Tom e miss Cassy hanno riempiuto il canestro di Lucia, ed è probabile che vi si trovi il peso voluto.»

— «Lo peserò io!» disse Legrée enfaticamente.

E i due ispettori ruppero nuovamenta nelle diaboliche loro risate.

— «Ella raccoglie il cotone quasi avesse in corpo mille demonii e mille angioli.»

— «Li ha tutti in corpo, davvero!» disse Legrée; e prorompendo in una bestiale imprecazioue, si avviò alla camera dove era il peso.

I poveri schiavi, affranti dalla fatica, entravano l’un dopo l’altro nella sala; e non senza una paurosa ripugnanza, presentavano il loro canestro perchè fosse pesato.

[p. 352 modifica]Legrée ne segnava il peso su d’una lavagna, accanto al nome di ciascun di essi. Il canestro di Tom fu pesato e approvato; ma egli stava osservando con ansietà dolorosa come sarebbe andata la bisogna per la donna.

Questa infelice, mal reggendosi in piedi per debolezza, si fece innanzi, e consegnò il suo canestro. Legrée si accorse a primo sguardo che la misura era colma; ma tuttavia, fingendosi adirato, le disse:

— «Che mi porti, bestiaccia? non vi è il peso! ritirati, e prepàrati ad esser frustata.»

La donna mise un gemito di profonda disperazione, e andò a sedersi sopra una banca.

Allora si fece innanzi la persona cui chiamammo miss Cassy, e consegnò il suo canestro, con un misto di alterezza e di indifferenza. Legrée la fissò intanto negli occhi con uno sguardo irrequieto e scrutatore.

Ella pure gli gittò gli occhi nel volto, mosse leggermente le labbra, e pronunziò qualche parola in lingua francese. Nessuno l’intese: ma la faccia di Legrée si compose, mentre ella parlava, ad una espressione veramente infernale; sollevò egli la mano in atto di percuoterla — atto cui ella, allontanandosi, gittò uno sguardo di fiero disprezzo.

— «Ora, vien qua, — Tom — disse Legrée. — Come già ti dissi, non ti ho comprato per metterti ad un lavoro ordinario; intendo promuoverti, crearti ispettore; e potrai cominciare di questa stessa sera. Trai a te quella donna, o dàlle la frustata; devi aver già veduto abbastanza per conoscere questo mestiere.»

— «Padrone, vi chieggo scusa — disse Tom; — spero che il padrone non vorrà condannarmi a un tale uffizio. Non vi fui mai avvezzo, nè potrò mai avvezzarmici.»

— «Ti sarà forza in questo luogo imparar molte cose, che per l’addietro non hai mai fatte!» disse Legrée, dando di piglio ad una frusta, percuotendone fieramente Tom a mezzo il volto, e raddoppiando colpi a colpi.

— «Ora — fermandosi per ripigliar fiato — oserai dirmi che non vuoi farlo?»

— «Sì, padrone — rispose Tom portando la mano al volto per rattenerne il sangue che gli inondava le guancie. — Voglio lavorare giorno e notte, lavorar finchè ho fiato; ma sento che non debbo far questa cosa, perchè è ingiusta; e, padrone, non la farò mai, mai!»

Tom aveva una voce soavissima e modi pieghevoli; ciò che avea fatto credere a Legrée che fosse di poco animo e facile a domarsi. Mentre Tom pronunziava quelle ultime parole, tutti gli astanti maravigliarono; la povera donna strinse le mani, esclamando: «o Signore!» e tutti si guardarono l’un l’altro involontariamente, aspettando in doloroso silenzio lo scoppio della tempesta.

[p. 353 modifica]Legrée rimase confuso ed attonito; ma alla fin fine proruppe:

— «Che bestione d’un negro! osi giudicare ciò che io ti comando? Che avete voi a discutere, vilissimo armento, ciò che sia giusto od ingiu- Maria Saint-Clare. Capo XXIX.


sto? Vi porrò rimedio! Chi sei tu, per emettere un’opinione? Chi credi tu di essere, signor Tom, per dire a tuo padrone: questo è bene, e questo è male? per pretendere che non si debba flagellar quella donna?»

— «Così credo, padron mio — disse Tom. — Quella povera creatura [p. 354 modifica]è inferma e debole; sarebbe crudeltà di flagellarla; non ho mai fatto questo mestiere, nè comincierò adesso. Padrone, se volete ammazzarmi, ammazzatemi pure, ma quanto al costringermi a levar la mano contro alcuno; nol farò mai — morirò prima!»

Tom parlava con accento pacato; ma con una fermezza di cui non si potea dubitare. Legrée fremeva; i suoi occhi grigi scintillavano dalla collera; i peli delle sue basette si arricciavano; ma, a guisa di que’ feroci animali che scherzano colla vittima prima di divorarla, si rattenne dall’irrompere in atti violenti, e prese a motteggiarlo ironicamente.

— «Ecco il santone, che è piovuto alla fin fine tra noi peccatori! Oh deve essere qualche gran personaggio! Bestiaccia di un negro, che ti credi così religioso, non hai mai letto ciò che dice la Bibbia: «I servi debbono ubbidire ai loro padroni?» E non sono io il tuo padrone? Non ho sborsato mille duecento ducati per possedere quanto si racchiude in quella tua vecchia pellaccia? Non sei tu mio, corpo ed anima? rispondi.»

E così dicendo, menò a Tom un fiero calcio col suo rozzo scarpone.

Nei duri patimenti che soffriva, nella brutale oppressione in cui si trovava, questa domanda gettò un raggio di trionfo e di gioia nell’anima di Tom. Si drizzò improvvisamente in tutta l’altezza della persona; e guardando enfaticamente al cielo, mentre il sangue commisto a lacrime gli scorrea per la faccia, esclamava:

— «No, no, no; la mia anima non è vostra, padrone! Voi non l’avete comperata nè potrete comprarla mai; fu comprata, rigenerata da un tale che saprà rivendicarsela; non potrete opprimermi!»

— «Nol posso? — chiese Legrée infuriato; — or ora il vedremo. Qua, Sambo! Quimbo! date a questo cane una buona lezione che gli serva per un mese.»

I due negri giganteschi, che sorsero con una feroce esultanza ad impadronirsi di Tom, rappresentavano veramente le potestà delle tenebre. La donna tremò di paura, e tutti si levarono in piedi, mentre quelli strascinavan via il povero Tom, che non opponea resistenza.